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di Angelo Petrungaro
Ricorrendo l’81° anniversario dello sbarco in Sicilia degli Alleati anglo-americani, il Presidente della Sezione Provinciale di Messina dell’Associazione Nazionale della Sanità Militare Italiana (A.N.S.M.I.) Gr. Uff. Dr. Angelo Petrungaro ha voluto ricordare la Sicilia “occupata” e non liberata; infatti lo scopo degli Alleati era l’attacco alla “fortezza” Europa e l’isola di Sicilia era il posto più idoneo per effettuarlo.
L’occupazione della Sicilia era stata stabilita nella Conferenza di Casablanca al fine anche di distogliere l’attenzione delle truppe tedesche dal fronte russo. Le Operazioni contro l’isola avevano avuto inizio sul finire di Maggio 1943 con l’intensificarsi dei bombardamenti da parte della aviazione alleata anche sulle piccole isole a sud della Sicilia che furono conquistate senza colpo ferire nel giro di quattro giorni; dall’ 11 al 14 Giugno caddero infatti rispettivamente, Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Lampione. Soprattutto per Pantelleria – isola fortificata – clamorosa fu l’assenza di ogni contrasto navale perché l’isola contava più di 11.000 soldati e un numero considerevole di cannoni e sia gli uni che gli altri non avevano subito danni gravi dai pur massicci bombardamenti alleati dal momento che i sotterranei scavati nella roccia li avevano salvato.
Ma, ciò nonostante, alla vista delle prime navi alleate ci fu la resa! Per questo motivo l’Ammiraglio Gino PAVESI Comandante militare dell’isola, venne condannato a morte in contumacia nel 1944 dal Governo della RSI. Le truppe Alleate impegnate nell’ Operazione dello sbarco in Sicilia – avvenuto nella notte dal 9 al 10 Luglio 1943 da Capo Ognina a Sud di Siracusa fino ad Ovest di Licata – furono l’8^ Armata Britannica del Gen. MONTGOMERY e la 7^ Armata Americana del Generale PATTON.
Esse trovarono difficoltà ad attuare i loro piani fin dall’inizio con le cattive condizioni del tempo a causa delle quali gli Alianti, che dovevano sbarcare i paracadutisti inglesi e americani, finirono in mare. Eolo effettivamente fece la sua parte per contrastare lo sbarco! L’Armata britannica venne fermata al Ponte di Primosole – sul “fiume” Simeto a circa 10 km a Sud di Catania – dove erano state raggruppate le forze italo-tedesche organizzate su una solida linea difensiva comprendente l’area intorno all’Etna, il cui fulcro era proprio il ponte sul fiume Simeto al possesso del quale puntavano gli Inglesi che lo ritenevano un passaggio obbligato lungo la strada per Messina. Per la difesa di questo ponte vennero richiamati dalla Francia reparti della 1^ Divisione Fallshirmjaeger (Genio paracadutisti) agli ordini del Gen. Heidrich. Con l’impiego dei parà tedeschi la situazione degli Inglesi si aggravò, tanto che ebbero la necessità di chiedere l’intervento dell’artiglieria delle navi. Nei combattimenti sul Simeto si distinsero inoltre reparti italiani: il 372° Battaglione costiero – unico tra le unità costiere tra cui si contò il maggior numero di defezioni – e il 2° Battaglione del X Reggimento “Arditi” italiani al Comando del Maggiore Vito Marcianò. Essi, insieme ai paracadutisti germanici, effettuarono un poderoso attacco contro la testa di ponte a settentrione del fiume. Le linee avversarie furono sconvolte a colpi di granata. Gli Inglesi, cacciati dal ponte, si abbarbicarono sulla sponda meridionale del corso d’acqua. Ma Arditi e parà tedeschi si precipitarono contro il nemico il quale, sotto quell’attacco violento, si ritirò. Ma, ricevuti rinforzi via terra, gli Inglesi tornarono all’assalto del ponte con un attacco di carri e fanteria, attacco che venne puntualmente respinto anzi causò la messa fuori uso di parecchi carri. Fu a questo punto che i parà inglesi chiesero l’intervento dell’artiglieria la quale dalle navi da guerra alleate rovesciò sulle posizioni tedesche un fuoco di sbarramento tale da provocare numerose vittime. Ciò malgrado, i combattimenti continuarono ad alterne vicende, infatti ai reparti italo-tedeschi si erano uniti quelli della 29^ Panzergranatier Division arrivata dall’Italia meridionale. La caduta del Ponte di Primosole ci fu, ma per la sua difesa da parte italo-tedesca si combatté aspramente e con onore, tanto da meritare un, seppur laconico, Dank dal Comandante tedesco.
