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Un servizio sanitario a due velocità, il Sud in affanno su tutto

Un servizio sanitario a due velocità, il Sud in affanno su tutto

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C’è una favola perdurante che riguarda il sistema sanitario italiano, spesso sbandierato come capace di erogare un’assistenza gratuita superiore a qualsiasi altro, specie se confrontata a quella di altri Paesi europei o anglosassoni. La realtà però è altra cosa.

La nostra spesa sanitaria pro capite, fissata a 2.551 euro (dati 2017 ultimo esercizio per il quale si dispone un quadro completo di fonte ISTAT), mostra che l’Italia spende meno della media europea: non solo di Germania, Olanda, Francia, Regno Unito da quest’anno, anche di Malta. La quota di spesa a carico delle famiglie italiane al contrario è superiore a quella della Germania, in linea con quella rilevata in Francia, inferiore al livello raggiunto in Spagna e Portogallo. Anche in questo caso con aggravanti che riguardano le regioni del Sud del nostro Paese.

Chi scrive non parla solo per aver consultato grafici e tabelle. Vivo la maggior parte del mio tempo in Sicilia, qui nel 2017 sono stato colpito da una sepsi polmonare (quasi certamente presa altrove) e ricoverato d’urgenza all’Ospedale Cannizzaro di Catania. Mi sono state diagnosticate poche ore di vita. Ottimi medici di guardia al Pronto soccorso, ottimi pneumologhi, l’ottimo primario della Terapia Intensiva tutti insieme sono poi riusciti a riacchiappare un vegetale a cui funzionavano ormai solo il cuore e il cervello (messo immediatamente a riposo da un coma farmacologico indotto) e in 28 giorni a riportarlo a galla.

Poi caricato su un aereo ambulanza mi è stato concesso di raggiungere una clinica riabilitativa lombarda: nessuna struttura pubblica all’altezza del compito era infatti reperibile sull’isola. Dopo cinque mesi di straordinario lavoro dell’equipe medica e infermieristica del Presidio dell’Ospedale Valduce “Villa Beretta” di Costa Masnaga della vicenda occorsami è rimasto solo il ricordo.

Gli stessi medici quando ho ripreso a parlare non si capacitavamo: non avevano in realtà mai sentito la voce di quell’ex-vegetale sdraiato sul un lettino e accudito per settimane e settimane nonostante le poche speranze di salvarlo. Il mio è stato un caso fortunato. Su cui riflettere attentamente però.

Perché i medici singolarmente possono essere ottimi, anzi eccezionali come avvenuto nel mio caso. Ma se la struttura o l’impianto socio sanitario in cui lavorano fanno acqua i risultati non saranno mai all’altezza del loro impegno. E qui occorre guardare allo stato deficitario delle strutture sanitarie nelle regioni del Sud: esattamente come accade per istituti scolastici, gli asili nido, mense scolastiche, trasporti locali o servizi sociali.

Anche il VII Osservatorio civico sul federalismo in sanità, presentato da Cittadinanzaviva lo scorso martedì 24 ottobre – appare come la fotografia impietosa dello iato esistente tra i diritti – in questo caso alla cura – tra i cittadini residenti al Sud e al Nord. Sicilia, Calabria, Basilicata e Campania non hanno ancora adottato il Piano Nazionale per le cronicità del 2016. Ma più in generale il Sud arranca su tutto: dall’utilizzo dei farmaci equivalenti agli screening oncologici

L’adesione allo screening cervicale vale in Calabria il 60%, in Emilia Romagna si arriva al 90%. Per la copertura per la diagnosi precoce dei tumori colorettali si va dal 25% di adesione nel Sud al 65% al Nord. L’adesione allo screening mammografico al Nord vale per l’83% della popolazione, al Sud si ferma al 59%. Ma le lettere di invito previste per legge raramente raggiungono il 100% degli aventi diritto. Una randomizzazione occulta?

Non può sorprendere dunque se le regioni meridionali si collocano al di sotto della media nazionale rispetto alla speranza di vita alla nascita; I cittadini nati in Calabria hanno una aspettativa di vita in buona salute di 15 anni inferiore a quelli del Trentino.

Che cosa è accaduto? Che cosa sta accadendo? In un Paese che già mostrava profondi squilibri territoriali in termini di servizi, si è innestata la riforma del Titolo V della Costituzione e poi, nel 2009 (governo Berlusconi IV con Lega Nord e MpA) la legge quadro sul federalismo fiscale. Una misura velenosa che ha affidato alle Regioni la competenza amministrativa in materia di politiche sociali, senza aver definito il limite inferiore per le prestazioni riguardanti il diritto all’istruzione, alla salute e all’assistenza sociale.

L’abolizione del super-ticket sanitario regionale prevista ora dal Governo giallo-rosso con la nuova Legge di Bilancio per il 2020 è un primo piccolo passo avanti. Il Ddl Sanità 2020 opererà infatti un riordino complessivo dei ticket per prestazioni specialistiche, diagnostica strumentale di laboratorio in base al costo delle stesse e al reddito familiare: una misura minima di solidarietà sociale.

“Occorre però far fronte alle disparità nell’esigibilità dei livelli essenziali di assistenza con cui i cittadini devono fare i conti” dichiara Anna Lisa Mandorino, vice segretaria generale di Cittadinanzattiva. “Per mitigare i possibili effetti perversi dell’autonomia andrebbe approvata la proposta di riforma costituzionale, lanciata da Cittadinanzattiva con la campagna #diffondilasalute, che intende integrare l’art.117 nella parte relativa alle materie di legislazione concorrente, per rafforzare e restituire centralità alla tutela del diritto alla salute del singolo cittadino″.

 

Aldo Premoli

Giornalista e scrittore. Fondatore della Onlus Mediterraneo Sicilia Europa