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Intelligenza artificiale in medicina. Facciamo il punto

Intelligenza artificiale in medicina. Facciamo il punto

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di Davide Cavaleri

L’intelligenza artificiale (AI) è ormai considerata una tecnologia fondamentale che è sempre più presente nei dispositivi elettronici che utilizziamo, le cui applicazioni vanno oltre l’uso quotidiano e risultano utili in molteplici ambiti, non ultimo quello medico diagnostico nel quale sovente l’AI supera le performance del medico nell’effettuare determinate valutazioni. Ma quali sono le potenzialità dell’AI in medicina? Di questi temi ha parlato il Prof. Riccardo Bellazzi del Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione, Università di Pavia ICS Maugeri, in occasione dell’evento “The Big Date” promosso da Pfizer.

L’intelligenza artificiale (AI) è ormai considerata una tecnologia fondamentale che è sempre più presente nei dispositivi elettronici che utilizziamo, le cui applicazioni vanno oltre l’uso quotidiano e risultano utili in molteplici ambiti, non ultimo quello medico diagnostico nel quale sovente l’AI supera le performance del medico nell’effettuare determinate valutazioni. Ma quali sono le potenzialità dell’AI in medicina? Di questi temi ha parlato il Prof. Riccardo Bellazzi del Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione, Università di Pavia ICS Maugeri, in occasione dell’evento “The Big Date” promosso da Pfizer.

Non a caso è in continua crescita il numero di approvazioni da parte della Fda di software che utilizzano l’intelligenza artificiale, soprattutto nel campo della diagnostica per immagini. La stessa agenzia ha varato una vera e propria road map con lo scopo di definire le regole generali per l’approvazione di nuovi medical device che utilizzano l’AI. Pochi mesi orsono la commissione europea ha elaborato la proposta di un regolamento sull’intelligenza artificiale che chiaramente identifica la sanità come uno degli ambiti a cui rivolgere la maggiore attenzione.

Analisi rapida di molte informazioni
Con il termine intelligenza artificiale si intendono tutte quelle metodologie che fanno parte del grosso cappello del “machine learning”, ma la sua funzione non si limita a questo, anzi la sua utilità consiste nel costruire sistemi intelligenti di supporto alle decisioni che vanno oltre la semplice interpretazione del dato per fornire suggerimenti.

Gli algoritmi di “machine learning” operano su grandi insiemi di dati, come potrebbe essere una mole notevole di casi clinici a cui è stata associata una diagnosi o una prognosi e, sulla base dell’osservazione delle relazioni in ingresso e in uscita, sono in grado di imparare dei modelli statistici che possono essere utilizzati per fare previsioni in presenza di nuovi dati.

Uno degli ambiti che hanno dato un forte impulso all’intelligenza artificiale è rappresentato dalle tecniche di “deep learning”, il cui vantaggio è la capacità di analizzare direttamente quelle informazioni che tipicamente non vengono utilizzate nelle analisi statistiche, come le immagini, i testi scritti in linguaggio naturale o i dati provenienti dai dispositivi indossabili.

Sono strumenti che consentono di analizzare molti dati con grandissima efficacia, migliorando la nostra velocità di interpretazione delle informazioni. In ambito oncologico ci sono numerose applicazioni del “deep learning” soprattutto per l’analisi delle immagini, come nel caso delle mammografie, che possono essere automatizzate utilizzando una combinazione di analisi classica e tecniche di “deep learning”, con la possibilità di fornire anche una predizione sulle micro calcificazioni. Altri settori molto coinvolti sono l’anatomia patologica e la radiologia.

Quale utilità dell’AI negli studi di real world evidence?
L’intelligenza artificiale fornisce degli strumenti aggiuntivi per un’interpretazione più efficace dei dati (immagini, segnali, testi) e consente di andare oltre l’analisi dei dati retrospettivi, fungendo quindi da strumento di potenziamento della ricerca.

Ad esempio permette di trovare correlazioni in una grande base di dati o osservare i flussi di cura di un centro ospedaliero e di paragonarli con le linee guida. Oppure, grazie all’ “electronic phenotyping”, è possibile valutare la qualità dei dati identificando la presenza di inconsistenze, come la mancanza di diagnosi, in modo tale da implementare i modelli di analisi statistiche con dati costruiti meglio.

Altri esempi di utilizzo dell’AI riguardano l’oncologia oncologia, grazie alla possibilità di supportare la ricerca integrando diverse sorgenti di dati di tipo molecolare o di identificare sottogruppi di pazienti nella logica della medicina di precisione.

Un altro ambito molto promettente è la possibilità di interpretare i dati scritti nei referti e nelle lettere di dimissioni in un contesto multilingua, permettendo da un lato di riempire automaticamente le raccolte dati estraendo le informazioni corrette in note scritte in linguaggio naturale e dall’altro di usare come dato il testo stesso, per derivare dei modelli predittivi che consentono di associare la descrizione testuale a una predizione di outcome.

L’importanza della qualità dei dati
L’AI può esprimere il suo potenziale solo se sono disponibili banche dati con informazioni di buona qualità, che purtroppo non sono così frequenti. «In sintesi, se la conoscenza risiede nei dati, vuol dire che all’interno delle strutture ospedaliere dobbiamo andare oltre la raccolta delle informazioni che vengono effettuate a scopo amministrativo. Abbiamo bisogno di avere un sistema che gli americani chiamano di “beta stewardship”, ossia creare una banca dati consistente, anche se eterogenea, ma che sia orientata all’interrogazione» ha commentato il prof Bellazzi.

Un buon approccio di base viene fornito dall’architettura FAIR, che significa avere dei dati findable, accessible, interoperable and reusable, così che la loro organizzazione a scopo di ricerca sia una componente autonoma rispetto ai sistemi informativi ospedalieri.

A questo scopo esistono già alcuni strumenti tecnologici che possono essere di aiuto, come:

i2b2 tranSMART: il risultato di un progetto durato una decina d’anni ha messo a disposizione un software open source per la costruzione di datawarehouse, ossia contenitori di dati in cui vengono copiati dati dei sistemi informativi in modo che possano essere utilizzati a supporto di analisi successive e consentano l’applicazione di algoritmi di intelligenza artificiale

Onco i2b2: un progetto avviato nel 2010 a Pavia a supporto della ricerca nel campo oncologico, che ha portato alla creazione di una banca dati con più di 6.500 casi e che è stata allineata con la biobanca aziendale

OHDSI – Observational Health Data Sciences and Informatics: un progetto che ha l’obiettivo di favorire gli studi multicentrici retrospettivi integrando i dati che arrivano dai sistemi informativi in un formato comune a tutti i centri che aderiscono a questo sistema

«Per utilizzare l’intelligenza artificiale abbiamo però bisogno di capire bene cosa andiamo a inserire all’interno dei nostri dati e non c’è nessuna possibilità di farlo se non abbiano ben chiaro, e possibilmente lo modellizziamo, il processo di cura nella nostra realtà clinica» ha spiegato Bellazzi. «Solo sulla base di questo tipo di analisi potremo pensare a quali algoritmi utilizzare, quale evidenza poter estrarre e a quale tipo di studi potremo partecipare nel momento in cui i nostri dati dovranno essere analizzati dall’intelligenza artificiale».

(Fonte: https://www.pharmastar.it/news//digital-medicine/intelligenza-artificiale-in-medicina-facciamo-il-punto-36135)