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I cacciatori di microbi è un saggio di divulgazione scientifica scritto dal batteriologo statunitense Paul de Kruif (1890-1971) pubblicato nel 1926. È composto di undici capitoli, ciascuno dedicato ad uno scienziati distintosi nella ricerca in microbiologia o nella lotta contro le malattie infettive. Ne pubblichiamo uno ogni settimana per farvi conoscere un po’ di storia della Microbiologia. Ringraziamo per la fonte Wikipedia da cui sono tratti.
«Fu a Messina che ebbe luogo il più grande evento della mia vita scientifica. Sin’allora ero stato un biologo zoologo; ora divenivo improvvisamente un patologo … Trasformazione non più strana di quella di un suonatore ambulante in un astronomo ….»
(Il’ja Mečnikov)
Il’ja Il’ič Mečnikov in russo: Илья Ильич Мечников? (Char’kov, 16 maggio 1845 – Parigi, 16 luglio 1916) è stato un biologo e immunologo russo.
Tra i suoi meriti più importanti vi è la scoperta del meccanismo della fagocitosi, grazie al quale vinse il Premio Nobel per la Medicina nel 1908 assieme a Paul Ehrlich. Interessanti furono anche i suoi molteplici studi sulla longevità delle popolazioni caucasiche, evidenziandone la causa nell’assumere nella dieta acido lattico e fermenti lattici, i quali, per le loro proprietà, ritardavano l’invecchiamento. Mente brillante del suo tempo, ammirato e rispettato da colleghi, studenti e amici, incaricò la seconda moglie Ol’ga Mečnikov di scrivere una biografia su di lui, attraverso la quale ci è pervenuto un gran numero di notizie sulla sua vita e sul suo lavoro.
L’infanzia
Il’ja Mečnikov nacque nella tenuta di İvanovka, un villaggio vicino a Char’kov (oggi in Ucraina), il 16 maggio 1845. Fu il quinto figlio di un ufficiale delle Guardie Imperiali, Il’ja Ivanovič e di una donna bella e intelligente di nome Ėmilija L’vovna Nevachovič. La madre ebbe un rapporto molto intimo con i figli, diventandone la confidente e assecondandoli in tutti i loro interessi. Questo rapporto così confidenziale con lei, Il’ja in particolare, lo conserverà per tutto il resto della sua vita: non fece mai nulla senza prima consultare la madre e si scrissero diverse lettere quando lui era lontano da casa. Poco prima di morire, Ėmilija dirà di Il’ja che “è stato la consolazione della sua vita”.
Da piccolo, Il’ja, era un bambino pieno di vita. Aveva capelli setosi, carnagione chiara e piccoli occhi blu, colmi di gentilezza e brio. Era molto irrequieto, desideroso di vedere e conoscere tutto e, di conseguenza, poteva essere tenuto in silenzio quando la sua curiosità era risvegliata dall’osservazione di qualche insetto o farfalla che stava cercando di afferrare. Ma, tra tutte le cose, la musica lo affascinava di più, e restava per ore seduto vicino al piano ascoltando immobile. Inoltre, era un bimbo molto fragile in quanto aveva dei problemi alla vista; il dottore consigliò che non gli fosse permesso di piangere né di strofinarsi gli occhi. Essendo molto intelligente, colse subito i vantaggi che la situazione offriva e fu lesto nell’approfittarne: appena riceveva il minimo rifiuto, incominciava a strofinarsi gli occhi e ad annunciare che stava per piangere. Di conseguenza, era molto viziato e capriccioso; sua sorella lo chiamava “piccola bestia”.
In realtà, Il’ja era buono di cuore, tenero e adorabile; era affettuoso, specialmente con la madre. Nel 1853 Leo, uno dei due fratelli più grandi, ebbe come tutore un giovane uomo molto intelligente di nome Hodounof, che desiderava non solo insegnargli, ma anche impartirgli l’amore per la scienza. Leo era straordinariamente dotato e lavorava con grande facilità, ma peccava di concentrazione ed era perciò in qualche modo superficiale. Ciò raffreddò l’entusiasmo del tutore, che iniziò ad interessarsi sempre di più ad Il’ja, il quale, durante le loro passeggiate per osservare la fauna e la flora locale, mostrava un grande interesse per la zoologia e la botanica. Amante dell’insegnamento, era solito offrire la paghetta ai suoi fratelli e ad altri bambini per fargli ascoltare le sue lezioni. La sua vocazione fu fissata da quel momento; aveva solo otto anni.