I particolari di quella lotta impari si trovano nelle memorie del Comandante degli “Arditi”, Maggiore Vito Marcianò, il quale racconta di “azioni isolate corpo a corpo con bombe a mano e colpi di pugnale” attuate dai suoi Arditi ai quali si rivolse il Comandante tedesco Colonnello Nteris chiedendo aiuto sul Ponte di Primosole. Il valore degli “Arditi” viene riconosciuto dal loro Comandante anche nel Rapporto di servizio in cui si legge: “battendosi come leoni” e viene sottolineato il “corpo a corpo”. Sono fatti che non devono essere dimenticati anche se “il tempo passa… e involve/tutte cose l’obblio nella sua notte”. L’Armata americana, dopo le primissime difficoltà dovute agli incessanti combattimenti cui fu sottoposta e che fecero rischiare ai soldati americani di finire in mare e al Gen. Patton balenare l’idea di tornarsene a casa, dovette affrontare una delle più cruente battaglie dell’Operazione HUSKY come veniva chiamato in codice lo sbarco alleato in Sicilia. Ossia la cosiddetta Battaglia di Randazzo, località colpita dalle bombe delle oltre quaranta incursioni di cui fu oggetto per un intero mese, dal 13 Luglio al 13 Agosto 1943. La posizione di questa cittadina in provincia di Catania era strategica in quanto la sua conquista avrebbe significato per le truppe anglo-americane l’occupazione rapida di Messina. Proprio per questo il comando italo-tedesco vi aveva sistemato una difesa contraerea capace di abbattere i bombardieri Alleati. E così fu, ma la popolazione ugualmente fu colpita a morte anche nelle chiese oltre che nelle proprie case. Inoltre il patrimonio artistico e monumentale che la città possedeva andò distrutto insieme a veri e propri tesori d’arte. A fatica la 7^ Armata riuscì ad avanzare nella regione centro-occidentale occupò Palermo il 22 luglio 1943. Con la caduta della Capitale siciliana le truppe del Gen. Patton cominciarono ad espandersi verso la parte orientale dell’isola al fine di appoggiare l’avanzata inglese verso Messina, ma i reparti italo tedeschi, non avendo cessato di battersi strenuamente anche dopo la caduta del Ponte di Primosole, costituirono per esse un ostacolo tale da rallentarne l’avanzata.
A difesa della Sicilia c’era anche il 1° Gruppo Squadroni “Cavalleggeri di Palermo” che al momento dello sbarco si trovava in zona di Licata a 14 km dalla costa, come riserva divisionale insieme al 17° Battaglione CC.NN.
Verso Messina l’Armata Americana trovò altresì le truppe della 6^ Armata Italiana che la sottoposero a duri combattimenti per ben 38 gg. infatti nella Città dello Stretto gli Alleati giunsero il 17 Agosto 1943. Il giorno prima era accaduto un episodio, di cui fu protagonista il messinese Tenente di Artiglieria Salvatore CAPPOTTO, classe 1914, che dà la misura dell’attaccamento al dovere di certi soldati e dello spirito cameratesco che legava i soldati italiani a quelli tedeschi. La strategia italo-tedesca riesce a rallentare le truppe alleate predisponendo posti di blocco; ad uno di questi, in località “Gesso” in territorio di Messina, due militi tedeschi riescono a fermare quelli americani che credevano di avere libero il passaggio. Il Ten. CAPPOTTO viene in aiuto con azioni difensive ma invano. Alla resa, i soldati tedeschi vengono subito uccisi, quelli italiani no, a loro dire in uno stentato english-siculo, perché italiani, ma vengono denudati, percossi e presi a sputi. Il Ten. CAPPOTTO nell’immediato fu mandato in un Campo di prigionia temporaneo a Merì (ME) e in seguito in quello definitivo in Africa settentrionale. Tanti sono i fatti piccoli e grandi accaduti durante la suddetta occupazione come quelli avvenuti in data 12 Agosto 1943 a Barcellona PG (ME) dove il raggruppamento di gente era dovuto al rifornimento di generi alimentari e non ad una massiccia presenza di soldati tedeschi come risultava dal Comunicato dei Servizi. In quella data quindi il bombardamento deliberato non solo fu inutile in quanto non colpì soldati tedeschi, ma fu tragico perché colpì la popolazione innocente fra cui si ricorda il medico Gaetano Bavastrelli colpito mentre si recava all’Ospedale.
