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di filippo cavallaro
Mettendo insieme perturbazione e tocco mi viene in mente un episodio descritto in un testo che, in occasione di un incontro per la Settimana Teologica diocesana, abbiamo citato con Mons. Costa in libreria da mio figlio, un testo che è più facile trovare dalle Paoline. Si tratta dell’episodio della emorroissa descritto da Marco (5,25-34), Matteo (9,20-22) e Luca (8,43-48).
Viene descritta una perturbazione subita, non voluta, da chi dichiara di essere stato toccato. Si tratta di una donna che avrebbe voluto toccare Gesù ma non riuscendoci si allunga e riesce a toccargli il mantello. Lui se ne accorge ed esclama: Chi mi ha toccato?
È chiaro che non c’era stato contatto diretto con il corpo, eppure il mantello era stato il tramite di una esperienza, una perturbazione che di scatto, automaticamente, porta a dichiarare di essere stato toccato.
Un episodio che deve portare chi lavora in Sanità a riflettere su quanto e come è sensibile una persona, ancora di più un ammalato, preoccupato per la propria salute. In quella condizione la persona oltre all’esperienza di ciò che avviene all’interno del corpo, tra i vari organi e tessuti, oltre all’esperienza della grande superficie recettoriale della cute, gestisce uno spazio peripersonale che non è del corpo in quanto struttura fisica, ma è della persona, che subisce, che governa, che si adatta alla perturbazioni.
Lo spazio dove interaggì l’emorroissa con Gesù, uno spazio che spesso noi professionisti sanitari non consideriamo, presi da chissà quali priorità. Uno spazio che chi percepisce violato considera alla pari del contatto diretto. Teniamolo presente perché è della persona e non del corpo.