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di Massimiliano Cavaleri
Sono tanti i giovani medici siciliani che hanno scelto di trascorrere un periodo all’estero per migliorare la loro formazione e poi rientrare in Italia con un bagaglio scientifico più ricco e articolato. Uno tra questi sta per completare un’esperienza straordinaria resa ancora più interessante dalla pandemia: Carlo Alberto Ricciardi, messinese, classe ’88, maturità classica, poi laurea e specializzazione in nefrologia nell’ateneo peloritano, entrambe col massimo dei voti e la lode. Da qualche anno dottorando di ricerca a Londra nel Centro Trapianti e Nefrologia Guy’s Hospital (King’s College of London), punto di riferimento tra i primi al mondo per il covid-19, nosocomio in cui è stato ricoverato anche il premier inglese Boris Johnson. Buon sangue non mente: Ricciardi è figlio d’arte del prof. Biagio, già direttore di Nefrologia all’ospedale “Fogliani” di Milazzo, fin da piccolo affascinato dalla professione medica nel suo brillante percorso ha partecipato a tanti convegni specialistici in Italia e In Europa ed è iscritto a varie società scientifiche nazionali ed internazionali, oltre ad avere pubblicato articoli e ricerche su numerose riviste autorevoli. Lo abbiamo incontrato per conoscere più da vicino la sua attività e le connessioni tra la vita accademica made in UK e il recente virus che ha rivoluzionato la sanità.
Com’è nato un dottorato così prestigioso in Inghilterra?
Nel 2013 in occasione di un congresso di nefrologia a Milano ho conosciuto il prof. Luigi Gnudi, uno dei massimi esperti al mondo di diabete: poco tempo dopo l’ho contattato tramite internet e ho espresso il desiderio di lavorare con lui, così abbiamo gettato le basi per un exchange programme prima e successivamente per il dottorato inglese dopo. Tutto e’ iniziato contestualmente all’ultimo anno di specializzazione, poi nel 2017 mi sono specializzato quindi ho dovuto fare rientro in Italia; successivamente mi hanno richiamato per altri 7 mesi al fine di completare un lavoro intrapreso con l’illustre docente. All’inizio non ho avuto alcun tipo di sussidio per il periodo all’estero ( E Londra all’epoca non e’ stata poi cosi’facile), in un secondo momento ho ottenuto una borsa di studio ben retribuita per tre anni erogata da Kidney Research UK, che si occupa proprio di malattie del rene, compreso il trapianto; attraverso lo strumento della charity e degli eventi e finanzia la formazione di giovani specialisti. Questo “grant” mi ha permesso di pagare le tasse universitarie, il mio stipendio e i fondi per la ricerca. In Italia I fondi a cui sono riuscito ad accedere non esistono, perché si investe meno nella ricerca e soprattutto nei giovani.
Di cosa si occupa nello specifico?
Fondamentalmente di biologia molecolare, in particolare lavoro con cellule glomerulari endoteliali immortalizzate e con topi transgenici su cui facciamo sperimentazioni di diverso tipo,per dare un esempio dall’utilizzo di gabbie metaboliche fino alla valutazione della presione arteriosa attraverso la coda, il tutto sotto l’egida dell’Home office e della Royal biology society.
Il progetto della mia ricerca precisamente s’intitola “Role of Nogo-B in diabetic kidney disease” ed è appunto relativo allo scoprire se il ruolo della proteina Nogo possa essere un nuovo target molecolare per una terapia medica per le complicanze renali del diabete in futuro.
Quali sono state le connessioni tra il covid-19 e il suo lavoro?
La mia esperienza è più accademica e meno clinica, in quanto in questa fase della mia vita sto dedicando piu’ tempo al laboratorio e meno alla clinica. Conseguentemente al lockdown, il capo del nostro dipartimento ha cominciato a organizzare meeting e seminari basati sulla letteratura dedicata proprio allo studio del nuovo coronavirus; quindi lo abbiamo analizzato da un punto di vista cardio-vascolare e renale, nello specifico osservando gli effetti sul sistema e su questi organi vitali. Così abbiamo potuto disegnare un iter che ci ha aiutasse a capire concretamente come incidesse il covid-19 sui reni.
Fondamentalmente la localizzazione del covid a livello renale e’ dovuta al trofismo selettivo sul rene. Il virus pensiamo possa avere un effetto citopatico diretto sulle cellule renali oppure potrebbe attivare il sistema immunitario relativamente alla presenza dell’antigene virale e quindi l’attivazione della cascata immunitaria.
Per quanto riguarda trapiantati di rene e dializzati?
Il management del covid 19 in pazienti con malattia renale rappresenta una vera sfida. I pazienti trapiantati sono una categoria a rischio in quanto immunosoppressi quindi la vulnerabilità è maggiore. Tuttavia nonostante gli sforzi ancora oggi non esiste una terapia approvata.
I pazienti affetti da covid 19 tendono ad avere un ipercoagulabilita’ quindi sui pazienti dializzati bisogna prestare maggiore attenzione nelle modalita’ e nelle dosi in cui l eparina viene utilizzata.
Cosa desidera per la sua professione?
Mi piacerebbe trovare il modo di continuare a fare ricerca senza tuttavia tralasciare la clinica concentrandomi sull’ ambito interventistico ma anche sul trattamento della nefropatia diabetica (oggetto del mio studio qui’ in Inghilterra). Il rene è un organo che ti permette ancora oggi di fare tanta ricerca perché è molto complesso e presenta tanti risvolti ancora da approfondire.
Rimarrà all’estero o rientrerà in Italia?
Difficile da dire… Non sara’ facile riproporre in Italia quello che sto attuando qui a Londra, ma comunque il mio desiderio è tornare dando un contributo al mio paese e possibilmente in Sicilia. Londra non è una realtà facile, è stimolante ma molto impegnativa e frenetica. Il prof. Gnudi in ogni caso mi esorta costantemente a considerare la mia posizione e lasciare un’opzione “aperta” per continuare a lavorare nel Regno Unito. Solo il futuro mi dara’ delle risposte.