Adolescenza e formazione
Nel 1856 la famiglia si trasferì a Charkiv affinché anche i figli più piccoli, Nikolaj ed Il’ja, cominciassero il liceo. Durante il suo primo anno di scuola, Il’ja lavorò assiduamente in tutti i rami del curriculum e il suo nome apparve presto sulla lista degli onori. Sotto la direzione dell’insegnante di lingua russa, che subito percepì l’acutezza dell’intelligenza di Il’ja, questi lesse “Storia della Civiltà” di Henry Thomas Buckle, libro che all’epoca aveva una grande influenza sulle giovani menti russe. Secondo la principale tesi dell’autore, il progresso dell’umanità dipendeva principalmente dalla scienza; questa idea subito fece breccia nella testa del ragazzo e confermò le sue aspirazioni scientifiche. Alcune letture di stampo diverso da quello scientifico, proibite dalla censura russa, incentrate su idee materialistiche e teorie sociali, influenzarono il giovane ragazzo che, a poco a poco, perse la fede che aveva avuto sotto l’influenza della madre.
L’ateismo, comunque, era per lui più interessante che deludente; predicandolo agli altri, ricevette il soprannome di Dio non c’è. Il corso di insegnamento al liceo non sfuggì alla sua critica: tralasciò quegli esercizi che gli sembravano privi di interesse e si gettò con passione negli studi biologici: zoologia, botanica e si interessò anche di geologia. In quel periodo di intenso fervore intellettuale in Russia, le librerie furono invase dalle traduzioni di opere sulla biologia. Il’ja le lesse con avidità e fu interessato, in particolar modo, ad una traduzione russa del libro di Heinrich Georg Bronn “Classi e Ordini del Regno Animale”. Vide per la prima volta, in quell’opera, immagini di microrganismi e amebe; quel mondo di esseri piccolissimi lo impressionò così tanto che decise, da quel momento in poi, di dedicarsi al loro studio, cioè, allo studio delle primitive manifestazioni di vita nelle sue forme più semplici. In seguito a una nuova lettura di un brano sulla geologia di un professore dell’università della sua città, scrisse un’analisi critica su di esso. Inserito nel Giornale di Mosca, questa fu la prima pubblicazione di Il’ja; aveva allora 16 anni.
Cercò, inoltre, di venire a contatto con professori universitari, frequentando l’università di Charkiv, nelle cui aule, per evitare di mostrare il suo aspetto eccessivamente giovanile, andava vestito con i suoi soliti abiti, lasciando a casa l’uniforme scolastica. Anche se le lezioni sull’anatomia comparata furono molto interessanti, Il’ja rimase deluso dall’ambiente universitario russo. Scoprì che esso faceva ancora uso di metodi antichi e che l’insegnamento era dato per mezzo di manuali, seguiti da poche applicazioni pratiche; lui, invece, sperava di trovare laboratori con assistenza e mezzi per intraprendere un lavoro scientifico personale. Decise, dunque, di trascorrere all’università il minor tempo possibile e, fermo di queste convinzioni, intanto terminò il liceo superando gli esami brillantemente. Si iscrisse alla facoltà di scienze biologiche, dopo essere stato dissuaso dalla madre dall’iscriversi alla facoltà di medicina: “Sei troppo sensibile” gli disse “non potresti sopportare la costante vista della sofferenza umana!”. Seguì i corsi in due anni, invece di quattro, per essere al più presto libero di dedicarsi al lavoro scientifico personale.
Le prime scoperte scientifiche
Non appena ebbe preso la laurea in Biologia specializzandosi in Zoologia e Protozoologia, Il’ja, effettuò numerosi viaggi all’estero con il desiderio di soddisfare la sua illimitata sete di conoscenza. Nel 1864, dapprima si recò in Germania, ad Heligoland, che aveva fama di essere una zona perfetta per ricerche sulla fauna marina. Qui lavorò assieme al famoso zoologo Rudolf Leuckart, il quale, se prima destò nel giovane Mečnikov un’ammirazione profonda, in seguito, a causa del suo comportamento scorretto, lo gettò nel più profondo sconforto. Lo scienziato tedesco, infatti, non riuscì a tollerare che, durante una sua breve assenza, Il’ja fece un’importantissima scoperta riguardo l’indipendenza del gruppo dei Nematodi; così all’insaputa del suo collaboratore, pubblicò un articolo in cui attribuiva quasi esclusivamente a se stesso, i meriti della scoperta. Indignato, Mečnikov denunciò l’accaduto e decise di andare a cercare fortuna altrove.
