La testata digitale dell'OMCeO Messina
 
Diagnosticare con anticipo le demenze? Ci potrebbe aiutare l’intelligenza artificiale

Diagnosticare con anticipo le demenze? Ci potrebbe aiutare l’intelligenza artificiale

Views: 123

La banca dati pubblica statunitense di medicina e scienza Pubmed ha rivelato un numero impressionante, ben 87.600, articoli indicizzati con la parola chiave «Intelligenza artificiale». Robotica e Intelligenza artificiale (Ia) sono considerate tra le venti tecnologie emergenti della quarta rivoluzione industriale destinate a trasformare il mondo nei prossimi anni, secondo il World Economic Forum. Sanità compresa. In questo ambito, si inserisce lo studio per il quale Paolo Bosco, ricercatore dell’Irccs Fondazione Stella Maris, ha ottenuto un finanziamento di 450 mila euro nell’ambito della ricerca finalizzata del ministero della Salute dedicata ai giovani ricercatori. Obiettivo della ricerca è verificare l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale per arrivare ad una diagnosi più fine sulle demenze che colpiscono gli anziani e trovare non solo nuove terapie personalizzate, ma anche comprendere quale sia il ruolo delle infiammazioni cerebrali.

Lo studio dal titolo: «Identificazione di biomarcatori di neuroinfiammazione e di imaging per mezzo di tecniche di intelligenza artificiale guidate dai dati, al fine di risolvere il problema dell’eterogeneità dei soggetti anziani a rischio di demenza e per disporre adeguate strategie preventive» avrà una durata triennale e oltre all’Irccs Fondazione Stella Maris (FiRMLAB), coinvolgerà l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (Unità di Neurologia) l’Irccs Istituto Clinico Humanitas (Laboratorio di patologia e patologia cerebrale) di Milano. Giovane ricercatore, Paolo Bosco è un fisico laureato all’Università di Torino che fin dalla tesi di laurea ha applicato le tecniche della fisica alle immagini mediche, prima alle mammografie e poi, a Genova durante il dottorato di ricerca, alle immagini di risonanza magnetica (RM) cerebrale di pazienti con malattie neurodegenerative. Dopo tre anni al Fatebenefratelli a Brescia, è passato all’Istituto nazionale di fisica nucleare di Pisa dove ha lavorato al progetto Arianna sulle immagini di Risonanza magnetica cerebrali dei bambini con autismo, fino ad approdare alla Fondazione Stella Maris, nel team diretto da Michela Tosetti, direttore del Laboratorio di Fisica Medica e Risonanza Magnetica, che da anni lavora per conoscere i meccanismi delle demenze e come rallentarli. Qui, da fisico che applica le tecniche di «machine learning», Paolo Bosco prova a far parlare i dati, cercando quelle correlazioni tra diagnosi, cure e risultati con l’obiettivo di massimizzare l’efficacia delle terapie. Conoscenze che sono alla base dello studio premiato dal Ministero della salute.

La ricerca parte da un assunto noto: i processi che portano alla demenza richiedono anni. Un tempo durante il quale avvengono graduali processi di cambiamento funzionale e alterazioni strutturali del cervello che solo ad un certo momento si manifestano con sintomi cognitivi. Due le tipologie di condizioni che, secondo la scienza, possono portare le persone a sviluppare una demenza. Il primo, il declino cognitivo soggettivo – subjective cognitive decline (SCD) – in soggetti che riportano declino cognitivo senza mostrare alterazioni nei risultati dei test di valutazione clinica . Il secondo, i soggetti con disturbo cognitivo lieve – mild cognitive impairment (MCI) – che mostrano un declino cognitivo superiore a quello che ci si aspetterebbe in soggetti di medesima età e scolarità ma che non rientrano nei criteri definiti in letteratura per la demenza. I due stati (SCD e MCI) comprendono condizioni estremamente eterogenee tra loro a cui corrispondono velocità differenti nella progressione della malattia e l’insorgenza di tipologie differenti di demenza.

«Per questo – commenta il ricercatore – una stratificazione precoce di queste popolazioni a rischio può avere un ruolo fondamentale per l’identificazione e lo sviluppo di trattamenti terapeutici specifici (sia farmacologici che non farmacologici)». Ma c’è di più. Negli ultimi anni è emerso il ruolo degli stati infiammatori nell’invecchiamento normale o patologico. «Una crescente mole di ricerche – spiega il ricercatore – suggerisce che l’invecchiamento sia associato ad un’aumentata infiammazione cerebrale. Queste ricerche suggeriscono anche che l’infiammazione del sistema nervoso centrale possa agire come principale regolatore dell’invecchiamento sistemico. Infatti l’infiammazione cronica influisce negativamente sulla funzione neuronale, e diverse malattie neurodegenerative croniche come la demenza di Alzheimer e la malattia di Parkinson sono state associate a risposte infiammatorie anormali».