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di Giuseppe Ruggeri
La letteratura italiana perde con Andrea Camilleri una delle figure più originali e al tempo stesso problematiche della nostra epoca. Senz’altro originale la sua ricerca di un linguaggio nuovo, che riuscisse a contemperare le esigenze di pubblici diversi, come tuttavia problematica la sua collocazione nell’ambito di un genere letterario preciso. La geniale contaminazione di termini dialettali e termini in madrelingua, conditi da una vis comica degna della migliore commedia plautina e inseriti in una più che solida impalcatura romanzesca costituiscono la cifra essenziale dello scrittore. Il quale, nel corso degli ultimi venticinque anni, ha sostanzialmente dominato le classifiche imponendosi per la fluidità narrativa, la scelta dei soggetti e delle trame, il profondo psicologismo dei personaggi che ha inventato.
L’elemento contraddistintivo che, a modesto giudizio di chi scrive, conferisce particolare forza all’arte camilleriana è l’impianto narrativo. Un impianto concepito in un modo teatrale (Camilleri nasce come regista e sceneggiatore) la cui studiata scientificità non lascia mai nulla al caso. Rigida la suddivisione in capitoli (“il mio schema è molto matematico” soleva dire “ogni romanzo di Montalbano è composto di 18 capitoli e ogni capitolo è di 10 pagine sul mio pc. Solo così posso scrivere un libro di 180 pagine. Non di più, altrimenti il lettore si perde”) e sapientemente equilibrata la scansione spazio-temporale delle descrizioni e dei dialoghi che vi si succedono come su un palcoscenico.
Il corpus dell’opera camilleriana è schematicamente suddivisibile in due tronconi principali: da una parte vi sono i romanzi storici, ambientati nella Vigata dell’Ottocento, dall’altra quelli – più noti – che hanno come protagonista il commissario Salvo Montalbano. Ed è stato proprio Montalbano a decretare la fama di Camilleri, culminata con la fortunata riduzione televisiva dei romanzi che narrano le sue avventurose indagini girate nei luoghi del barocco siciliano – Ragusa, Modica, Scicli – che i telespettatori hanno potuto apprezzare in tutta la loro sfolgorante magnificenza. Il che ha, di riflesso, creato un rilevante indotto turistico il quale ha contribuito a valorizzare questi luoghi oggi dichiarati patrimonio dell’Unesco.
Apprezzato in tutta Italia e tradotto in moltissimi Paesi (Spagna, in particolare) Camilleri lascia un segno nel vissuto complessivo della nostra tormentata Sicilia. Della quale ha ritratto più ombre che luci, dalla mafia al dramma degli immigrati, dalla miseria dell’entroterra agli intrighi politici, senza mai sottrarsi a un appassionato impegno civile che l’ha visto spesso in prima linea contro gli abusi di potere e le ingiustizie sociali.