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di Salvo Rotondo
I virus rappresentano dei parassiti obbligati. Infatti per potersi riprodurre hanno la necessità di introdursi all’interno di una cellula dove, sfruttando le potenzialità di quest’ultima, si replicano in individui esattamente uguali all’unità che li ha generati. Essi non sono malvagi, anche se a volte ci sembra che essi possano essere dotati di questa caratteristica. I virus svolgono la propria lotta nat urale per la sopravvivenza cercando di competere e vincere all’interno del supremo progetto di selezione naturale. Dall’altra parte ci sono organismi complessi come il corpo umano che è dotato di un sistema immunitario che, se può, lo difende e possiede una intelligenza e capacità di discernimento (di solito) che gli consente di mettere in atto tutte quelle attività di prevenzione finalizzate ad evitare, o comunque limitare, l’infezione mantenendo bassa la quantità di virus in grado di determinare il contagio. Una ulteriore variabile è costituita da altri fattori (calore, umidità, concentrazione, etc.) che possono significativamente influenzare le potenzialità di diffusione virale.
I virus sono delle forme intermedie di esseri, nel senso che tecnicamente non possono essere considerati viventi finché virioni, che però sono, in queste vesti, capaci di infettare ma non di riprodursi. Diventano esseri viventi nel momento in cui contagiano una cellula e, al suo interno, possono riprodursi per poi migrare in forma di ulteriori virioni verso altre cellule del medesimo o altri organismi. Tutti sappiamo che le malattie infettive si possono diffondere in varie maniere a seconda della tipologia dell’agente infettante: mediante l’aria che respiriamo, attraverso il sangue (punture accidentali con un ago infetto), mediante l’acqua (bevendo o lavandosi i denti) o inquinando le mani toccando delle superfici infette.
La diffusione aerea sembrerebbe la principale nel caso del COVID-19: mediante le gocce di saliva che emettiamo parlando (droplet o gocce di Flügghe, eponimico dello scopritore), o attraverso le microscopiche goccioline di vapor acqueo (aerosol) che liberiamo con la respirazione e che hanno la capacità di rimanere più a lungo in sospensione nell’aria.
Ecco il perché del consiglio di indossare la mascherina (meglio se filtrante), di praticare il distanziamento fisico e di aerare frequentemente i locali nei quali si staziona, soprattutto se in condivisione con altri individui.
Di solito un contagiato infetta i propri familiari, i propri colleghi di ufficio o i propri amici al bar o in discoteca, attraverso contatti prolungati che favoriscono la trasmissione. E quindi importante evitare gli ambienti chiusi sovraffollati, in quanto, più tempo un ambiente è chiuso, in esso meno circola l’aria, più si creano condizioni favorevoli alla trasmissione di virioni.
L’infezione da COVID-19 si attua, però, attraverso l’esposizione ad una carica sufficientemente infettante del virus per un adeguato periodo di tempo. La diffusione virale si realizza attraverso la capacità contagiante del virus in esame e la malattia si manifesta dopo un tempo di incubazione compreso tra 2 e 10 giorni. Questo periodo di latenza, infatti, consente la diffusione attraverso soggetti infetti asintomatici o presintomatici che propagano il contagio. Per la sua capacità infettante sembrano siano sufficienti meno di 1000 virioni (la forma virale potenzialmente infettante, però, se questa non raggiuge una cellula da contagiare nell’arco di qualche ora o giorno si inattiva spontaneamente) tenendo conto che i fluidi corporei infetti (trasmessi attraverso il bacio, lo starnuto o l’aerosol) possono contenere fino a cento milioni di virus per ml.
Una parte rimangono in sospensione nell’aria, altre si depositano sulle superfici vicine e una certa quota cadrà sul pavimento. La vicinanza a un soggetto infetto che parla o a un altro che starnutisce senza protezione determina inevitabilmente l’inalazione, da parte degli astanti, molto probabile di almeno mille virioni e quindi l’elevata probabilità di infezione. Questo può avvenire anche se il colpo di tosse o lo starnuto non sono diretti verso il potenziale infettato o se la liberazione delle goccioline contaminate è avvenuta pochi minuti prima dell’ingresso di questo nell’ambiente chiuso. Le droplet contenenti i virioni, infatti, possono rimanere in sospensione nell’aria degli ambienti chiusi per diversi minuti e possono essere inalate dal potenziale infettando. C’è comunque da precisare che supponendo l’inalazione di 20 virioni al minuto sono necessari 50 minuti per raggiungere i 1000 virioni inalati per assumere una quota ragionevolmente infettante.
