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Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Postumissimum”

Noterelle riabilitative del padre del libraio: “Postumissimum”

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di Filippo Cavallaro

Nella primavera del 2002, durante la pausa di un convegno che si teneva a Firenze, colsi l’occasione per tornare a prendere un caffè allo storico ritrovo letterario di Piazza della Repubblica: Giubbe Rosse. 

Trovai affissa la locandina di un incontro che purtroppo si era già tenuto la settimana precedente. Era la promozione di una conferenza spettacolo con Manlio Sgalambro. 

Il filosofo siciliano aveva già una decina d’anni di collaborazione con Franco Battiato, per i testi inizialmente, ma poi anche nelle incursioni canore. 

Mi sarebbe piaciuto parteciparvi, purtroppo era passata. Attorno al pilastro centrale della sala bar erano raccolti tanti cataloghi, cartoline pubblicitarie, ma anche alcuni libretti che erano stati pubblicati per la conferenza di Sgalambro. Si tratta di “Opus Postissimum (frammento di un poema)” ed il filosofo in forma poetica, a 77 anni, vi descrive l’ultima mezz’ora di vita. 

Per narrare quegli ultimi momenti, l’autore utilizza, contemporaneamente, dotte citazioni ed oscenità, fa incrociare il male ed il bene, interseca il nobile e l’abietto. Questo perché per vivere un uomo deve agire, immergersi nel mondo, fare delle scelte, assaporare l’agrodolce della vita …  


La signora Sita, nella settimana in cui avrebbe concluso l’ottava decade di vita, cade e si rompe il femore il giorno prima di fare il pane, per tutta la settimana, per se e per i vicini di casa nel paese. La trovo già impegnata a muovere nel letto l’arto fratturato. Ha tanta voglia di tornare alle sue attività, a casa sua, ad impastare il pane, a governare le galline, a curare l’orto. Invita tutte le altre compagne di camera alla prossima infornata di pane che si augura di poter fare prima di Natale. 

È vivace la signora, cerca di fare del suo meglio. La frattura però c’è stata e le limitazioni ci sono. La valuto nelle libertà articolari e la sua vivacità si stempera. Mi dice a bassa voce che è avvilita. È consapevole delle capacità che aveva e che ora le mancano. Sente la limitazione del danno. Elabora nella sua mente le difficoltà che l’attendono. Sita, grazie alla sua consapevolezza, può recuperare. Glielo dico subito. Le spiego il perché. Se è vero che vivendo in campagna il rischio di una caduta è maggiore, che con l’età le ossa diventano più fragili, è anche vero che la consapevolezza del limite la porterà a fare le attività con attenzione.  

Il seguito è la conferma. Nei giorni successivi, nel momento in cui superata tutta la preparazione al controllo del tronco ed al recupero della libertà articolare, Sita ha imparato a tenere la base allargata per mantenere l’equilibrio a fare il passo un po’ più corto. Forse non arriva ad invitare le amiche prima di Natale, viste anche le restrizioni, ma sembra già in grado di curare l’orto con gli attrezzi un po’ adattati e comincerà a governare le galline da seduta. 

La vita è piena se ci si sporca le scarpe e le mani. Sempre. Allora, migliaia di anni fa, lo faceva dire a Catone, il grande Cicerone.

Oggi citando Sgalambro:  

… Come api agitate  

pungono le sensazioni  

destando attese  

… Il timore di sapere s’espia.  

… Per sapere dove vai  

per sapere cosa sei  

chi ti incarna  a chi somigli.  

All’aria che respiro?  

Al miele, alla fiamma  

alla profonda calma  

che in me t’ascolta?  …