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Gli psicofarmaci in gravidanza vanno sospesi?

Gli psicofarmaci in gravidanza vanno sospesi?

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di Rebecca Fiore

Prima di capire se e come sia necessario sospendere gli psicofarmaci in gravidanza, occorre premettere che questo fenomeno fisiologico determina molti cambiamenti strutturali e funzionali, risposte di adattamento alla nuova condizione. Cambiamenti che iniziano molto precocemente, a partire dal concepimento e che interessano la donna, il partner, la famiglia e il contesto nel quale vive. Affetti ed emozioni sono sollecitati costantemente ma con un impatto variabile sul benessere psicologico della persona, secondo le circostanze esterne e la personalità della donna.

Nei primi mesi di gestazione è più frequente che si manifesti uno stato ansioso che quasi sempre si riduce nei mesi successivi, man mano che la gravidanza procede. Spesso, però, nel terzo trimestre possono comparire affaticamento, apatia, una tristezza immotivata. Anche per questo, si parla della gravidanza come di uno dei periodi della vita che espone maggiormente la donna al rischio di un disturbo depressivo [1].

Dottore, la depressione nella donna è dunque un problema frequente?

Nel corso della loro vita, le donne hanno una maggiore probabilità di soffrire di disturbi depressivi rispetto agli uomini e questa differente prevalenza inizia a essere visibile nell’età dell’adolescenza, riducendosi intorno ai 55 anni [1].

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In una cornice di relativa maggiore fragilità, la maternità rappresenta un evento molto particolare, reso ancora più sfidante da quella che il ginecologo e collaboratore di Dottore ma è vero che Salvo Di Grazia definisce nel suo recente libro Quello che alle donne non dicono “una nuova visione della gravidanza […] condizionata da una narrazione finta, proveniente dalla pubblicità, dai mezzi di comunicazione, dai personaggi più esposti mediaticamente, che spesso rende ancora più difficile sia l’attesa di un bambino sia i suoi primi anni di vita” [2].

“Le malattie psichiche, tra cui la depressione perinatale, i disturbi d‘ansia, la psicosi postpartum, il disturbo bipolare e l’abuso di sostanze, hanno un impatto importante sulla gravidanza, sulla salute della mamma, del feto e del neonato” leggiamo nel Rapporto sull’uso dei farmaci in gravidanza da poco pubblicato dalla Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) [3].

Studi italiani recenti calcolano che più del 7% delle donne soffra di una forma di depressione nel periodo successivo al parto ma molto spesso questa condizione ha inizio durante la gravidanza [4].

Le conseguenze di questa condizione sulla salute della donna, del nuovo nato e degli altri componenti della famiglia hanno un impatto importante e più ampio, perché possono condizionare le relazioni affettive e i rapporti di lavoro.

Dottore, cosa bisognerebbe fare in questi casi?

Come leggiamo nel Rapporto dell’AIFA, “esistono numerose opzioni di trattamento, che necessitano di essere considerate durante la gravidanza e l’allattamento” bilanciando i possibili rischi legati all’utilizzo del farmaco e quelli che possono essere causati dal mancato trattamento del disturbo depressivo [3]. Sono opzioni ben note a tutti i medici del sistema sanitario, sia al medico di medicina generale, sia al medico specialista. Però, non tutti i casi di depressione vengono identificati dal punto di vista clinico: non tutte le donne che soffrono di un disturbo depressivo in gravidanza o dopo il parto ricevono una corretta diagnosi e solo il 14% delle donne in gravidanza e il 16% delle donne nel post-partum ricevono un qualche trattamento, non solo farmacologico [3].

Dottore, sono la sola a voler sospendere l’uso degli psicofarmaci in gravidanza?

Sospendere l’assunzione di psicofarmaci in gravidanza non è un’eventualità rara. I dati dell’AIFA mostrano che le prescrizioni di farmaci antidepressivi si dimezzano nel passaggio dall’ultimo trimestre che precede la gravidanza al primo trimestre di gestazione e un ulteriore dimezzamento si osserva nel passaggio al secondo trimestre di gravidanza [3].

Sospendere gli psicofarmaci in gravidanza se si aspetta un figlio è una scelta giustificata?

“Se timore significa prudenza e attenzione alle scelte terapeutiche è sicuramente giustificato”, risponde Alberto Siracusano, direttore dell’Unità di Psichiatria e psicologia del Policlinico universitario di Tor Vergata di Roma “in quanto tutti i farmaci passano il filtro placentare e dunque vengono assunti anche dal feto ed esistono delle percentuali di rischio di sviluppo anormale di alcuni organi del feto – in altre parole, di teratogenesi – e sono differenti a seconda del trimestre di gravidanza in cui il farmaco viene assunto. Invece, se timore significa rifiuto e diffidenza verso le cure dei disturbi psichiatrici in gravidanza, è un errore. Infatti, molte persone non sanno che i farmaci sono classificati in categorie a seconda del potenziale di teratogenicità e vengono scelti solo quelli che appartengono alle classi con minor rischio”.

