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di Carmelo Micalizzi
TOPONOMASTICA “STORICA” DI MESSINA
DINNAMMARE – PRIMA PARTE
Dinnammare è il monte che domina a Sud Ovest lo Stretto e la città di Messina. Il nome è attribuito alla vetta (m. 1279) della giogaia peloritana che, estesa ad arco dal fiume Alcantara alla rocca di Novara, segna l’estrema cuspide nord-orientale della Sicilia in un variegato contesto di picchi rocciosi, colline, fiumare e piccoli centri abitati.
I monti Peloritani prendono nome da Peloro, ingente, immane, portentoso, legato alla mitografia del “Fretum”, cosiddetto ab fervore undarum. Erano arcaicamente noti come monti Croni (Saturni) con rimando al mito di Cronos (Saturno) evirato da Zeus con una falce, “zanclon”, che gettata in mare avrebbe conformato il porto di Zancle. Alcuni scolii ellenistici raccolgono la tradizione letteraria di Saturno seppellito in cima al Dinnammare. Si indicarono anche monti Poseidoni (Nettuni) – secondo altra memoria – per la presenza sul vicino promontorio peloride di un sacrario dedicato alla massima divinità pelagica. In epoca storica furono detti monti Calcidici con riguardo alla fondazione calcidese di Zancle.
Numerosi autori greci e latini svolgono il tema dell’intricata oronimia peloritana. Tra questi sono basilari i riferimenti della geografia storica di Polibio (200-118 a.C.) cronista di una Storia in quaranta libri di cui soltanto i primi cinque ci sono giunti integri; di Diodoro Siculo (90 ca-20 ca a.C.) compilatore di una Biblioteca Storica tramandatici anch’essa in quaranta libri; di Plinio il Vecchio (23 o 24-79 d.C.), autore di una Storia Naturale in trentasette libri pervenutici completi; di Pomponio Mela (sec. I d.C.) estensore di una Corografia meglio nota come De situ orbis, il più antico trattato geografico in latino di cui si disponga; di Caio Giulio Solino (secc. III-IV d.C.), scrittore di una Collectanea rerum memorabilium, “Raccolta di cose memorabili”, svolta sull’intelaiatura della geografia di Plinio il Vecchio (I sec.) e che pure si rifà a Pomponio Mela (I sec.).
Una summa dellapaleotoponimiadella preziosa tradizione letteraria sul monte è compendiata nella Sicilia Antiqua (1619) dell’umanista e geografo tedesco Filippo Cluverio (1580-1623). I brani del Cluverio, mutuati dagli originari testi greci e latini, riportano: Sulla città [di Messina] si eleva un’ampia catena di monti che si erge dalla regione di Taormina fino al mare Etrusco. Si chiamavano, in tempi antichissimi […], Peloris, Pelorias, Pelorus: per tale motivo anche il sottostante litorale è detto Peloritano. La stessa giogaia era denominata, con altro nome, monte Nettunio, dal vicino celeberrimo tempio di Nettuno sul piccolo promontorio del Peloro. Solino, cap. XI: [La Sicilia] si distingue per i monti Etna ed Erice. […] vi sono anche altri due monti: Nebrode e Nettunio. Sul Nettunio si erge una vedetta per l’osservazione dei mari Tosco e Adriatico. Questo osservatorio era stata costruito nello stesso posto dove ancora oggi si ergono non pochi ruderi di una torre, su di una cima elevatissima tra altissimi monti, sulla sinistra della via che da Messina conduce a Milazzo. Più avanti sono notevoli alcuni luoghi montani del Nettunio […], già monte Calcidico, ovvero, con vocabolo al plurale, le Eunes o Senes. Polibio, lib. I: […] i Cartaginesi, ormeggiata la flotta presso capo Peloro, posero l’accampamento dell’esercito presso le cosiddette Senes e prepararono con tutte le forze l’assedio navale di Messina. Gerone muovendosi quindi da Siracusa intraprese la marcia verso Messina. Disposto l’accampamento in altra parte, presso il monte Calcidico, impedirono agli assediati l’uscita. Dallo scritto di Polibio si comprende come sia stato denominato Calcidico questo giogo di monti che si erge in direzione di Siracusa da occidente a settentrione, ed Eunes o anche Senes (è dubbio quale dei due termini sia più autentico) i passaggi montani da occidente a meridione per i quali si va a Milazzo, Palermo, Lilibeo. In entrambi gli itinerari, nella stessa catena del Peloro o Nettunio, si trovano pertanto […] le Fauces, gli angusti passaggi ricordati da Appiano, De bello civile Lib.V: Le Fauces Mylenses, nel detto monte Nettunio, sono quelle per le quali si transita da Messina verso Milazzo e fino la foce del fiume Malpurtito con un percorso di settemila passi […].
