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di FRANCESCO CERTO
Essere medici. Oggi. Tecnici, burocrati, economisti, scienziati, che altro…ma forse uomini, sì, uomini.
Soprattutto uomini. Nati per curare scrutando un paio occhi, spesso doloranti, in cerca di una carezza ancorprima che un farmaco. Vogliosi di un “grazie” o di un ”mi sento meglio” come un bambino che aspetta un gelato.
E i nostri occhi che sentono questo dolore: Spesso le nostre mani asciugano lacrime, anche se mai piante.
Lì il nostro “lavoro” ovunque si svolga, nel più grande ospedale, nel più piccolo ambulatorio, per la strada…
Lì, non esistono nemici, anche chi ti ha offeso, diventa sacro, perché il paziente è sacro. Sempre.
L’atto medico come momento d’amore che non può vivere al di fuori di tale dimensione.
Possiamo visitare con il veleno nell’anima? Possiamo essere medici-uomini senza amare il malato?
Eppure il dio denaro ci fa spesso brutti, scortesi, arroganti, lontani dal paziente.
Che spesso perde identità. Diventando numero, codice, essere virtuale, comunque sconosciuto.
Potremo brillare di chissà quale luce scientifica (spesso ci rende odiosamente arroganti), ma non bucheremo mai l’anima dell’altro, del malato, del bisognoso.
Umili, perché il medico non può non essere umile. Eppure spesso siamo pavoni in splendida posa, pieni di noi.
Ai medici della Stazione, dell’On The Road, chiedo umiltà.
Umiltà nella diagnosi, ma, soprattutto, umiltà nel porsi agli altri.
Fino all’empatia, fino a abbracciare un uomo ubriaco o che fa cattivo odore.
Fino a sentire tuoi dolori non tuoi, ferite che dovrebbero esserti lontane. E diventare esempio, magari per i colleghi più giovani.
Già i giovani, il nostro futuro, la nostra speranza.
Spesso li vedo annaspare nel mare del denaro, del bisogno, centrati sul successo, naufraghi, forse già persi…
Ma luce, anche la più tenue, vale più di tutto il buio del mondo, e allora un giubbino arancione che nella notte avvicina un barbone senza chiedere nulla, un medico con un giubbino arancione sembra un gigante in un mondo di nani…
E se i giubbini sono più di uno, allora la speranza non ha perso la sua battaglia sul male.
Il mio sogno che diventa il tuo sogno, il tuo sogno che diventa il nostro sogno, il nostro sogno che diventa vero, puro, duro, forte.
E non sentirsi soli. Il medico che ama troverà chi lo amerà, in un vortice di bene dove sarà difficile capire chi da e chi riceve.
E trovare i nemici. Quelli dichiarati (pochi e coraggiosi), quelli non dichiarati (molti e vili), che fanno di tutto per bloccarti, senza aver capito…
E in silenzio, proseguire la marcia, perché il sorriso della persona che stai aiutando schiaccerà il male ricevuto.
La musica che ascoltavi da solo è diventata danza, armonia.
Essere medici. Superare le barriere del tempo, dello spazio. Sentire il dolore dell’Africa, del mondo intero in una visione che non conosce muri, barriere.
In un mondo che vive di separazione, uniti nella dimensione del bene comune.
Migrante, clochard, zingaro, ebreo, omosessuale, ubriaco, drogato, uomini, uomini che cercano salute, ma anche fratelli.
Magari con un fonendo in mano e una rosa nel cuore.