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Ricordiamo, quindi, l’importanza di non interrompere mai una terapia farmacologica in gravidanza solo per paura o diffidenza. Prima di prendere qualunque scelta è necessario consultare il proprio medico e seguire le sue indicazioni.

C’è, poi, un problema nel problema: vale a dire la diffidenza diffusa nei confronti degli psicofarmaci. “Lo stigma nei confronti della psicofarmacoterapia in generale è ancora molto forte, nonostante si vada ridimensionando con il passare degli anni”, ammette Alberto Siracusano, che è anche autore di un libro importante sulla depressione rivolto proprio alle persone che ne soffrono e ai loro familiari [5]. “Nei confronti della psicofarmacoterapia in gravidanza, invece, lo stigma resiste inalterato. La visione dicotomica psicoterapia buona/farmacoterapia cattiva deve essere superata dall’utilizzo personalizzato e integrato di entrambe”.

Dottore, quando è indicata la psicoterapia e quando la terapia con psicofarmaci?

“La psicoterapia da sola, individuale o di coppia o di gruppo”, spiega Siracusano “può essere utilizzata nei casi più lievi, mentre la farmacoterapia va riservata ai casi di gravità moderata e grave, alle donne che erano già in trattamento prima della gravidanza, a quelle che hanno una anamnesi positiva per disturbi psichiatrici nelle gravidanze precedenti, da sola o in associazione alla psicoterapia”. Qualsiasi trattamento dimostra dunque di essere più utile quando è integrato e mirato sulle caratteristiche della donna, sui suoi vissuti personali, familiari e sulla condizione socioeconomica: “in un’ottica più attuale di medicina e psichiatria personalizzata, di precisione, che supera di fatto le vecchie dicotomie. In altre parole, al centro del trattamento non è la psicoterapia o il farmaco, ma la paziente, sulla quale entrambi vanno – per così dire – cuciti”, conclude Siracusano.

Alcuni ricercatori inglesi sono andati a vedere come parlano degli psicofarmaci i giornali quotidiani: hanno scoperto che sono quasi… maltrattati, a differenza della psicoterapia che viene guardata con un occhio assai più benevolo. Dalla loro ricerca è nato un articolo pubblicato su Psychological Medicine che ha confrontato citazioni e rappresentazione dei farmaci antidepressivi con quello riservato ai trattamenti di psicoterapia da parte di alcuni dei media online più popolari nel Regno Unito: The Sun, Daily Mirror, Daily Mail, Daily Express e The Custode. Ebbene, gli antidepressivi sono ritratti in modo più negativo rispetto alle terapie psicologiche, sia nei titoli che negli articoli stessi [5]. Un quadro simile a quello descritto da un’altra ricerca simile condotta in Danimarca.

Dottore, a chi dovrebbe rivolgersi la donna?

“Il medico di medicina generale conosce la donna e la famiglia”, spiega Cinzia Niolu, psichiatra responsabile dello sportello SOS Mamma presente presso la Unità operativa di Psichiatria e psicologia di Tor Vergata, “e pertanto ha presente anche i fattori di rischio personali e familiari: presenza di disturbi psichiatrici prima della gravidanza, familiarità, status socio-economico, rapporti di coppia”.

I luoghi e i protagonisti delle cure primarie dovrebbero essere il punto di riferimento per le donne che soffrono di disturbi d’ansia e depressione, e questo principio vale anche durante la gravidanza e nel post-partum. “Il medico di medicina generale”, ci dice Giovanni Ostuzzi, psichiatra che lavora all’università di Verona in un centro collaborativo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità “può fornire indicazioni sugli interventi di prima linea, inclusi interventi sullo stile di vita, supporto psicologico, gruppi di auto mutuo aiuto e, se indicato, terapia psicofarmacologica, tenendo in considerazione eventuali controindicazioni specifiche relative alla gravidanza e all’allattamento. Il medico di medicina generale favorirà l’invio a uno specialista psichiatra qualora gli interventi di prima linea non fossero sufficienti, o vi fossero problemi di tollerabilità dei farmaci prescritti, o nei casi in cui la sintomatologia ansioso-depressiva risultasse particolarmente severa o sia già in corso un trattamento psicofarmacologico complesso”.

Della necessità di una collaborazione stretta tra medico di medicina generale e medico specialista sono convinti anche Siracusano e Niolu: “I medici di famiglia devono essere informati e formati per essere in grado di identificare i primi segni di allarme e intervenire tempestivamente, inviando alle strutture specialistiche. Va tenuto presente anche che le visite presso lo specialista psichiatra possono essere estremamente utili non solo per la scelta terapeutica iniziale – per esempio per la valutazione dell’opportunità di una psicofarmacoterapia rispetto a una terapia psicologica – ma anche per superare le resistenze individuali, di coppia e familiare, nell’assunzione dei farmaci. Il modello di presa in carico più utile è la stretta collaborazione tra medico di base e specialista psichiatra”.

(Fonte: dottoremaeveroche.it)