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di Nicolò Di Leo
La pandemia di covid-19 ha mostrato a tutti limiti della condizione umana. I nostri traguardi, le tecnologie e le risorse, conquistate nei secoli, si sono rivelati insufficienti a difenderci dal virus. L’umanità ha dovuto riflettere sulla sua condizione: servono forse armamenti più avanzati, grattacieli più alti o smartphone più intelligenti? Non dovremmo investire maggiormente nel bene unico e inalienabile che è la vita, e la salvaguardia di essa? Ormai è chiaro a tutti, che la tecnologia e l’innovazione scientifica in campo medico sono i cavalli che ci permetteranno di vincere la corsa, oggi e nel futuro prossimo e remoto.
Il progetto
Una missione che non ha trovato spettatore inerme Filippo Piatti, ceo e co-fondatore di Artiness. Azienda italiana vincitrice dell’11esima edizione del Open Innovation Contest organizzato da NTT Data, azienda multinazionale che si occupa di system integration, servizi professionali e consulenza strategica. Artiness si è distinta per l’applicazione in campo medico delle tecnologie di realtà aumentata e virtuale in grado di fornire un supporto valido e innovativo a chirurghi e medici.
Proviamo a immaginare un’operazione a cuore aperto, tra le più complesse, un solo tentativo per salvare il paziente. Grazie alla modellazione 3D viene creata ‘una copia’ virtuale del paziente che dovrà entrare in sala operatoria. Il chirurgo può così provare, indossando dei visori, in anticipo l’intervento su un avatar virtuale prima di effettuare l’incisione. Può quindi ingrandire e verificare su un paziente virtuale ogni singolo passaggio e criticità dell’operazione. «Queste nuove tecnologie possono diventare la medicina del futuro una volta integrati nella pratica clinica quotidiana», spiega Filippo Piatti. «Il nostro scopo è di ottenere le certificazioni necessarie per l’internazionalizzazione, e via via coinvolgere sempre più strutture ospedaliere».
La sperimentazione
Ma cosa manca a tutti gli effetti a una tecnologia del genere per essere applicata regolarmente in campo medico? Il principale ostacolo, solo burocratico, è la mancanza di storicità del suo utilizzo. Cioè non è ancora provato sul campo che equipaggiare i medici con la tecnologia Artiness possa portare miglioramenti per il paziente. Ma è proprio su quest’ultimo punto che le sperimentazioni del team di Piatti si stanno concentrando.«La tecnologia è già in fase di test in alcuni ospedali europei per valutare gli effetti a livello clinico, contiamo di ottenere la certificazione come dispositivo medicale entro maggio 2021», rassicura Piatti.
Link articolo: https://www.corriere.it/economia.shtml