Quindi stare più lontano da qualcuno quando espira o parla o, peggio, urla o canta senza mascherina significa verosimilmente ridurre la quantità di virioni potenzialmente infettanti e quindi maggiori possibilità per il sistema immunitario di potersi difendere.
Tutto questo quindi ci fa ben comprendere il ruolo fondamentale della mascherina filtrante, del distanziamento fisico e dell’aereazione degli ambienti.
Queste informazioni sono solo in parte il risultato di studi sperimentali, ma spesso si fondano sull’esperienza e sulle conoscenze del comportamento di altre situazioni infettive simili.
Il contagio e quindi l’infezione si può realizzare con l’inalazione di mille particelle virali attraverso un singolo respiro (o toccandosi bocca, occhi o naso), con l’inalazione di dieci respiri con cento particelle virali ciascuno, ovvero con l’inalazione di cento respiri con dieci particelle virali. Ognuna di queste situazioni può portare a una potenziale infezione descritta da una semplice formula:
infezione = quantità di virioni x tempo di esposizione
La contaminazione attraverso il contatto con superfici infette da individui inconsapevolmente contagiati, come possibilità di infezione, sembra essere stata significativamente ridimensionata. Il contagio avverrebbe quando attraverso un banale colpo di tosse di un soggetto infetto,
riparato con una mano questa vada a toccare una superficie quale una maniglia, un passamano, una tastiera di computer, un pulsante di ascensore, una banconota o un cellulare, utilizzati successivamente da un altro individuo sano che portando le mani al naso, alla bocca o agli occhi acquisisce l’infezione.
Per fare un esempio di questo tipo di contagio basta pensare a una mano sporca di vernice (come nel caso di un infetto che ha appena tossito sul suo palmo) che stringe la mano ad un potenziale infettando il quale a sua volta si tocca gli occhi, il naso o la bocca. All’inizio della pandemia in Italia si era raccomandato fortemente l’uso di quanti per evitare la possibilità di contagio.
Purtroppo questa procedura espone però alla frequente possibilità che la superficie inquinata di guanti possa entrare in contatto con occhi, naso e bocca (direttamente o indirettamente attraverso i capelli o il telefonino), determinando il contagio. Quindi meglio lavare frequente e disinfettare continuamente le mani, soprattutto subito dopo l’aver toccato superfici che potrebbero essere potenzialmente contagiate (passamano, tastiere dell’ascensore, maniglie, etc.).
A questo va aggiunta che allo stato delle attuali conoscenze, a causa del gran numero di variabili: capacità infettante del virus, potenziali caratteristiche difensive dell’individuo e modalità comportamentali e di prevenzione dell’infezione, è difficilissimo potere ottenere delle indicazioni assolute in grado di assicurare la prevenzione totale dell’infezione.
Questo tipo di modalità infettiva, al pari del potenziale danno da radiazioni ionizzanti, è stocastica e va interpretato attraverso modelli matematici atti a studiare l’andamento dei fenomeni che seguono leggi casuali: probabilistiche. Se infatti è indiscutibile che per essere infettati bisogna entrare in contatto con il virus, non tutti quelli che entrano in contatto col virus restano infettati. E questo perché le variabili, come sopra descritto, sono tali e tante che è difficile inquadrarle secondo modalità multivariate che possano assicurare la certezza di una prevenzione dell’infezione.
L’unica via per minimizzare il rischio di infezione è data dalla conoscenza delle caratteristiche del COVID-19, delle caratteristiche delle sue modalità di infezione e soprattutto delle modalità proattive (di profilassi ordinaria) da applicare sempre nel quotidiano, considerando come potenzialmente infetto qualunque individuo con il quale si entra in contatto.
Ecco perché il consiglio di lavarsi frequentemente le mani in maniera accurata disinfettandole con un gel a base alcolica al 70%, sanificare spesso le superfici mediante soluzioni alcoliche almeno al 70% o di ipoclorito di sodio all’1% (lisciva).
