La testata digitale dell'OMCeO Messina
 
Intervista al sassofonista Premio Troisi per la Musica Francesco Cafiso: “Per me musica significa jazz”

Intervista al sassofonista Premio Troisi per la Musica Francesco Cafiso: “Per me musica significa jazz”

Views: 118

Sul palco di Marefestival un talento straordinario della musica jazz: siciliano doc, originario di Vittoria (RG), Francesco Cafiso, scelto dal direttore artistico Massimiliano Cavaleri per ricevere il Premio Troisi 2020 per la Musica. La “Gazzetta” lo ha intervistato.

Hai scoperto il jazz da bambino: già a 9 anni esperienze con musicisti di fama internazionale, come hai iniziato?

A 7 anni ho espresso il desiderio di voler imparare a suonare il sassofono, mio padre me ne ha comprato immediatamente uno e mi sono approcciato al jazz grazie a Carlo Cattano, autodidatta di Lentini che mi ha regalato una compilation con tutti i più grandi sassofonisti della storia del jazz, quindi mi sono innamorato del suono di questo strumento e per me musica fin da subito significava jazz, perché è stato proprio l’imprinting; mi sono affacciato a questo mondo in maniera molto spontanea. Poi lezioni e ascolto di dischi, e poi sono entrato nell’Orchestra Jazz del Mediterraneo e ho collaborato con artisti importanti come Bob Mintzer, Maria Schneider, George Gruntz, Gianni Basso, ecc.

Un momento chiave della tua carriera è l’incontro nel 2002 al Pescara Jazz Festival, con Wynton Marsalis che ti vuole nell’European tour…

Avevo 13 anni e dopo la mia esibizione a quell’evento mi ha fatto tanti complimenti e ha deciso di invitarmi per seguirlo in tournèe nel 2003: mi sono ritrovato catapultato in una realtà estranea alla mia cioè quella vittoriese che comunque è piccola, calcando palcoscenici con musicisti incredibili. Non parlavo l’inglese ma è stata una meravigliosa esperienza, ricordo ancora odori, sensazioni, incontri, persone, luoghi, oltre all’ exploit mediatico.

Hai suonato nei jazz club più noti nel mondo e anche a New Orleans…

Sono stato lì per un mese a 15 anni e la mia intenzione era quella di fare tutto ciò che fa comunemente un musicista del luogo quindi suonare con le marching band, sui balconi, nei vari jazz club, cercare di vivere appieno l’atmosfera di una città così unica, affascinante e anche spettrale per certi versi. Fonte di ispirazione per un mio disco del 2017 quindi andando a ritroso nel tempo ho cercato di rivivere alcune esperienze di New Orleans, riportate in musica.

Hai suonato con Hank Jones, Dave Brubeck, Cedar Walton, Mulgrew Miller, Enrico Rava e Stefano Bollani: tappe importanti nel tuo percorso musicale…

Tutti straordinari, ricordo Jackie McLean che è stato uno dei miei idoli quando ho iniziato e alla fine del concerto è venuto dietro le quinte mi ha dato un bacio nella fronte e mi ha detto God bless you (Dio ti benedica, ndr). Con Dave Brubeck ho suonato quando aveva 90 anni ed era felice di essere con me perchè ero giovanissimo, 18enne, mi diceva che questa era una fonte di ispirazione perché la musica non aveva età e il fatto di trovarsi con un ragazzo gli trasmetteva una carica bestiale.

Nel marzo 2015 viene pubblicata l’ambiziosa opera discografica denominata “3”, costituita da tre album profondamente diversi tra loro: “La Banda”, “Contemplation” e “20 Cents Per Note”: cosa legava questi tre dischi così diversi fra loro?

Il filo conduttore è la mia personalità, la concezione artistica: tutto nasce dal fatto che ho scritto contemporaneamente musiche poi messe insieme con tre repertori distinti e separati e un po’ come tasselli di un puzzle sulla mia personalità. Quella musica nella sua eterogeneità rappresentava il Cafiso del 2015 perché ora ci sono altre cose che scrivo e mi rappresentano in questo momento.