Views: 295
di Massimiliano Cavaleri
“Oltre il Viaggio”
Esperienze e riflessioni di un giornalista appassionato viaggiatore, che ha visitato 49 paesi al mondo, alcuni diverse volte, concentrandosi sui continenti America, Asia ed Europa. Racconti di viaggio “oltre il viaggio”: consigli, informazioni, emozioni, curiosità e aneddoti alla scoperta di posti unici e meravigliosi.
India, il fascino del contrasto
L’India è il paese della povertà. Non dimenticherò mai il sorriso di quei bimbi magri e a piedi nudi che, vedendomi passare a bordo di una jeep nel pieno deserto del Rajasthan, salutavano allegri e spensierati, pur non avendo niente. Loro non hanno la consapevolezza della miseria, perché non conoscono il benessere. Eppure Rajasthan significa terra di raja e maharaja, sinonimo di opulenza, lusso e potenza, che qui hanno regnato per secoli e ancora oggi sono riservati a pochissimi come il maharaja di Jaipur che ha appena vent’anni e frequenta Londra… non certo ai più, che vivono di stenti e oggi sono oltre 1 miliardo e 300 milioni, la nazione più popolata al mondo (la Cina supera di poco).
Il cuore dell’India si tocca in questo piccolo villaggio non turistico (inesistente sulla guida Mondadori) e affollato di bimbi: Jojawar non è facilmente raggiungibile (strade sterrate e interrotte; mentre quelle per le mete turistiche sono in buone condizioni), ha solo un albergo-ristorante, splendida ed elegante ex residenza reale, un’oasi immersa nell’estrema arretratezza e degrado di un paesino che mi ricorda la favelas Rocinha, la più grande di Rio de Janeiro. Nessuna struttura pseudo-urbana e fogne a cielo aperto; le case fatiscenti, non tutte in cemento; i “letti” spesso accanto alle stalle e le donne, coperte in volto e con numerosi anelli nelle braccia, cucinano per terra il tipico pane locale e un pesto di peperoncino, aglio e coriandolo impastato su una pietra e cotto grazie agli escrementi essiccati degli animali usati per legna.
Il “centro” di Jojawar è un piccolo mercato che ricorda altri visitati durante il nostro lungo tour del Nord: a cominciare da Old Delhi, la parte vecchia della capitale dove c’è un’impressionante concentrazione di ambulanti, una folla di gente che vende qualsiasi cosa, dalle spezie alle gemme, dalle scarpe usate ai tessuti pesati al chilo, dagli ornamenti per i tradizionali abiti allo street food. I piatti tipici sono la la chole bhature (pane fritto, spezie e salsa di ceci); la samosa, finger food speziato fritto o cotto al forno (a Johdpur ne vendono migliaia al giorno solo in un ritrovo del centro); la dosa o masala (crepes vegetariane piccanti e pastelle di riso con curry, curcuma, cipolle, lenticchie), meetha paan (foglie di palma farcite di vari ingredienti); il kashmiri aloo dum (antipasto speziato di patate con yoghurt e pomodoro) e il pollo in mille versioni (tandoori, tikka masala per citarne alcuni); tra i dolci spicca il daulat ki chaat, con latte, zucchero, panna, pistacchio, zafferano o altri immancabili spezie; tra le bevande, il notissimo chai o masale chai, latte e thè insieme e il chaas un improbabile mix di latte, spezie, acqua, sale e yoghurt.
Tra i tanti mercati si distingue quello di Johdpur, ritenuto dalla BBC tra i cento più affascinanti del mondo: al centro svetta una torre illuminata con accesi colori e ispirata al Big Ben, lì vicino ci ha accolto un fornitore di stoffe per prestigiose griffe come Hermes, Etrò e Valentino con tanto di dossier su “Panorama”. Un enorme foulard di cashmere che in boutique vale 2mila euro, qui lo paghi 8mila rupie indiane, appena 100 euro. Jaipur invece è nota per gioielli e monili con varie pietre preziose, che si ritrovano persino nelle cavigliere degli animali, considerati sacri.
