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Laokoonte: Povera Italia, nave senza nocchiero in gran tempesta la cui incertezza si pagava con la Diaspora dei Talenti

Laokoonte: Povera Italia, nave senza nocchiero in gran tempesta la cui incertezza si pagava con la Diaspora dei Talenti

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Il ritorno di Laokoonte

scrivici a laokoonte@messinamedica.it

 

Un angolo graffiante, provocatorio ed estremizzato non per creare polemica o giudicare, ma che susciti un dibattito aperto

 

Povera Italia, nave senza nocchiero in gran tempesta la cui incertezza si pagava con la Diaspora dei Talenti

 

Vedere il mondo della sanità con gli occhi di chi ha attraversato il tempo dalla guerra di Troia a oltre diecimila anni dopo Cristo ti consente di percepire alcune sfumature, valutando gli errori commessi e proponendo soluzioni. Ma insito nel mio nome c’era la maledetta impossibilità di essere ascoltato.

Una grande confusione regnava nei primi anni del terzo millennio in Italia. Chi si trovava al timone della nave in gran tempesta ci si rendeva conto solo allora che le correzioni della barra si riflettevano sulla rotta solo dopo una latenza di tempo che era direttamente proporzionale alla velocità di navigazione, alla corrente e alle dimensioni del natante. Ecco che tutto ciò prevede un’organizzazione mentale capace di progettare preliminarmente la rotta da seguire secondo una visione a medio e lungo termine.

A causa degli errori nella valutazione del fabbisogno di medici ci si trovava con numerosi ospedali che non riuscivano a reperire professionisti per coprire l’organico del Pronto Soccorso e di alcuni reparti di chirurgia. Nonostante per decenni si fossero levate le grida delle organizzazioni sindacali e di esperti del settore che vaticinavano da anni questa grave e progressiva carenza, governo e regioni facevano orecchio da mercante, salvo poi lanciare allarmi che denunciavano una situazione irrisolvibile, con soluzioni che servivano solo a coprirli di ridicolo. Nessuno sembrava accorgersi che la carenza cronica di personale esponeva i medici degli ospedali a garantire in silenzio un cumulo collettivo di 15 milioni di ore annue di straordinario non retribuito.

Inoltre, la programmazione del numero dei posti in specializzazione era sbilanciata: in eccesso per alcune specialità, in difetto per altre, con la conseguente carenza di specializzandi a coprire alcuni ruoli fondamentali dell’organizzazione sanitaria.

Gli stipendi insufficienti, con contratti fermi al secolo precedente, producevano inoltre una migrazione verso il privato dei medici pensionati, determinando un’ulteriore carenza negli organici pubblici. Paesi quali l’Inghilterra, la Germania, la Francia e la Svizzera diventavano le mete dei giovani medici già formati a spese degli Italiani, producendo insufficienza di ricambio. Per certe agenzie di reclutamento era facile arruolare medici italiani da assumere a tempo indeterminato all’estero, allettandoli con l’idea di vivere in paesi economicamente e socialmente più avanzati, con migliore qualità di vita e con stipendi di molto superiori.

Basti pensare che in Italia i medici specialistici dipendenti percepivano uno stipendio annuo di circa 81.500 euro lordi in media. In Germania, il corrispettivo era invece di oltre 148 mila euro, mentre i medici liberi professionisti arrivavano mediamente molto vicino ai 225 mila euro.

L’ambiente di lavoro negli ospedali era per molti inospitale a causa dei continui tagli alla sanità che avevano ridotto la spesa pubblica al gradino più basso tra i paesi OCSE. Il successivo passaggio delle competenze per la salute pubblica alle regioni aveva peggiorato ulteriormente la qualità del lavoro: meritocrazia assente, burocrazia dilagante, incombenze di pertinenza amministrativa ribaltate sui sanitari, per non parlare delle limitazioni nell’uso dei materiali e della prescrivibilità di farmaci.

Infine il capitolo dello spettro della malpractice rendeva mefitico l’ambiente di lavoro della classe medica. In quegli anni, l’Italia era tra i soli 3 paesi al mondo (oltre Messico e Polonia) in cui un medico rischiava di essere sottoposto a un processo penale, oltre che a quello civile, e vi era lo spettro del carcere e della confisca dei beni nel caso di condanna.

Inoltre la politica insulsa aveva squilibrato i carichi del lavoro tra ospedali pubblici, territorio e privato, distribuendo in maniera iniqua le attività più gratificanti come la diagnostica e le visite ambulatoriali alle organizzazioni private, e quelle meno redditizie, più impegnative e frustranti agli ospedali pubblici. Anche dal punto di vista fiscale i medici pubblici venivano vessati dal sistema che trattava con indulgenza i liberi professionisti, contribuendo significativamente alla fuga dagli ospedali verso la libera professione.

La legge della domanda e dell’offerta che da sempre governa il mondo incentivava così la fuga verso l’estero dei giovani e il ripiegamento verso il privato dei medici affermati. L’unica soluzione cervellotica era quella di sostituire le unità mancanti con medici non ancora specialisti, sottopagandoli con contratti a tempo determinato, o con medici già in pensione con contratti libero-professionali, oppure importandoli da altri paesi con un risparmio economico. L’ultima trovata era stata infine quella di risolvere il problema con le sanatorie per superare l’imbuto delle specializzazioni. Era cioè l’ennesimo condono per consentire a chi non era in possesso delle specializzazioni di poter accedere per sanatoria alle strutture ospedaliere. Si veniva a creare così una sanità a bassa definizione, in linea con altre deregulation operanti nel paese. Si risparmiava a tutti i costi sull’assistenza per dirottare risorse da finalizzare agli interessi personali dei politici o degli amministrativi di turno.

Solo alcuni numeri per quantificare il problema: nei primi dieci anni del terzo millennio erano andati all’estero per lavorare oltre diecimila professionisti italiani tra medici, insegnanti delle scuole superiori, avvocati, architetti, ingegneri e altre figure. Nelle università inglesi operavano in quegli anni oltre duemila accademici provenienti dall’Italia. Presso il CERN di Ginevra lavoravano diverse centinaia di fisici italiani. Negli Stati Uniti il gruppo italiano era tra i più copiosi tra gli scienziati europei e, secondo una ricerca del CNR, erano ben 25mila i professionisti italiani di ruolo negli USA, di cui 3.500 accademici.

Diversi anni dopo la soluzione traumatica fu trovata, ma molti non ne furono contenti.