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Femminicidio a 16 anni

Femminicidio a 16 anni

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di Pasquale Russo
Neuropsichiatra infantile
psicopatologo forense

La triste scia di sangue dei femminicidi non si ferma ma stavolta ha come protagonisti due adolescenti,
poco più che bambini.
Nel piccolo centro di Monteveglio (Bo) Chiara Gualzetti segue il suo amichetto sedicenne, del tutto ignara del destino che l’attende.
Una breve passeggiata e Chiara cade in un lago di sangue per le coltellate del suo amico, reo confesso.
Per il nostro codice il soggetto infradiciottenne, per essere imputabile deve essere sottoposto ad una
valutazione neuropsichiatrica che ne valuti la maturità e la idoneità a capire il disvalore dei fatti compiuti e quindi la capacità d’intendere e volere al momento del crimine, cioè la punibilità.
Il ragazzo ha subito dichiarato che era perseguitato da una voce diabolica che gli ordinava di uccidere
Chiara. Non intendo assolutamente entrare nel merito giuridico della triste vicenda che è al vaglio della Magistratura.
Mi permetto solo qualche generica considerazione. Qual’è la criminogenesi e la criminodinamica di questa mostruosa vicenda?
Come nasce in un ragazzino la precisa determinazione e volontà di uccidere? Qui non ci sono in mezzo separazioni o figli, qual è il movente? L’assassino è totalmente lucido dopo l’orrendo delitto tanto da chiamare un’amica e raccontarle i fatti.
Non è certo un delitto d’impeto, non lo è nella sua dinamica e nella sua lucida precostituzione.

Il sedicenne si accompagna a Chiara, ad un certo punto comincia a sferrarle coltellate con un coltello da cucina, coltellate profonde al collo, al petto. Con la ferocia rapportabile all’over killing dei serial killer.
Gli uomini uccidono perché non sopportano di essere lasciati, le madri uccidono i figli per punire il coniuge, la famosa Sindrome di Medea. Ma a sedici anni, perché si uccide?
L’evento è strano in Italia, per fortuna. Negli USA tra il 2003 edl il 2016, duemila adolescenti sono stati
uccisi da coetanei, il 90% erano femmine.
E’ lo sturm und drang del neoromanticismo tedesco che pervade l’adolescenza?
Le voci si rincorrono, Chiara era attratta da lui ma forse ha rifiutato un rapporto? Non collima con la mente lucida che ha programmato il delitto, non collima con la storia stereotipata e poco credibile delle voci demoniache.
Il cadavere di una ragazzina che sbocciava alla vita giace inerte, privo delle speranze, dei progetti, del futuro, l’assassino stringe ancora tra le mani il coltello sporco di sangue e racconta ad un amica l’accaduto.
E ancora per la vittimologia, Chiara segue il suo assassino e pare avesse già subito minacce. Qual è il profilo psicologico di quest’adolescente?
Dove cercare il germe maligno di tanto orrore? Nel disagio giovanile, oggi più che mai forte, nell’imperativo categorico di rispondere ai modelli dei pari, nella comunicazione ormai solo affidata ai social o a whatsApp? I ragazzi, complice anche il disastro pandemico, hanno perduto i modelli cui rapportarsi per imitarli o per contestarli. La solitudine imposta dal lock-down si è spesso trasformata in isolamento.
Nella tragedia del covid abbiamo parlato con i nostri ragazzi? Abbiamo saputo, noi adulti, percepire la loro
sofferenza? Forse NO. Eravamo troppo impegnati a gestire la nostra resilienza.
E’ vero so farmi solo domande, da padre, da nonno, da neuropsichiatra, da uomo. Non ho risposte.
I Magistrati emetteranno le loro sentenze, i periti, se ci saranno, potranno anche fare l’autopsia psicologica di vittima e carnefice. Le domande resteranno. Non si può morire a quindici anni accoltellata dal proprio ragazzino e finire come un vecchio straccio zuppo di sangue tra i rovi.
A queste domande occorrerà dare una risposta se non vogliamo che il sangue innocente scorra ancora.