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di Filippo Cavallaro
È noto che il conte Ugolino soffrì la fame.
Dante lo incontra nel cerchio dei traditori nell’Inferno. Lo trova mentre morde voracemente la testa dell’arcivescovo Ruggeri, che lo condannò a morir di fame, nella torre della Muda, nel 1289 a Pisa. Allora fu deciso di far piazza pulita di tutta la famiglia dei della Gherardesca, ed ancora oggi, sul Lungarno pisano dove sorgeva il palazzo di famiglia, quello è rimasto uno spazio libero, vuoto.
Giorni fa sono rimasto sorpreso nel vedere quante opere di Ugolino e della sua famiglia sono invece punti di riferimento storici importanti dell’Iglesiente in Sardegna. Quell’area del sudovest sardo ricca di miniere, nel medioevo fu terra di sviluppo per i pisani, ma anche motivo di scontro, di guerra con le altre potenze militari. Durissimo fu lo scontro tra Pisa e Genova per contendersi il potere navale e commerciale nel Mediterraneo.
Ricordavo il conte di Dante che “riprese ‘l teschio misero co’ denti, che furo a l’osso, come d’un can, forti” (Inferno, canto 33, vv 77-78). Un personaggio che avevo immaginato vigoroso, che subiva una condanna nel momento in cui si voleva reprimere, oltre al suo potere politico ed economico, anche la sua forza fisica, un uomo che, con fare selvaggio, addenta una testa per spolparne la carne.
Caratteristiche che, molto probabilmente, non poteva avere Ugolino, allora era un nonno di quasi ottanta anni, venne condannato con tutti i familiari, figli e nipoti. Il conte che aveva mostrato il suo coraggio e la forza fisica era stato quello che in Sardegna, quarantenne, aveva governato come vicario di Re Enzo di Svevia. Quello di cui resta traccia nelle mura, nei castelli, nelle miniere. Un nonno che, si dice per salvarli dalla morte, fece vestire i nipoti da servitori e bambini del popolo.
Ero ad Iglesias con gli amici in gita, trovammo le mura, la storia, le tracce di Ugolino mentre cercavamo una strada che avrebbe dovuto essere addobbata con degli ombrelli colorati. Di questi nessuna traccia, solo una grande fatica perché gli anni passano ed anche noi, qualcuno già diventato nonno, mostriamo i segni di un corpo meno vigoroso che a girovagare senza senso si stanca molto di più.
Restiamo curiosi, nella ricerca di luoghi che ci sembrano interessanti, ma ci facciamo sorprendere, e meravigliati apprezziamo, e godiamo di inaspettate scoperte. Interessati anche a vagare grazie alle indicazioni del fluire di news sul web, per vivere l’effimero dei nostri giorni e contenti della soddisfazione e del conforto del fatto che quanto è solidamente fissato nella memoria e nella storia resta a disposizione anche dopo secoli per farsi ammirare anche senza alcuna propaganda.
Curiosi, risalendo all’origine del vocabolo, che dal latino curiōsu(m) nel medioevo voleva dire “che ha cura”, ci porta a scoprirci tra coloro che si prendono cura e non solo tra quelli che mostrano vivacità per amore di conoscenza