L’India è il paese della ricchezza. C’è un aspetto dell’India che sorprende: non solo a New Delhi, o meglio Delhi (perché da quando non c’è più la dominazione inglese, dal 1947, anno dell’indipendenza, molti luoghi sono tornati ai nomi originali, ad esempio Bombay ora è Mumbai), anche in altre città come Jaipur, Johdpur o Udaipur (il suffisso “pur” vuole dire paese come “stan” significa terra – vedi Afghanistan, Kazakistan, Rajasthan, ecc.) ad un certo punto giri l’angolo e “trovi l’America”.
Luoghi lussuosi, occidentali, dove si respirano aggettivi come nuovo, moderno, pulito, addirittura all’avanguardia e viene da pensare: allora la casta c’è e si tratta bene. D’un tratto spariscono la spiritualità, la semplicità indiana, svaniscono quei luccicanti e caldi colori dell’arretratezza e tutto magicamente sembra avere canoni europei, con centri commerciali d’elite come Chana Kya, “next opening” di Chanel e Cucinelli, catene internazionali come Hard Rock Cafè e Dunkin’ Donuts, ecc. Per non parlare degli alberghi come la catena cinque stelle Oberoi (consigliata da una cara amica), dove nello stesso ristorante trovi cuochi stellati di giapponese, vietnamita e altri tipi di cucina di altissimo livello o l’Hotel Eros dove il ristorante italiano Sorrento fa una carbonara meglio di quella romana e arancini alla messinese che rievocano lo storico “Nunnari”. Dove nelle toilette non usano la carta ma la stoffa. D’improvviso quindi ci si dimentica dell’India ridotta alla fame coi figli che dormono per strada, senza acqua potabile (è pericoloso persino lavarsi i denti, perché finisce un batterio nello stomaco ed è la fine; persino l’acqua imbottigliata ha un gusto discutibile), senza il minimo di confort e igiene: qui, nei resort di lusso, la carta igienica è dorata e i costi sono molto accessibili. Un contrasto che supera di gran lunga le donne con le buste firmate che ho visto fare shopping su Rodeo Drive a Los Angeles o sulla 5th Avenue a New York, pronte a dare l’elemosina al povero americano licenzianto, senza più assistenza sanitaria.
L’India è il paese del rumore. Si passa da quello fastidioso ed estenuante dei clacson nei centri abitati: gli indiani lo suonano praticamente sempre, ad ogni curva, pedone o incrocio, non esistono precisi momenti e motivi. Questo strumento, che determina un intollerabile e ingiustificato inquinamento acustico forse è controbilanciato dalla totale assenza di regole nel traffico. Quasi non esistono sensi di marcia, linee di mezzeria, strisce pedonali, semafori (tranne in qualche grande viale), ma solo un infernale caos dove tutti vanno dappertutto e, con un’abilissima capacità di guida, riflessi, principio di affidamento, abitudine e talvolta fortuna, riescono a creare un loro “ordine”; a Delhi quanto nelle stradine del più piccolo borgo.
Due costanti indiane: le mucche che ti tagliano la strada con divertente nonchalance; e gli immancabili risciò, dove poveri autisti devono pedalare sodo per portarti in posti non troppo lontani per pochi spiccioli di rupie; qualcuno più tecnologico ha quello elettrico che, freddo e vento a parte essendo tutto aperto, può coprire distanze maggiori e quasi sostituisce il moderno e più costoso taxi (tranne in autostrada).
L’India è il paese del silenzio. Quello che si ritrova nei templi buddisti o induisti e nelle moschee musulmane o sikh (le chiese sono rare). Mani ai piedi per togliersi scarpe e a volte calze; mani per toccare le labbra e poi la base della porta d’ingresso “baciandola” prima di entrare; mani unite per salutare (Namaste!) o pregare. Le mani in India sono importanti: quelle vissute e piene di rughe delle signore che trovi per strada che ti ringraziano se scatti loro una foto o piuttosto ti chiedono qualcosa, o ancora si voltano dall’altro lato se hai violato la loro privacy. Poi ci sono le mani di chi attacca meticolosamente ad una finestra di marmo intarsiato dei piccoli fili di cotone, significa che desidera avere figli e crede nella leggenda di una profezia del 1568 di Salim Chishti, santo che fece figliare l’imperatore Akbar: succede quotidianamente in una tomba a Fatehpur Sikri, la città della vittoria, altra meta imperdibile, considerato un luogo “fantasma” del 1500, prima capitale, poi abbandonato. Fa sorridere quando a farlo siano anche donne anziane, chiaramente in menopausa. Ma la provvidenza indiana è infinita.
