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Tumori: un milione e 400mila screening in meno nei primi 5 mesi del 2020

Tumori: un milione e 400mila screening in meno nei primi 5 mesi del 2020

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Giordano Beretta, presidente Aiom: “I ritardi nei programmi di prevenzione secondaria possono determinare un aumento della mortalità nei prossimi anni. Necessari investimenti nella medicina del territorio e per strutturare le televisite”.

Giordano Beretta, presidente Aiom

Diventano misurabili gli effetti della pandemia sulla cura dei tumori nel nostro Paese. Nei primi 5 mesi del 2020, in Italia, sono stati eseguiti circa un milione e quattrocentomila esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Ritardi che si traducono in una netta riduzione non solo delle nuove diagnosi di tumore della mammella (2.099 in meno) e del colon-retto (611 in meno), ma anche delle lesioni che possono essere una spia di quest’ultima neoplasia (quasi 4.000 adenomi del colon-retto non diagnosticati) o del cancro della cervice uterina (circa 1.670 lesioni CIN 2 o più gravi non diagnosticate). Queste neoplasie non sono scomparse, ma saranno individuate in fase più avanzata, con conseguenti minori probabilità di guarigione e necessità di maggiori risorse per le cure. Per questo, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) chiede alle Istituzioni di destinare più fondi per la lotta contro il cancro, non solo per le terapie ma anche per potenziare la telemedicina e per creare percorsi definiti di collaborazione con la medicina del territorio. L’impatto del Covid-19 sull’oncologia e l’individuazione di nuovi strumenti per far fronte alle conseguenze del virus sono fra i temi centrali del Congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), al via da domani al 21 settembre in forma virtuale. “Le nuove armi come l’immuno-oncologia e le terapie a bersaglio molecolare hanno cambiato la storia naturale di molte neoplasie e oggi in Italia il 63% delle donne e il 54% degli uomini sono vivi a 5 anni dalla diagnosi – spiega Giordano Beretta, Presidente AIOM e Responsabile dell’Oncologia Medica all’Humanitas Gavazzeni di Bergamo -. La pandemia però sta modificando gli scenari. Le incertezze riguardano in particolare la prevenzione secondaria, cioè gli screening. Le neoplasie, non rilevate in questo periodo, verranno comunque alla luce prima o poi, ma in stadi più avanzati e con prognosi peggiori. In base a stime del National Cancer Institute (NCI), negli Stati Uniti, nei prossimi 10 anni, vi saranno circa 10.000 morti in più per tumore del seno e del colon-retto, proprio a causa dell’effetto del Covid-19 sugli screening e sul trattamento. Si tratta di numeri che, in termini relativi, possono sembrare piccoli, riferendosi all’1% del totale dei decessi per queste due neoplasie negli USA, ma in termini assoluti sono tutt’altro che trascurabili, perché parliamo di 10.000 decessi in più per grandi malattie, che in questi anni hanno beneficiato dell’effetto positivo dello screening sulla mortalità”. Nel Regno Unito, inoltre, è stato stimato che il ritardo diagnostico causato dalla interruzione e dal rallentamento dei servizi sanitari possa essere la causa di aumento della mortalità (rispetto al periodo pre Covid-19) nei prossimi 5 anni fino al 16,6% per i tumori del colon-retto e al 9,6% per la mammella. “L’allarme lanciato nel Regno Unito e negli USA si può applicare anche in Italia – afferma Saverio Cinieri, Presidente eletto AIOM e Direttore Oncologia Medica e Breast Unit dell’Ospedale ‘Perrino’ di Brindisi -. A oggi, il ritardo diagnostico accumulato è limitato, ma sta crescendo anche per le modalità organizzative necessarie per garantire il distanziamento fisico dei cittadini che si sottopongono agli screening”. Nel nostro Paese, nel 2019, sono stati stimati 371mila nuovi casi di tumore e il costo dei farmaci anticancro è in costante crescita. In cinque anni (2014 – 2019) la spesa per le terapie è passata da 3,9 a circa 6 miliardi di euro. I farmaci antineoplastici rappresentano la prima categoria terapeutica a maggior spesa pubblica per il 2019 (26% della spesa totale). Non solo. Nel 2019, il tetto del Fondo per i farmaci oncologici innovativi, stabilito in 500 milioni di euro, è stato sforato, superando i 584 milioni. “Servono più risorse per far fronte ai cambiamenti nella pratica clinica in oncologia imposti dalla pandemia, a partire dalla creazione di percorsi definiti con la