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Il dibattito sulla pratica della circoncisione per religione

Il dibattito sulla pratica della circoncisione per religione

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In risposta agli episodi di cronaca degli ultimi mesi e per scongiurare emergenze evitabili ed a tutela della salute e del rispetto della libertà religiosa sono stati auditi il 23 ottobre 2019 in commissione parlamentare per l’infanzia e adolescenza alcuni importanti stakeholders. In particolare Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, il rabbino capo di Roma e medico Riccardo Shemuel Di Segni e Yahya Sergio Yahe Pallavicini, presidente della Comunità religiosa islamica (COREIS) italiana.
L’assoluta liceità della a circoncisione è un atto previsto per legge (101/1989) che ha riconosciuto la pratica circoncisoria ebraica all’interno dell’ordinamento giuridico italiano. Purtuttavia, all’interno della comunità ebraica esiste una regolamentazione interna di tradizione secolare che prevede un albo di abilitati alla pratica della circoncisione nella quale sono previste regole, requisiti necessari e un preciso protocollo da eseguire prima dopo e durante la pratica rituale al fine di assicurare il corretto svolgimento della pratica.
Riccardo Shemuel Di Segni, Rabbino capo di Roma e medico, ha spiegato tecnicamente le regole della circoncisione ebraica e i possibili punti di contatto con il sistema sanitario italiano. La circoncisione viene considerata un pilastro fondante dell’identità religiosa ebraica e va eseguita in età neonatale a partire dall’ottavo giorno di vita (come indicato espressamente nella Bibbia). A quell’età il sistema coagulativo del neonato ha la sufficiente maturità per affrontare in tutta sicurezza l’intervento. Nel caso di problematiche di salute è possibile rimandare la pratica oltre l’ottavo giorno ma comunque non oltre il primo mese di vita.
La circoncisione quale pratica religiosa, secondo la tradizione ebraica, non viene effettuata quindi in ambiente ospedaliero e viene eseguita con modalità e riti che in un ambiente ospedaliero non potrebbero essere rispettati.
Dal dibattito è emerso che proprio per questo motivo l’introduzione di un vincolo ospedaliero obbligatorio rappresenterebbe una risposta sbagliata ai casi di cronaca degli ultimi mesi che incentiverebbe il ricorso al fai da te. Una soluzione sembrava potesse essere quella istituita a Roma con la convenzione con il Policlinico Umberto I per l’esecuzione della circoncisione da parte di personale dedicato dietro pagamento di un ticket il cui costo, circa 500 euro, resta però proibitivo per alcune famiglie, aprendo così la strada a pratiche non sicure per la salute.
Questo tipo di iniziale intesa con il Sistema Sanitario italiano, a differenza della comunità ebraica, non è mai stata attivata per la comunità islamica, come ha precisato Yahya Sergio Yahe Pallavicini, presidente della Comunità religiosa islamica italiana, rendendo il quadro molto meno controllabile. Un precorso auspicabile potrebbe essere quella di una soluzione interreligiosa con l’estensione della convenzione attiva a Roma su tutto il territorio nazionale. Il convenzionamento della circoncisione presso le strutture ospedaliere senza oneri aggiuntivi potrebbe rappresentare la soluzione dell’annoso problema.

La conclusione della seduta ha aperto all’auspicio della nascita di una commissione mista formata da giuristi, politici, rappresentanze religiose e mediche che sia in grado di fornire un nuovo e più completo approccio alla questione che tenga conto della legalità della procedura e del credo religioso dei vari orientamenti religiosi.