Così il giovane scienziato decise di recarsi sulle rive del Mediterraneo, precisamente a Napoli, per continuare i suoi studi. Avendo letto, durante un breve soggiorno a Gießen, l’opera di Fritz Müller Per Darwin, in cui lo studioso sosteneva che era principalmente in embriologia che bisognava ricercare le preziose indicazioni riguardanti la genealogia degli organismi, Il’ja fu profondamente colpito dalle teorie evoluzioniste e ciò influenzò, in modo decisivo, la futura direzione delle sue ricerche. Secondo il suo metodo di studiare prima ciò che era più semplice, si concentrò così sull’embriologia, poiché nell’uovo e nell’embrione è possibile seguire passo dopo passo la trasformazione del semplice nel complesso e vedere l’origine e lo sviluppo di tutte le parti costituenti l’organismo. Mentre studiava la storia dello sviluppo dei cefalopodi, scoprì che questi avevano strati embrionali simili a quelli dei vertebrati; fu la prima volta che questa cosa fu stabilita.
Fu estremamente importante, poiché costituiva una prova concreta dell’esistenza di una connessione genetica tra animali inferiori e superiori. I suoi studi furono interrotti da un problema agli occhi, dovuto ad un eccessivo lavoro e dal colera che infuriò a Napoli nel 1865. Così fu costretto a lasciare l’Italia e a sottoporsi ad un riposo forzato per recuperare la vista che stava perdendo. Dopo aver effettuato altre ricerche in giro per l’Europa, ritornò in Russia nel 1867, anno in cui, avendo l’Università di Odessa accettato la sua domanda, divenne insegnante di zoologia. Fu molto ammirato dai suoi studenti, alcuni anche più grandi di lui, considerando che Il’ja aveva appena ventidue anni. Non rimase a lungo lì poiché, a causa del suo temperamento impulsivo e irritabile, si inimicò persone emergenti all’interno dell’università e fu costretto a lasciare Odessa. Fu in quel momento, più che mai, che sentì il forte bisogno di una compagna che lo incoraggiasse e condividesse i suoi interessi.
Vita personale
La prima donna alla quale fu sentimentalmente legato e che diventò successivamente sua moglie, fu Ludmilla Fedorovitch, una ragazza giovane ed estremamente gentile. Purtroppo lei si ammalò di tubercolosi e Mečnikov se ne prese gran cura; questa esperienza fece avvicinare così tanto i due ragazzi, che lui decise di chiederle di sposarlo e informò di questo la madre, inviandole una lettera. Ėmilija, molto allarmata, cercò di dissuaderlo, poiché temeva che sposando una ragazza non in buone condizioni di salute, suo figlio si sarebbe assunto un compito troppo gravoso nelle sue difficili circostanze. Tuttavia, il matrimonio non fu posticipato; la sposa fu portata in chiesa su una sedia per la cerimonia, essendo senza fiato e troppo debole per camminare. Fu l’inizio di una lotta contro la malattia e la povertà, dato che il loro denaro era insufficiente ed Il’ja cercò di rimediare il possibile scrivendo traduzioni. La sua vista si indebolì di nuovo per il troppo lavoro, e fu con atropina nei suoi occhi che stette sveglio notte dopo notte, traducendo.