I passi cluveriani sono rilevanti per la memoria di una “torre di guardia, di osservazione”, una “vedetta”: Specula ista fortè fuerit eodem situ, ubi etiam nunc turris haud parve reliquie exstant in sublimi inter altissimos monteis vertice, à sinistra partae viae, qua Mylas itur à Messana, “questo osservatorio era stato costruito nello stesso posto dove ancora oggi si ergono non pochi ruderi di una torre, su di una cima elevata tra altissimi monti, sulla sinistra della via che da Messina conduce a Milazzo”. È notevole anche l’enfatico rimando alla posizione in sublimi inter altissimos monteis vertice, “su di una cima elevata tra altissimi monti” e ad un passaggio caratteristico: Fauces igitur Mylenses in dicto Nettunio monte sunt eae per quas à Messana versus Mylas […] transitur, “Fauces sono dette quelle per le quali si transita da Messina verso Milazzo”. Pertanto, mentre la Specula indica un’architettura con palese funzione di osservatorio, di vedetta, un torrione di guardia, le Fauces (Eunes, Senes) sono di significato più nebbioso. Il termine è chiarito dal grammatico Servio (secc. IV-V): Fauces dicunt itinera inter duos montes locata angusta atque pervia, “Fauces sono detti quei passi angusti ma praticabili che si trovano tra due monti”. Il raro vocabolo è pure chiosato da Isidoro di Siviglia (560 ca.- 636 d. C.): Fauces sunt aditus angustorum locorum inter arduos montes, loca angustia et brevia, dicta a faucium similitudine, quasi foces, “Fauces sono quei passaggi di luoghi stretti tra alti monti, posti angusti e ridotti cosi chiamati per somiglianza alle fauci, quasi fossero foci”. Il sito identifica il Palestenus ager di Abramo Ortelio (1527 – 1598), passo montano per il quale si va a Milazzo, Palermo, Lilibeo. A parere dello scrivente “Palestenus” è sinonimo di “antica strettoia” e, come tale, è segnato nelle carte geografiche della Sicilia veteris typus (1584) all’inizio della via Valeria.
Il ruolo strategico dellaSpecula si estendeva al vicino Nauloco, statio navium, il ridotto di navi descritto da Appiano di Alessandria (secc. I-II) e individuato dal Cluverio e da Giovanni Andrea Massa (1653-1708) nella sua postuma Sicilia in prospettiva (1709) appena oltre il Falacrio, oggi capo Rosocolmo, alla foce del fiume detto Malpurito, da identificare nella marina di Rometta, nei pressi della foce del torrente Saponara. Ma il controllo visivo andava ben oltre guardando l’intera contrada del promontorio Peloride con il Trajectus, Statua speculatrix (Turris Pelori), Templum Neptuni (Poseidonium) e, più ad occidente, l’enigmatico Fanum o Templum Dianae (Artemision), attiguo al citato Nauloco, segnati negli antichi itineraria.
Altri storici riferimenti onomasticidiDinnammare, oltre alla generica denominazione di Magnum Montem raccolta da una bolla del Gran Conte Ruggero (a. 1130) e compendiata da Rocco Pirri nella Sicilia Sacra (1733), emergono dalla storiografia siciliana e dallo spulcio di antiche carte geografiche.
Giuseppe Carnevale (1591) spiega: Dimmari […] per la grande quantità di Daini che ivi furono come Solino nell’undecimo racconta.
Anche Placido Reina nell’introduzione alle Notizie istoriche della città di Messina (1658) ribadisce: […] il monte posto su’l territorio di Messina [è] detto corrottamente Dinnammare dalla voce damarum che in Latino suona delle damme, o vero de’ daini, che in esso vi erano.
Vito Amico ricalca nel Dizionario Topografico (1855) una suggestiva paraetimologia: Bimari. Lat. Bimaris. Monte, volgarmente Dinnamari, dagli antichi Saturnio, sulla spiaggia di Messina, cosi detto perché dalla sua più alta vedetta, secondo malcuni, sovraneggia due mari, il Tirreno ed il Jonio. È parere però di altri dirsi Dinnamari, o monte delle damme, perché le sue parti selvose e scoscese abbondano in damme. Deriverebbe così il toponimo dalla cospicua presenza di daini, sulle pendici del monte fino alla marina, con lettura (poco verosimile) di damnae mari, ‘daini a mare’.