Tra i numerosi templi mi ha colpito quello giainista di Ranakpur, datato 1400 e attorniato da centinaia di scimmie aggressive. Sperduto in mezzo ai boschi dei Monti Aravalli, una piccola catena che divide il deserto prima di scendere verso sud, direzione Udaipur: 1444 colonne/pilastri intarsiati egregiamente sorreggono, in modo sorprendente e inedito dal punto di vista architettonico, un luogo sacro che vale la pena visitare, nonostante la lontananza (stranamente non è stato ancora dichiarato patrimonio UNESCO).
Una curiosità: in alcuni luoghi induisti c’è un simbolo che desta sorpresa perché sembra la svastica nazista: a fare la differenza sono i puntini tra le linee, a volte però impercettibili.
Due moschee degne di nota: la più importante della comunità sikh a Delhi, Gurudwara Bangla Sahib, all’interno è severamente proibito scattare fotografie; l’esterno è arricchito da una grandissima vasca di acqua sacra detta Sarovar, dove si immergono i piedi per buon auspicio. Qui esiste una mensa per i bisognosi: dentro le cucine ci siamo trasformati per pochi minuti in volontari, perchè ogni giorno vengono serviti pasti caldi per terra a migliaia di fedeli scalzi di qualunque religione; anche noi abbiamo impastato un po’ di farina per cucinare il loro pane tradizionale. L’altra è musulmana, Jama Masjid, a Old Delhi circondata da uno sfavillante mercato: un colpo d’occhio quando si scende o si sale la scala d’ingresso dal lato delle bancarelle popolatissime di persone.
L’India è il paese dei siti UNESCO. Ne abbiamo visti ben 7, concentrati nel Nord: primo in classifica il Taj Mahal, che tutti credono sia una moschea, un palazzo reale, un monumento celebrativo invece è semplicemente una tomba, o meglio un “atto d’amore” che l’imperatore Shah Jahan (della famiglia moghul, dinastia potente e influente che regnò per 300 anni) pretese per una delle sue mogli preferite, Mumtaz Mahal morta nel 1631, affinché il suo amore fosse consacrato per sempre agli occhi del mondo. E così è stato.
Sono circa 40mila i visitatori che ogni giorno attraversano la prima imponente e maestosa porta che fa da sipario ad una delle “sette meraviglie” (la quinta che ho visitato nei miei viaggi): quando l’ombra lascia il posto alla luce, sotto l’arco d’ingresso, l’imponente e perfetto edificio di puro marmo bianco di Makrana (il “Carrara” indiano, le cui cave si trovano non lontano da Agra), ispirato al paradiso islamico, diventa puro e fantastico spettacolo per gli occhi. Come un quadro di Van Gogh o di Picasso dove tutto sembra ed è al posto giusto, e ad ogni ora del giorno le sfumature di colore e il riflesso sull’acqua dei laghetti antistanti (che necessitano di manutenzione) disegnano un scenario fiabesco e incantevole.
Non da meno altri siti patrimonio dell’Umanità come l’immenso Forte di Amber a Jaipur, che ci ha regalato una tipica salita a bordo d’elefante (all’interno da non perdere il Salone degli Specchi con pietre e specchi incastonati in un prezioso gioco d’intagli, mentre all’esterno gli incantatori di serpenti che suonano il flauto e il cobra, depurato dal pericoloso veleno, esce fuori dalla cesta con sguardo minaccioso); Fatehpur Sikri (che all’interno ha diversi monumenti, palazzi, cortili, porte, ecc.); il Forte di Agra sul fiume Yamuna che costeggia lo stesso Taj Mahal, poco più avanti; lo spettacolare osservatorio astronomico Jantar Mantar, voluto dal maharaja Jai Singh, che vanta alcuni orologi solari, tra i più grandi al mondo, che riescono con un gioco di luci e ombre a spaccare il secondo e altri strumenti di antica ingegneria legati allo studio delle stelle, dei segni zodiacali, delle stagioni, un posto decisamente unico; Qtub Minar, un complesso di tombe, monumenti e la più alta torre di Delhi.