Il dottore consigliò alla giovane coppia di recarsi a Madera, confidando nel beneficio del clima marino come ultima speranza di salvezza. Purtroppo nemmeno questo portò a Ludmilla la guarigione e lei si spense il 20 aprile del 1873. Il funerale ebbe luogo due giorni dopo; Il’ja non vi partecipò e non vide il cadavere. Lasciò Madera e, dopo questa catastrofe, si sentì incapace di pensare al futuro. Si chiedeva: “Perché vivere? La mia vita privata è finita; i miei occhi mi stanno abbandonando; quando sarò cieco non potrò più lavorare, allora perché vivere?”. Non vedendo alcuna soluzione a questa situazione, prese una fortissima dose di morfina che gli provocò un vomito copioso ma non lo uccise. Cadde in una sorta di torpore, di assoluto riposo; nonostante questo stato comatoso rimase cosciente e non avvertì la paura della morte. Dopo la sfortuna che gli capitò, Mečnikov mise la sua sola speranza nel lavoro.
Ad Odessa, sebbene il tempo stesse passando, non riusciva ad abituarsi alla sua solitudine; si innamorò di una giovane ragazza che abitava al piano di sopra del suo appartamento, Olga Belokopitova, e alla quale dava ripetizioni di zoologia. Chiese al padre di lei la sua mano e i due giovani si sposarono nel febbraio 1875, nonostante Ol’ga non avesse ancora terminato gli studi al Liceo. Si dimostrerà, tuttavia, una moglie esemplare, diventando per Il’ja la compagna e la collaboratrice inseparabile. Del marito ammirava le doti intellettive, la preparazione, il temperamento passionale e impulsivo, la tenacia nel perseguire i suoi obiettivi e la grandissima sensibilità. Lei gli stette accanto sia quando Mečnikov abbandonò l’università di Odessa perché ormai era diventata esclusivamente vittima degli intrighi politici, sia quando, lasciata la Russia, si recarono a Messina nell’autunno del 1882, dove Il’ja fece la più grande scoperta della sua vita.
La fagocitosi
“Mi stavo riposando dallo shock degli eventi che provocarono le mie dimissioni all’università e mi stavo dedicando con entusiasmo alle ricerche nello splendido paesaggio dello Stretto di Messina. Un giorno […] rimasi da solo con il mio microscopio, osservando la vita nelle cellule mobili di una larva trasparente di stella marina, quando un nuovo pensiero improvvisamente mi attraversò il cervello. Capii che cellule simili potevano servire nella difesa dell’organismo contro gli intrusi. Sentendo che c’era in questo qualcosa di interessante, mi sentivo così eccitato che iniziai ad andare avanti e indietro per la stanza e andai anche sulla spiaggia per raccogliere i miei pensieri. Mi dissi che, se la mia supposizione era vera, una scheggia introdotta nel corpo di una larva di stella marina, priva di vasi sanguigni o di un sistema nervoso, sarebbe stata presto circondata da cellule mobili come si osserva in un uomo che ha una scheggia nel dito. Fu presto fatto. C’era un piccolo giardino, nel quale pochi giorni prima avevamo fatto un albero di Natale; presi da esso alcune spine e le misi subito sotto la pelle di alcune bellissime larve di stelle marine trasparenti come l’acqua. Ero troppo eccitato per dormire quella notte in attesa del risultato del mio esperimento e la mattina dopo molto presto, mi accertai della sua riuscita. Quell’esperimento formò le basi della teoria fagocita, allo sviluppo della quale dedicai i successivi 25 anni della mia vita.”
Notò, dunque, che le cellule mobili di una larva di stella marina si erano affollate intorno alla scheggia, come un esercito che si affretta ad affrontare un nemico. L’analogia di questo fenomeno con l’infiammazione e la formazione di un ascesso fu sorprendente; Mečnikov si disse che dal momento che la maggior parte delle malattie negli animali superiori sono accompagnate da infiammazioni e provocate dai microbi, era principalmente contro questi microbi che le nostre cellule difensive dovevano combattere. Chiamò queste cellule fagociti, “cellula che mangia”, accettando il suggerimento di Carl Friedrich Claus che, oltre alla passione per la zoologia, covava anche quella per il greco antico. Si accertò che la suscettibilità in un animale corrispondeva con il fatto che i microbi introdotti nell’organismo restavano liberi e lo invadevano, mentre l’immunità coincideva con l’inclusione e l’ingestione dei microbi da parte dei fagociti.
