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di Giuseppe Ruggeri
Un lungo post condiviso su Facebook da un caro amico mi ha fatto assistere, in diretta, alla spaventosa esplosione di Stromboli avvenuta nella mattinata del 28 agosto, mentre i villeggianti dell’isola vi trascorrevano una serena vacanza balneare. Una descrizione impressionante, che ci ricorda l’imprevedibilità dei fenomeni naturali – in particolare terremoti ed eruzioni vulcaniche – in grado di trasformare momenti felici in un incubo senza fine. A Stromboli questo può succedere, sì proprio in un quell’isola paradisiaca, per me la più surreale e onirica delle sette sorelle, quasi a dimostrare che la bellezza viaggia sullo stesso binario della distruzione, eterno dualismo tra amore e morte.
“Eravamo in spiaggia, chi in acqua, chi a prendere il sole” scrive R.A. “una nuvola densa e nera ha oscurato il cielo. Giganteschi massi incandescenti hanno incendiato la vegetazione nel loro incessante roteare. Sibilanti sirene della protezione civile stentavano a coprire gli appelli concitati di chi tentava di chiamare a raccolta i propri cari facendoli uscire immediatamente dall’acqua del mare per evitare i rischi di possibili onde anomale. E’ stato un fuggi fuggi generale, ordinato. Tutti diretti in piazza, nel punto più alto, seguendo la segnaletica. (…) Una pioggia di cenere ha coperto teste, strade, tetti, coraggio. Tante mascherine proteggi fumo prontamente indossate ci facevano assomigliare a tanti giapponesi in vacanza”.
Adesso tutto sembra rientrato nella normalità. Ma nessuno può assicurare che il pericolo sia scampato. Il passare del tempo, in ogni caso, non faccia dimenticare che episodi del genere continueranno a capitare. A dispetto di ogni scienza e in onta a ogni superbia umana. Il guscio sul quale camminiamo è fragile più di quanto si possa credere. Basta saperlo per non pretendere di comandarlo a nostro piacimento.