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Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Lessico”

Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Lessico”

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di Filippo Cavallaro 

In libreria, da mio figlio, giorno 5 gennaio scorso, per ricordare il grande semiologo Umberto Eco, si è svolta una gara di enigmistica che vedeva come argomento l’abazia e quanto vi accade nel romanzo “Il nome della rosa”.La nota storia, divenuta anche soggetto di un bel film, vede il frate Guglielmo di Occam, ex inquisitore, incaricato a risolvere il mistero di alcuni delitti che insanguinano la quotidiana vita dell’abazia fortificata, cadenzata da preghiera e lavoro.Verso l’ora terza del primo giorno il frate incontra Abbone, l’Abate dell’abbazia, e durante la prima conversazione di benvenuto ed accoglienza, scopre che buona parte del lavoro dei monaci è dedicato alla gestione dell’Edificio e dei materiali lì custoditi, è una biblioteca. Uno scrigno di libri, di creature fragili, soggette sia all’usura del tempo che all’aggressione dei roditori, agli sbalzi termici ed alle intemperie come alla sofferenza procurata da mani inesperte.L’indagine vede proprio la biblioteca come luogo principale per avviare l’inchiesta e la necessità da parte di Guglielmo di saper risolvere i problemi legati sia al labirinto fisico della struttura ed alla complessità del metodo di classificazione delle opere. Questo malgrado l’Abate abbia affermato che “Nessuno deve. Nessuno può. Nessuno, volendolo, vi riuscirebbe. La biblioteca si difende da sola…”.Umberto Eco teneva molto alle parole ed al loro uso, soprattutto verbale, e proprio l’altro giorno ho assistito ad una conversazione senza comunicazione. Avevo appena completato l’intervento pianificato nel programma di fisioterapia con il sig. Teno, un ottantacinquenne di un piccolo centro agricolo dei peloritani, chiedendogli di farmi vedere alcuni gesti della manualità quotidiana nell’accudire il suo piccolo orto. Ero passato al paziente del letto accanto quando entra nella stanza uno stuolo di medici, tra strutturati e specializzandi in formazione. Sono proprio interessati a Teno, e, circondato il letto, uno di loro chiede se ha fatto la terapia. Lui risponde di no. La domanda era per sapere se aveva fatto la fisioterapia, la risposta era che ancora non aveva ricevuto dall’infermiere alcun farmaco.Mi permetto di intervenire e sottolineo che la dottoressa voleva “anche” sapere se aveva fatto gli esercizi, se era stato seduto, se aveva fatto le prove per alzarsi dal letto. Lui risponde in modo vivace, che si, da seduto abbiamo parlato di come sistema i solchi, uno per ogni tipo di ortaggio o verdura di stagione, e di come era capace di passarsi da una mano all’altra gli attrezzi anche dietro la schiena.Nel lessico usato giornalmente purtroppo si usano pochi termini, ed è facile che la conversazione, già di per se informale, scada ad un livello dove non c’è più comunicazioneQuesto era proprio ciò che stava succedendo i due interlocutori si parlavano ma il loro dialogare non corrispondeva alla comunicazione ma alla trasmissione di messaggi discordanti tra emissario e ricevente ma apparentemente corretti.Con i nostri assistiti sarà sempre il caso di “tarare” il nostro linguaggio sul loro linguaggio senza essere convinti a priori della loro competenza linguistica. Così come sarà sempre importante curare il linguaggio con i colleghi ampliando il lessico con nuovi vocaboli legati alla innovazione tecnologica e/o alla internazionalizzazione delle conoscenze. L’importanza del così detto circolo ermeneutico è qui al massimo della sua valenza. Due persone estranee tra loro, con conoscenze diverse, debbono condividere un testo che, nella totalità così come in ogni singola parte, deve essere ugualmente interpretato.