medicina del territorio – afferma il Presidente AIOM -. In questo senso, la nostra società scientifica sta attivando collaborazioni con Senior Italia Federanziani, FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), gli Ordini dei medici locali, le farmacie e i distretti territoriali”. “Va inoltre strutturata la telemedicina, soprattutto per i pazienti in follow-up e per quelli sottoposti a terapie orali in trattamento presso il domicilio – continua Giordano Beretta -. Anche l’ESMO, nelle Linee Guida sulla gestione dei pazienti oncologici durante la pandemia, raccomanda l’utilizzo della telemedicina per le visite di controllo e per il monitoraggio delle persone che seguono terapie orali. Servono importanti investimenti per incentivare queste modalità di monitoraggio che, inoltre, dovrebbero prevedere piattaforme omogenee tra i vari ospedali, uniformi a livello nazionale”. Un recente studio (Telemedicine During the COVID-19 Pandemic: Impact on Care for Rare Cancers, pubblicato su JCO Global Oncology) ha mostrato che ben l’80% dei pazienti, a cui sono state proposte televisite durante il lockdown, desidera utilizzarle anche in futuro. Tra i vantaggi principali, il risparmio di risorse e di tempo per i viaggi da casa all’ospedale. E l’89% dei clinici ha affermato che la telemedicina non implica maggiori carichi di lavoro rispetto alle visite in presenza. “L’oncologia è una delle discipline in cui il contributo della telemedicina può essere più prezioso, non solo durante l’emergenza, ma anche nella nuova normalità post Covid-19 – continua Saverio Cinieri -. I contatti telefonici e telematici non hanno la pretesa di sostituire le visite fisiche, ma consentono una tempestiva discussione degli esami di laboratorio e strumentali e di eventuali segni e sintomi di malattia. Nell’ambito del potenziamento della telemedicina, è opportuno sfruttare al meglio anche l’opportunità offerta dai patient-reported outcomes (PROs) elettronici. Sono questionari che consentono di raccogliere preziose informazioni sulla qualità di vita dei pazienti, sui sintomi, sugli eventi avversi in corso di trattamento e sull’aderenza alla terapia, anche nella pratica clinica. I risultati dei questionari, compilati elettronicamente dai pazienti e ricevuti dal personale sanitario, possono essere discussi telefonicamente, consentendo una valutazione sistematica dell’andamento dei sintomi e degli effetti collaterali, indipendentemente dall’accesso fisico del paziente in ospedale. È documentato il beneficio di un approccio proattivo nella gestione dei sintomi, in termini di riduzione degli eventi avversi severi che richiedano accesso in pronto soccorso e ospedalizzazione. L’adozione dei PROs elettronici comporta però varie sfide, tra cui la formazione e la consapevolezza da parte del personale sanitario della loro utilità ed efficacia e la necessità di educare il paziente alla corretta compilazione dei questionari”. In Italia si stima che circa il 10% delle persone con tumore sia stato contagiato dal Covid-19, pari a 350mila cittadini. “Studi hanno evidenziato che i pazienti oncologici non presentano un rischio di infezione da Covid-19 maggiore di quello della popolazione non colpita da cancro – continua Saverio Cinieri -. Vi è però una maggiore pericolosità dell’infezione in queste persone, in cui il decorso sfavorevole del virus (in termini di ricovero in terapia intensiva e decesso) è più frequente rispetto a quanto registrato nella popolazione non-neoplastica”. In particolare, una revisione sistematica di 52 studi, pubblicata sul European Journal of Cancer, ha considerato 18.650 pazienti oncologici colpiti dal virus: 4.243 sono deceduti, con un tasso di mortalità complessivo pari al 25,6%. “Questi risultati mostrano chiaramente come la mortalità sia alta nei pazienti onco-ematologici – conclude Giordano Beretta -. Il cancro andrebbe pertanto considerato tra i fattori di rischio per le complicanze da Covid-19. Questi dati impongono un’attenzione ancora maggiore sulla necessità di proseguire le cure oncologiche nel contesto più sicuro possibile, cercando di mettere in atto tutte quelle procedure appropriate per prevenire i rischi di infezione da SARS-CoV-2 nei pazienti oncologici e, allo stesso tempo, trattare tempestivamente l’infezione in coloro che la sviluppano. In questo contesto, le raccomandazioni emanate da AIOM e altre società scientifiche internazionali affiancano e ricalcano i dati di letteratura che stanno emergendo”.

(Fonte: panoramasanita.it)