Non era la prima volta che si prendevano fischi per fiaschi, conosciuto è il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino dove c’era il Convento dei Benedettini e non una fortezza tedesca!
Per non parlare poi di tutte le nefandezze commesse dai cosiddetti “liberatori” in territorio siciliano, quasi per vendetta per non aver avuto, dopo lo sbarco, la via libera al loro proseguire fino ad arrivare a Messina. Infatti l’11 e il 12 Agosto 1943 erano ancora a Brolo (ME) nonostante il fuoco dei bombardamenti sulla città. Tutto in quella zona: le strutture ferroviarie, i sottopassaggi, perfino gli alberi di limoni e di arance ostacolarono l’avanzata dei mezzi meccanici, tanto che gli Americani si servirono dei poveri asini per trasportare le loro munizioni. Eppure in tanta lentezza ci fu lo scontro con i soldati tedeschi, come testimonia la lapide ancor oggi esistente al cimitero di Brolo; erano soltanto tre, ma combatterono fino alla morte. Oltre questa lapide, un’altra ricorda il ragazzino di 10 anni Santino Campo, finito sotto la jeep americana.
L’occupazione della Sicilia è testimoniata dall’AMGOT (Allied Military Government of Occupied Territory), l’organismo militare, avvalentesi anche di consiglieri civili, che fu creato in Sicilia dopo lo sbarco al fine di governare i territori occupati. Primo atto di tale organismo fu la destituzione dei Prefetti e dei Podestà che erano rimasti nell’isola e la loro sostituzione con amministratori di gradimento degli Alleati. Inoltre fu attuata una sorta di epurazione subita anche dal dottore Giuseppe CATALANO, classe 1893, che aveva partecipato alla Prima Guerra Mondiale col grado di S. Ten. medico e che durante il Fascismo dal 1930 al 1934 era stato Segretario Federale. In questo periodo a lui si deve la ricostruzione della Città dello Stretto dopo il terremoto del 1908 e la Stele con la Madonnina del Porto che caratterizza la città di Messina. Dal 1934 al 1939 il Dott. Catalano era stato Deputato della 29^ Legislatura. Presidente della Sezione di Messina dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista (I.C.F.) era stato l’artefice dell’accoglienza che la città di Messina – risorta dal terremoto del 1908 – aveva riservato a S. E. il Cav. Benito MUSSOLINI nel 1937. Dal Maggio 1943 al Luglio 1943 il Dott. Catalano fu Commissario Straordinario al Comune di Messina. In seguito all’epurazione venne internato in un Campo di prigionia a Padula (SA), ospite di S.M. britannica. Anche Mons. Angelo PAINO, arcivescovo di Messina, di cui si conoscevano i buoni rapporti intercorsi fra lui e il Duce, subì una sorta di epurazione essendogli stato intimato di trasferirsi nella sede del Seminario del rione “Giostra” e di non uscirne se non previa autorizzazione degli “Occupanti”. L’epurazione non si effettuò solo sul piano politico, ma anche su quello culturale, come avvenne all’Università di Catania, il cui magnifico Rettore prof. Orazio CONDORELLI, che protestava per l’oltraggio fatto a quel luogo di studi trasformato in luogo di ristoro per militari con annesso prostibolo, fu rinchiuso nel 369 POW Camp di Priolo, in provincia di Siracusa, il peggiore di tutti, dove i prigionieri erano tenuti sulla nuda terra, senza la benché minima igiene e il benché minimo sostentamento e se sopravvissero lo si deve alla cura che di loro si prese la gente del posto. Alla fine della primavera del 1944 in questo famigerato POW Camp c’erano ancora oltre 7.000 prigionieri.
La città di Messina non si arrese. Gli Alleati, nella persona del Gen. TRUSCOTT, tentarono di far firmare al console Michele TOMASELLO l’atto di resa della città sottoponendogli un foglio già compilato. Ma egli si rifiutò di firmare, appellandosi al Regolamento di guerra secondo il quale “essendo la piazza di Messina caduta senza combattimenti non c’era alcuna resa da firmare”.
La memoria di ciò che avvenne in Sicilia nel Luglio – Agosto del 1943 deve essere mantenuta, affinché “indocti discant et ament meminisse periti”.