La maggior parte di queste strutture (come pure il Forte Mehrangarh a Johdpur del 1459), usate come antiche residenze reali di maharaja o comunque di governanti, sono stati costruiti in pietra arenaria rossa, talmente scolpita o intarsiata bene da confondersi con opere in legno; a volte i complessi architettonici mescolano il rosso in alcuni palazzi, e il bianco del marmo di Makrana in altri, e il risultato è sempre eccellente.
L’India non è solo UNESCO. Nel nostro viaggio abbiamo potuto visitare altri straordinari posti intrisi di fascino e significato: l’India Gate detta anche “porta dell’India” nel cuore della capitale, il cosiddetto “Arco di Trionfo indiano” che commemora migliaia di caduti; Chand Baori nella località di Abhaneri, uno degli antichi e pittoreschi pozzi a gradoni risalente al IX secolo, che colpisce per la sua simmetrica profondità (13 piani, 3500 gradini).
Jaswant Thanda, un bellissimo cenotafio di marmo bianco su una montagna dirimpettaia al Forte di Johdpur, che vanta anche una statua a cavallo del fondatore della città e gode di una vista mozzafiato (rappresenta il contrario del Taj Mahal, perchè fu costruito da una moglie per il marito); il celebre Palazzo dei Venti a Jaipur, con le finestre da cui le donne potevano vedere ma non venivano viste (bello di giorno, stupendo quando è illuminato la sera). Sempre a Jaipur abbiamo trascorso una serata nel cinema più famoso della città, rinomato per essere una delle sale cinematografiche più belle dell’India: Raj Mandir ci ha ricordato l’importanza di Bollywood, l’industria cinematografica indiana, con la proiezione di uno dei kolossal di successo del momento “Manikarnika – The Queen”, ispirato ad una storia vera di una regina che combatté l’occupazione inglese.
Infine la magnifica città di Udaipur, più a sud, definita come la “Venezia d’India” grazie a diversi laghi artificiali dove splendidi palazzi sembrano galleggiare magicamente sulle acque. In questi luoghi e specialmente nel Pichola Lake sorgono due isole, Jag Mandir e Jag Niwas (oggi Tai Lake Palace, considerato l’albergo più romantico del mondo, e costoso…), dove è stato girato e ambientato uno dei capolavori della serie dell’agente segreto James Bond: “007 Octopussy – Operazione Piovra”, in cui Roger Moore fece conoscere al mondo intero un piccolo paradiso (non vale la pena invece salire al Moonson Palace, che nel film è la residenza del “cattivo”, perchè pur essendo un palazzo di pregio, è totalmente abbandonato e non restaurato).
Sulla costa antistante il City Palace, un complesso monumentale di pregio con alcune stanze dorate, al cui interno si trova il magnifico Hotel Shiv Niwas Palace, ex residenza reale di particolare eleganza con un ristorante d’elitè accanto ad una fontana di marmo bianco, dove il rumore dell’acqua crea un’atmosfera unica. A Udaipur la sera si tengono spettacoli di danze tipiche indiane che sorprendono per l’abbigliamento colorato, le movenze sensuali e ritmate ma soprattutto per una somiglianza fortissima con la Sicilia: durante lo show infatti fanno da protagonista i “pupi indiani”, divertenti marionette che ricordano i vespri della Trinacria. Infine una donna più anziana balla con uno, poi due, poi tre vasi grandi in testa dimostrando un abile equilibrio: più il pubblico plaude, più vasi aggiunge lei al capo fino a 10, e allora il tripudio dei turisti è garantito.