Così stabilì il fatto che la fagocitosi e l’infiammazione sono mezzi curativi utilizzati dall’organismo. Il’ja fu incoraggiato anche da Rudolf Virchow, che si trovò a passare per Messina e venne a vedere i suoi esperimenti. Lo scienziato tedesco, tuttavia, gli consigliò di procedere con molta prudenza, in quanto la teoria dell’infiammazione ammessa nella medicina contemporanea era esattamente l’opposto di quella che sosteneva Mečnikov: si credeva che i leucociti, lontani dal distruggere i microbi, li facevano diffondere trasportandoli e costituendo un mezzo favorevole alla loro crescita.
Attacchi e obiezioni contro le sue teorie vennero una dopo l’altra con irruenza. Iniziò una battaglia epica per Mečnikov che sarebbe durata moltissimi anni, fino a quando la teoria fagocita ne uscì vittoriosa. Ad ogni attacco, ad ogni obiezione, rispondeva con nuovi esperimenti, nuove osservazioni che annichilivano le obiezioni; la sua teoria stava assumendo una portata sempre più ampia, diventando più solida e più convincente. Ma solo i suoi intimi seppero quanto gli costò la battaglia dal punto di vista psicologico, quante notti insonni, dovute alla continua tensione cerebrale e allo sforzo di concepire qualche nuovo esperimento. Ebbe frequenti attacchi cardiaci e la vista gli si affievolì ancora di più, ma la vittoria conseguita fu la sua consolazione. Nel 1908 Mečnikov riceverà il Premio Nobel per la Medicina, insieme a Paul Ehrlich, proprio grazie a questi studi sull’immunità.
L’esperienza all’Istituto Pasteur
Nel 1887 la coppia di coniugi si recò a Vienna, dove si tenne un Congresso di Igienisti, durante il quale Mečnikov conobbe Louis Pasteur. Tra i due scienziati nacque subito una profonda e reciproca ammirazione per i rispettivi lavori scientifici, tanto che Pasteur fu felice di offrire a Mečnikov un intero laboratorio nel suo nuovo Istituto a Parigi. Ol’ga ed Il’ja si trasferirono così in Francia, nazione che divenne la loro seconda madrepatria. Ricordando alla moglie i periodi della sua vita, affinché potesse scrivere su di lui una biografia, racconterà che quello trascorso all’Istituto Pasteur è stato il più bello di tutta la sua esistenza. In quest’ambiente poté contare sulla fiducia riposta in lui dai suoi colleghi e dai suoi studenti, verso i quali ebbe sempre un atteggiamento tendenzialmente paterno, incoraggiandoli dinnanzi a qualsiasi difficoltà.
La stima dei suoi collaboratori giunse alle stelle, tanto che, in occasione del suo settantesimo compleanno, Pierre Paul Émile Roux, in un discorso, fece di lui e del suo lavoro il seguente apprezzamento: “A Parigi come a Pietroburgo, come a Odessa, sei diventato un leader di pensiero, e hai acceso in questo Istituto un fuoco scientifico che è irradiato lontano. [..] Il tuo ardore riscalda l’indolente e dà fiducia allo scettico. Sei un collaboratore impareggiabile [..] Ancora di più della tua scienza, attrae la tua gentilezza; chi tra di noi non l’ha conosciuta? Ne ho avuta una prova quando, molte volte, ti sei preso cura di me come fossi tuo figlio. Sei così felice di fare del bene che provi gratitudine verso coloro che aiuti. [..] L’Istituto Pasteur ti deve così tanto; hai portato ad esso il prestigio, e con il tuo lavoro e quello dei tuoi alunni hai contribuito alla sua gloria. Hai dato un nobile esempio di disinteresse rifiutando lo stipendio negli anni in cui il budget era bilanciato con difficoltà e preferendo la vita modesta di questa “casa” alla gloria e alle situazioni redditizie che ti erano offerte. Russo di nazionalità, sei diventato francese per tua scelta, ed hai contratto un’alleanza Franco-Russa con l’Istituto Pasteur prima ancora che ci pensassero i diplomatici”.
Il primo periodo della sua vita in Francia fu occupato dal rafforzamento e dallo sviluppo della teoria fagocita e da un’impaziente battaglia in sua difesa. Quando alla fine la sua teoria cominciò ad essere accettata, continuò le ricerche con lo stesso ardore, ma in un’atmosfera di pace. Tralasciando la batteriologia e riflettendo sull’atrofia senile, diresse i suoi pensieri verso la vecchiaia e in seguito verso la morte.