Trascrive invece Antonino Mongitore (1742): Monte altissimo, otto miglia da Messina distante, che negli antichi tempi avea in cima una torre di guardia, in cui vegliavano le sentinelle per spiare i due mari Tirreno ed Adriatico, onde acquistò il nome Dinnamare, corrotto dal latino Bimaris.
Singolare è il commento al nome del monte di Giuseppe Vinci (Ethymologicum 1759): Il territorio di Messina, dal Peloro al promontorio Argennum, è cinto da una giogaia di monti, la somma altura è chiamata dinnamari. Samperi ritiene che il suo nome sia bimaris, poiché si prospetta sull’Jonio e sul Tirreno. Mi è invece sospetto che sia stato detto dinamis Aris ovvero robur Aris, per il gravoso impegno di ascendere a quella altezza.
Più organica è la scheda elaborata da Michele Pasqualino (1786): Dinnammari, monte altissimo nel fianco di mezzo giorno, circa otto miglia distante da Missina, nella di cui cima fu in quei primi secoli edificata una torre di guardia, dove vegliano di continuo le sentinelle per guardare l’uno e l’altro mare, Tirreno e Adriatico, nella quale coll’andar del tempo disfatta, i Messinesi per loro divozione eressero un divoto sacrario collocatavi l’Immagine di Maria Vergine nominata la Madonna del monte Dinnammare […] moder. Bimaris Samperi, Dimmaris Fazello detto dal Lat. bimaris. Corrotta questa voce dal volgo dinnammari quasi monte di due mari, mentre signoreggiava entrambi, molto più significando torre s’intende che guarda l’uno e l’altro mare.
Tanto suggestiva (quanto improbabile) è la trascrizione monte de Namari leggibile in alcune importanti carte geografiche della Sicilia. Tra tutte si evidenziano le seicentesche incisioni edite da Giovanni Antonio Magini, Gerard Mercator, Wilhem e Joan Blaeau. Distinguibili, per le trascritture M. Namari e Namari Mons, sono le carte di Philippe Briet e di Theodorus Danckerts.
È da segnalare il commento di Michele Amari (1880) sulla possibile identificazione di Dinnammare con l’enigmatico monte Miconio. L’arabista argomenta la propria ipotesi nella Biblioteca arabo-sicula in appendice ad una elaborata nota sulla fortezza di Miqus: Miqus […] torna tra le dette valli e per l’appunto su la via che mena da Rametta alla marina di Mili, tra Taormina e Messina. […] mi sembra che potremmo supporre la fortezza di Miqus vicina al monte Miconio, se intendessimo sotto questo nome l’alta montagna Dinnamare erroneamente scritta Antenna a mare nella carta del 1867 […].
Ne riparla Carlo Alfonso Nallino commentatore di Michele Amari nella seconda edizione della Storia dei Mussulmani in Sicilia (1933 – 1939): L’A. vocalizzò Miqus e se ne occupò nella lunghissima nota I, 118-119, concludendo per la possibilità che quella fortezza fosse vicina al monte Miconio degli antichi, ora Dinnamare (ufficialmente Antennamare), monte che domina il Mar Tirreno e lo Stretto di Messina ergendosi ad est di Rametta (ora Rometta) e ad ovest sud ovest di Messina.
Girolamo Caracausi ha, più di recente, declinato il tema del monte: Antennamare, forma corrotta per Dinnamare, con influsso di it. Anténna (sic. ‘ntinna); Bimari, lat. Bimaris, volgarmente Dinnamari, monte presso Messina, Dimmari, Bìmari, gioghi di monti da Peloro alla Piana di Milazzo; Dinnamare, ufficialmente Antennamare, è l’antico nome del monte Micònios, Dinna Mari.
Infine una nota di Jeannette Power (1842), di modesto interesse toponomastico ma rilevante per il garbato commento della saggista franco-inglese sulla suggestiva geografia (e soprattutto sulla botanica e sulla mineralogia) della montagna: Bimari o Dinnamari. Questo monte è così nomato perché guarda i due mari Jonio e Tirreno. Contiene marmi, e vari minerali ed insetti, fra quali bellissime farfalle; si trovano tartarughe ed altri rettili e si fa la caccia a volatili e a quadrupedi. Di questi ultimi non vi hanno che lepri, conigli, volpi e qualche martora; vi vegetano pure delle piante interessanti pel botanico.
Carmelo Micalizzi
C. Micalizzi, Onomaturgia di Dinnammare. Dal monte Cronio al Dinamari bizantino, in «Messenion d’Oro» n. s. n° 6, ott.-dic. 2005, Messina 2005, pp. 5-16.
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