L’India è il paese dei contrasti: povertà e ricchezza, rumore e silenzio, numerosi siti UNESCO e altri imperdibili luoghi fanno dell’India un luogo dalle forti contraddizioni e per questo interessante, grazie ad una storia ricca di lunghe e influenti dominazioni che hanno creato nel corso dei secoli una contaminazione storica, culturale, religiosa e artistica riscontrabile negli stili orientali, in particolare induisti, musulmani e anglosassoni fino al tocco occidentale di oggi della capitale. Un paese inevitabilmente segnato dalla storia del Mahatma Gandhi, la “grande anima”, un personaggio diventato simbolo di pace nel mondo, tanto che è il giorno della sua nascita, il 2 ottobre, è la Giornata mondiale della non violenza (quest’anno ricorrono i 150 anni e nella settimana in cui siamo stati a Delhi c’erano grandi festeggiamenti): pioniere della resistenza e “guerriero dai sani principi” (da vedere il memoriale dedicato a lui nel cuore della città), fu assassinato nel 1948, anno in cui grazie a lui si raggiunse l’indipendenza nazionale.
L’India è una meta assolutamente imperdibile per un grande viaggiatore e per chi è appassionato dell’Oriente.
LUOGHI CONSIGLIATI
Delhi – Old Delhi, il mercato della vecchia capitale
Delhi – Qtub Minar, sito archeologico con la torre più alta della città UNESCO
Delhi – India Gate, la “porta dell’India”
Delhi – Gurudwara Bangla Sahib, la più grande moschea sikh
Agra – visita del Forte in arenaria rossa
Abhaneri – Chand Baori, antico e profondo pozzo a gradoni
Jodhpur, visita del Forte Mehrangarh a 100 metri d’altezza rispetto alla città
Jojawar, paesino sperduto, non turstico, nel deserto del Rajastahn
Udaipur, City Palace
LUOGHI IMPERDIBILI
Delhi – Jama Masjid, moschea a Old Delhi circondata da uno sfavillante mercato nella Old Delhi
Agra – Taj Mahal, una delle sette meraviglie del mondo moderno UNESCO
Fatehpur Sikri, la citta “fantasma” in arenaria rossa UNESCO
Jaipur – Palazzo dei Venti, dalla cui finestre le donne vedevano ma non venivano viste
Jaipur – Osservatorio astronomico Jantar Mantar UNESCO
Jaipur – Amber Fort e la salita in elefante UNESCO
Jaipur – Raj Manidr, il cinema più antico e famoso della Città, dove proiettano film di Bollywood
Johdpur, il mercato e il cenotafio (tomba di marmo bianco) Jaswant Thanda su una montagna di fronte al Forte Mehrangarh
Rajasthan – Tempio di Ranakpur, capolavoro d’architettura sperduto tra i monti Aravalli
Udaipur, un giro in barca sul Lago Pichola
Udaipur, cena alla Shiw Niwas Palace all’interno del City Palace
MINIMO DI GIORNI NECESSARI: 11
PERIODO MIGLIORE: durante il nostro inverno, si evita il forte caldo indiano
CONSIGLI PRATICI: la zona del Rajasthan conviene visitarla in auto on the road, anche se le distanze sono notevoli, ma muoversi con gli aerei è complicato e non in tutte le località esistono aeroporti. Molte linee aeree spesso ritardano o cancellano voli, quindi massima attenzione e prudenza con gli orari. Non sono previste vaccinazioni obbligatorie, ma è consigliabile la profilassi antimalarica; assolutamente necessaria l’assicurazione sanitaria perché la sanità in India è precaria; è necessario il visto d’ingresso che può essere fatto in 72 ore online e si chiama E-VISA (libro); in India tutti si aspettano la mancia.
SPESA MEDIA: 2.000 € per circa 10 giorni (compreso voli dall’Italia; alberghi minimo 4 stelle; pasti non inclusi).
HASHTAG: #viaggi, #viaggiare, #india, #asia, #travelblogger, #traveller, #travel, #travelling, #wonderful, #world, #discover, #discoverindia, #indian, #jaipur, #rajasthan, #delhi, #olddelhi, #jojawar, #newdelhi, #johdpur, #udaipur, #007, #jamesbond, #agra, #viaggiacomemamo, #tajmahal, #unesco, #cultura, #templi, #arte, #religion, #povertà
Tutte le foto contenute nell’articolo sono state scattate dall’autore.