Perché si invecchia?
Avendo provato che il ruolo svolto dai fagociti consiste non solo nella battaglia contro i microbi, ma anche nella distruzione di tutte le cellule indebolite dell’organismo e che le atrofie non sono nient’altro che l’assorbimento di elementi cellulari da parte dei fagociti stessi, suppose che le atrofie senili avessero la stessa origine. Dimostrò che la causa principale è l’avvelenamento cronico delle cellule da parte delle tossine prodotte dai microbi nell’intestino. Individuò nell’assunzione del latte acido la cura per la vecchiaia, in quanto Mečnikov sosteneva che essa fosse una malattia al pari delle altre e che solo grazie al progresso della scienza poteva essere curata. Osservando il latte acido al microscopio, Il’ja scoprì che l’acidità che impediva la putrefazione della flora intestinale poteva ricercarsi in un bacillo che chiamò Lactobacillus bulgaricus, in onore degli abitanti della Bulgaria conosciuti per la loro longevità, dovuta probabilmente al grande uso che facevano di latte acido.
Mečnikov introdusse quest’ultimo nella sua dieta e la sua salute ne beneficiò molto. Così i suoi amici ne seguirono l’esempio e il bere latte acido divenne una vera e propria moda che dilagò in fretta. Lo studio della vecchiaia lo portò a quello della sifilide, una malattia che provoca una sorta di arteriosclerosi, molto simile a quella degli anziani; lo studio della flora intestinale fu seguito da quello delle malattie intestinali, come la febbre tifoidea e il colera infantile. Dopo aver trattato la questione della longevità, Mečnikov si occupò di quella della morte.
Egli credeva che tutti ne avessero paura solo perché arriva prematuramente, ovvero prima che l’istinto naturale per essa abbia avuto tempo per svilupparsi. Questa supposizione è confermata dal fatto che gli anziani che hanno raggiunto un’età molto avanzata sono spesso sazi della vita e sentono il bisogno della morte così come i giovani sentono il bisogno di dormire dopo una lunga giornata di lavoro. Ecco perché, diceva, abbiamo il diritto di supporre che, quando il limite della vita è stato esteso, grazie al progresso scientifico, l’istinto di morte avrà il tempo di svilupparsi normalmente e prenderà il posto della paura che la morte stessa provoca. Per questa ragione, Mečnikov sosteneva che bisognava imparare a prolungare la vita attraverso i progressi della scienza, in modo da permettere a tutti gli uomini di realizzare il loro completo e naturale ciclo vitale così da affondare, tranquillamente e senza paura, nel sonno eterno.
Gli ultimi anni della sua vita
Nel 1914 giunse in tutta la Francia la notizia dello scoppio della guerra, la cui fine, però, Il’ja non riuscì a vedere. Fino all’ultimo momento rifiutò di crederci: non poteva ammettere che una soluzione pacifica fosse impossibile e che ogni cosa che era stata dedicata al servizio della scienza, ora fosse consegnata al servizio della guerra. Quando, poi, giunsero le notizie delle morti di alcuni giovani che avevano lavorato all’Istituto Pasteur, il dolore di Mečnikov non conobbe limiti; non poteva sopportare l’idea che queste vite brillanti dovessero essere sacrificate, vittime di coloro che avrebbero dovuto guidare le persone verso la pace e non verso la morte.
Intanto, la sua salute cominciò a peggiorare: i frequenti attacchi cardiaci, a causa dei quali aveva sofferto anche durante la giovinezza, l’avevano ridotto in uno stato di prostrazione. Nel dicembre del 1915, ne ebbe uno fortissimo, che segnò l’inizio di un’agonia durata sette mesi prima che la morte sopraggiungesse il 16 luglio del 1916. Il suo comportamento nei confronti della malattia e della morte fu un insegnamento, un sostegno e un esempio: dal racconto della moglie, si evince che Il’ja rimase tranquillo tutto il tempo, aspettando la fine in modo sereno e probabilmente fece questo anche per non dare sofferenza alla stretta cerchia di amici e ad Ol’ga che gli rimase accanto fino al suo ultimo respiro. Due giorni dopo, il 18 luglio, il suo corpo fu cremato, le ceneri messe in un’urna e poste nella biblioteca dell’Istituto Pasteur.