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Legalità e bellezza: un binomio possibile

Legalità e bellezza: un binomio possibile

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di Giuseppe Ruggeri

Può la bellezza restituire dignità alla condizione umana ferita dall’abbandono e dal degrado? L’ormai più che assodato potenziale terapeutico dell’arte, che della bellezza è portatrice, è la controprova che ciò può accadere e, quando succede, si sarà di certo compiuto un decisivo passo avanti nell’evoluzione del nostro vivere civile.

L’occasione – che, come tutte, va colta al volo – è quella di uno dei tanti atti di vandalismo cui si è pensato di rispondere non con la mera e ovvia stigmatizzazione dei comportamenti, ma appunto con la bellezza. Una bellezza vituperata, ogni giorno, dall’indifferenza e dal distacco di quanti – tra cittadini e istituzioni – sono vocati a difenderla, dal momento che ci appartiene dal profondo. E ci dà senso.

Perché ogni bellezza, come ha scritto qualcuno, “crea appartenenza”. Che vuol dire? Che i nostri sensori profondi, ogni qual volta questa bellezza si rappresenta, si attivano rendendola ben presto parte del nostro essere.

E, dunque, identificandosi con essa. Il che è condizione imprescindibile per amarla.

Dall’introiezione di questa bellezza discende, di necessità, l’adozione delle condotte adeguate a preservarla.

Si costituisce così un codice etico da rispettare e da far rispettare: la legge dell’anima.

“Educhiamoci alla bellezza contro ogni forma d’illegalità” – convegno promosso dal Lions e Leo Club Messina Ionio e svoltosi il 14 ottobre nel Salone delle Bandiere alla presenza di un attento e folto uditorio composto per lo più da giovani – nasce dall’urgenza di applicare la “legge dell’anima” in tutti quei casi in cui il degrado dei valori – e dei luoghi – resta sotteso a ogni forma di devianza civile. Casi dov’è necessario intervenire con misure che preferiscano al biasimo o, peggio alla repressione, un ripensamento radicale dei sistemi posti a salvaguardia del nostro vivere civile.

Ne hanno parlato magistrati, giuristi, avvocati e filosofi, ciascuno fornendo un apporto sensibile a quella che si potrebbe definire una “ricostituzione morale nel nome della bellezza”. Com’è accaduto a Favara, dove un intero quartiere è stato trasformato da serbatoio di manovalanza mafiosa in centro d’irradiazione culturale e artistica. E, per restare dalle nostre parti, come “sarebbe” potuto accadere a Messina se, nel cuore del più che degradato quartiere di Maregrosso, il piccolo castello incantato di Giovanni Cammarata avesse innescato un circolo virtuoso teso alla riqualificazione dell’intera area urbana offesa da decenni di colpevole abbandono.

Questo però non è successo e, oggi, le pietre diroccate e prive di nome di questo straordinario manufatto artistico sono lasciate alla mercé del tempo – e delle intemperie – senza che alcuno alzi un dito per difenderle.

Ma, da quelle pietre, è ancora possibile ricominciare.

Nel segno della bellezza.