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I primi luoghi del mondo affettivo – relazionale

I primi luoghi del mondo affettivo – relazionale

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di Emidio Tribulato

L’utero, le braccia ed il seno.
Il primo luogo del mondo affettivo è sicuramente rappresentato dall’utero della madre e poi dalle sue braccia e dal suo seno. Questi sono sicuramente i luoghi più caldi d’amore e più confortevoli che il bambino potrà incontrare se la madre, come dovrebbe, è ricca di quelle particolari qualità che noi chiamiamo “materne”. Nel ventre della donna, prima che gli organi si siano formati completamente, il bambino, che già vive, ascolta e percepisce quello che prova sua madre, sente la voce del padre, avverte le emozioni attorno a lui.
Ed è sempre nel ventre materno che l’Io del bambino comincia a disegnarsi, sfruttando sensazioni ed emozioni. L’Io comincia a costruire la sua identità dai piccoli messaggi che gli arrivano direttamente o tramite il corpo ed il sangue materno il quale, come un fiume, trascina e porta con sé molte cose che incontra nella sua strada. Quando il bambino nasce, già conosce e si lega alla madre e al padre se questi, durante l’attesa, hanno saputo dargli un ambiente sereno e se, una volta nato, hanno saputo dialogare con lui soddisfacendo i suoi bisogni, e l’hanno saputo proteggere dalle contrarietà, dalle paure e dalle tensioni.
Se tutto questo è avvenuto, nascerà tra lui ed i suoi genitori un legame di attaccamento ricco di elementi costruttivi e positivi, che sarà fondamentale in ogni momento della sua vita.
Subito dopo le braccia della madre e del padre sono sicuramente luoghi caldi, sicuri e confortevoli le braccia dei nonni e degli zii, dei fratelli e delle sorelle.

La culla.
Insieme e accanto alle braccia vi sarà certamente una culla.
In tutte le civiltà la culla ha rappresentato il prolungamento delle braccia dei genitori. Le madri di ogni paese e di ogni luogo, hanno sempre fatto a gara per renderla la più accogliente, calda e bella possibile. Concava come le braccia e l’utero della madre, essa accoglie, contiene e riscalda il bambino nelle sue prime esperienze di vita.
I pizzi, i merletti e le calde stoffe sui quali, nei mesi dell’attesa, la donna sistema nella culla, rappresentano quasi le parole d’amore ed i sentimenti teneri e delicati con i quali vuole circondare il suo bambino durante il sonno e nelle ore di parziale distacco.

La stanza
Dopo le braccia e la culla vi è la stanza. Stanza condivisa inizialmente con quella dei genitori, per dormire sereni, ascoltando il loro respiro e avvertendo, anche attraverso gli odori ed i rumori, la loro attenta presenza, e poi, se le condizioni economiche ed abitative lo permettono, vi è la propria stanzetta. Uno spazio non lontano da quello dei genitori, affinché questi possano rispondere prontamente ai segnali di aiuto o di bisogno. Uno spazio questo da conquistare gradualmente e con coraggio. Pochi metri separano la sua stanzetta dal lettone dei genitori, eppure quei pochi metri sembrano chilometri al bambino piccolo, che si sente solo e spaurito nel momento in cui i suoi sensi non riescono ad avvertire la presenza fisica di papà e mamma.
Tutti gli spazi nei quali il bambino si muove a proprio agio e serenamente non sono solo un’introiezione del mondo fisico ma rappresentano una conquista ed una acquisizione psicologica ed affettiva, che attiva nuove potenzialità e lo prepara alla conquista di mete future.
Ogni acquisizione però può andare perduta se le condizioni ambientali sono troppo traumatiche. I traumi possono essere di vario tipo: difficoltà nella comunicazione, scarsa e saltuaria presenza dei genitori o loro allontanamento, frequenti ricoveri e visite mediche, carenze alimentari, conflitti familiari, scarso rispetto dei tempi fisiologici che permettono il passaggio graduale da una condizione ad un’altra più difficile da conquistare ed accettare.
Spazio fisico, maturità e serenità interiore, sono strettamente collegati e correlati.
Di ciò ci rendiamo conto quando nell’inutile e vana speranza di accorciare i tempi fisiologici si propongono al bambino degli spazi lontani dai genitori, troppo vasti o sconosciuti: il dormire nella stanza accanto, la casa dei nonni, l’asilo nido ecc.
Le sue reazioni sono note. La prima è di allarme: si stringe ancora di più alla madre, si aggrappa e lega alla sua mano e al suo vestito in modo convulso, la guarda in modo disperato e la prega di non andare, di non allontanarsi, di non lasciarlo solo. La seconda è di chiara paura: trema, impallidisce e suda, prima di comunicare con il pianto o con le parole, il suo disagio e poi la sua struggente sofferenza.
Questa sofferenza potrà manifestarsi in molti modi: con il distacco emotivo o al contrario mediante un eccessivo e patologico attaccamento che si manifesta mediante un inesauribile bisogno di restare vicino alla madre, oppure mediante una maggiore irritabilità ed instabilità motoria, con scoppi di pianto improvviso, con aggressività, con manifestazioni fisiche, con la fissazione a stadi che per l’età dovrebbero essere abbandonati e, nei casi più gravi, con la regressione a stadi già superati.
I bambini che manifestano più difficoltà a conquistare nuovi luoghi e nuovi spazi sono proprio quelli che hanno più problemi psicologici. Questi bambini, non riuscendo ad impadronirsi dei luoghi e degli spazi attorno a loro, rimangono a lungo nella stanza o addirittura nel lettone: fisicamente ancorati ai corpi dei genitori, in quanto le paure e le ansie, che sono importanti segnali di sofferenza e patologia, li costringono per anni ad un legame quasi fisico con questi.