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Il “Risparmiometro”: l’ultima arma messa in campo  dall’Agenzia delle Entrate contro l’evasione fiscale

Il “Risparmiometro”: l’ultima arma messa in campo dall’Agenzia delle Entrate contro l’evasione fiscale

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Una delle metodologie più in uso nelle tecniche di problem-solving che ha trovato la propria apoteosi negli insegnamenti di Steve Jobs è il “tink different”. Quando cioè devi risolvere un problema di cui non trovi la soluzione: azzera tutto e ribalta al contrario l’analisi che hai fino a qui fatto e vedrai che la soluzione emergerà da sola.

Dopo lo Spesometro e il Redditometro arriva così il Risparmiometro, un nuovo modo di analizzare la situazione bancaria del contribuente. Questo nuovo sistema è orientato all’identificazione di chi lascia intatto il proprio deposito bancario, dimostrando così di avere contanti con cui vivere prodotti da entrate non correttamente dichiarate. L’analisi automatica viene svolta attraverso un nuovo algoritmo che verifica se i risparmi accumulati dal contribuente in un anno sono coerenti con i redditi dichiarati.

Le prime sperimentazioni sono state eseguite sulle grosse società, adesso si è passati ad una fase operativa con l’avvio delle procedure di controllo sui prelievi dal conto corrente anche per le persone fisiche grazie al via libera dal Garante della privacy.

La novità sta infatti nel capovolgimento di filosofia rispetto a quella che, in passato, è stata utilizzata dalla Guardia di Finanza e dagli Uffici delle Imposte: Gli accertamenti fiscali non saranno solo mirati a chi esegue sostanziosi prelievi dalla banca o chi fa acquisti che potrebbero insospettire e verificare un tenore di vita troppo alto rispetto alle entrate dichiarate. Verranno identificate e messi sotto la lente d’ingrandimento soprattutto quei soggetti che prelevano poco dal conto corrente.

Poiché il nuovo algoritmo è in grado di calcolare i risparmi detenuti sul conto, parametrandoli al reddito percepito il sospetto di evasione fiscale sarà orientato verso chi lascia intatto il proprio deposito bancario, dimostrando così di avere contanti con cui vivere di cui non se ne rileva la giustificazione logica.

Da quando è entrata in funzione l’Anagrafe Tributaria le banche e gli operatori finanziari sono obbligati a fornire al Fisco non solo i saldi annuali dei nostri conti ma altre informazioni su base mensile come l’apertura o la chiusura di conti correnti, oppure le operazioni effettuate allo sportello con assegni o contanti. Con questo strumento l’Anagrafe ha accumulato dati su 75 milioni di conti correnti, su 115 milioni di carte di credito e su 21 milioni di gestioni patrimoniali, per un totale di addirittura 670 milioni di rapporti finanziari.

Quando il nuovo algoritmo rileverà un risparmio eccessivo rispetto ai redditi dichiarati dal contribuente, nascerà il sospetto che ci si trovi davanti ad una disponibilità di contanti sfuggita alla dichiarazione dei redditi e quindi, presumibilmente, da un’evasione fiscale. A questo punto l’Agenzia delle Entrate chiederà chiarimenti sulla propria posizione. Al contribuente spetterà l’onere della prova per dimostrare che i soldi con cui ha potuto mantenere la famiglia, conservando intoccato il conto corrente, sono da ascriversi a disponibilità lecitamente percepite e dichiarate al netto delle tasse.