Ricordiamo infatti che la carica infettante, se diluita con semplice acqua, può già perdere parecchia della propria capacità di contagio a causa della diluizione che si fa dei virioni. Inoltre quando disinfettiamo le mani con apposito gel, questo prosegue la propria azione per diversi minuti dopo la sua applicazione e quindi è ragionevole pensare che questo atto protegga da eventuali contatti potenzialmente infettanti nei minuti successivi.
Col passare del tempo però ci si è resi conto che rilevare tracce genetiche virus non sempre significa identificare un virione attivo capace di infettare altri individui poiché i virioni, se non contagiano una cellula per replicarsi, perdono col passare del tempo la loro capacità vitale. Infatti anche se è identificabile traccia dell’acido nucleico virale anche dopo qualche giorno, questo non sempre significa che abbia la capacità quali-quantitativa di generare una infezione.
Tutto ciò a ribadire, quindi, che assume una enorme importanza il principio di precauzione che impone l’uso della mascherina, il distanziamento fisico e il lavaggio e la disinfezione frequente delle mani.
L’evidenza di manifestazioni cliniche di tipo gastroenterico per il COVID-19 deve comunque porre l’interrogativo circa la possibilità di trasmissione per via oro-fecale, infatti una elevata percentuale di soggetti infetti presentano diarrea. In questi pazienti sono rilevabili frammenti di RNA virale nelle feci la cui sopravvivenza virale è stata documentata mediante colture cellulari da 2 a 9 giorni.
I raggi ultravioletti (UVB) propri della luce solare sembrano inattivare il COVID-19 depositato su superfici contaminate.
Quali sono gli ambienti con maggiori rischi di contagio? I ristoranti rappresentano un importante ambiente per la diffusione virale da parte di soggetti asintomatici attraverso l’emissione di droplet, favorita dal flusso d’aria del condizionatore o delle ventole. Anche gli ambienti lavorativi dove insistono parecchie postazioni, soprattutto se il ricambio d’aria non è adeguato, come spesso accade nei call center, possono rappresentare una importante fonte di contagio. Al tre principali fonti di contagio sono rappresentate dalle palestre, dalla convivenza nei vagoni sovraffollati della metropolitana, in un autobus, in una ovovia, ovvero in occasione di feste private o di funzioni religiose dove la trasmissione può avvenire attraverso canti, abbracci, strette di mano, etc.
Si capisce quindi perché il distanziamento sociale di due metri determina uno spazio aperto capace di ridurre la possibilità di trasmissione della carica virale. L’esposizione alla luce solare, le alte temperature e l’umidità sono tutti fattori che ostacolano la sopravvivenza del virus e riducono il rischio di trasmissione.
Incrociare in ambiente aperto un passante rappresenta un rischio contenuto di contagio poiché per il trasferimento del COVID-19 ha necessità di adeguati “quantità (carica virale) e tempo (di esposizione)”; per un importante rischio di malattia bisognerebbe ragionevolmente entrare in contatto col respiro di un contagiato non protetto da mascherina per almeno cinque minuti. Nell’atto della corsa, probabilmente viene emessa una quantità superiore di virioni potenzialmente contagianti a causa degli atti più profondi del respiro, ma in questo caso la velocità dell’incrocio comporta un minore tempo di esposizione.
Le conoscenze sulla profilassi dell’infezione da COVID-19 non sono sicuramente definitive a causa dell’attualità del fenomeno prima sconosciuto. I consigli e le raccomandazioni per evitare il contagio sono in gran parte mutuate da conoscenze di informazioni relative ad agenti infettanti similari. Ecco perché alcune indicazioni sono gravate dal crisma dell’aneddoticità che ne riduce la rilevanza e perché spesso i pareri degli opinion leader della materia sono tanto distanti gli uni dagli altri.
Sono convinto che la conoscenza di quanto sopra riportato, comunque abbia una utilità pragmatica di basso livello che probabilmente può contribuire a gestire meglio i comportamenti relazionali di ciascuno di noi al fine di potere evitare quelle abitudini che possono facilitare l’esposizione e quindi il contagio col virus, favorendo tutte quelle condotte che sicuramente prevengono e riducono in maniera significativa la possibilità di infezione da COVID-19.