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Dello studio clinico sul vaccino Comirnaty non c’è da fidarsi?

Dello studio clinico sul vaccino Comirnaty non c’è da fidarsi?

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di Luca De Fiore (Pensiero Scientifico Editore)

Il caso Pfizergate che in questi giorni sta generando polemiche e preoccupazioni nasce dalle rivelazioni di una dipendente di Ventavia – una società privata che ha curato lo svolgimento di tre dei 153 studi clinici che hanno portato all’approvazione del vaccino Comirnaty (il vaccino a mRna prodotto da Pfizer) – che hanno sollevato dubbi sull’accuratezza di alcune delle procedure con cui sono state svolte alcune sperimentazioni. Le persone coinvolte negli studi coordinati da Ventavia sono circa 1.000 su un totale di 44 mila. Le mancanze non sembrano essere tali da mettere in discussione i risultati dell’insieme degli studi.

Dottore, cos’è esattamente lo Pfizergate?

A dare il via al caso Pfizergate è stata una funzionaria della società Ventavia Research Group, comunicando alla rivista scientifica BMJ (settimanale della British Medical Association, e una delle riviste mediche più conosciute e ascoltate del mondo) che la società per cui lavorava non ha “mascherato” in alcuni casi l’identità dei pazienti, ha impiegato personale addetto alle vaccinazioni non adeguatamente formato e non è stata tempestiva nel monitorare gli eventi avversi riferiti da alcune delle persone partecipanti allo studio di fase III del vaccino prodotto da Pfizer [1]. Inoltre, sembra che talvolta i vaccini non siano stati conservati come prescritto – elemento che ne ridurrebbe l’efficacia – e che le siringhe usate per la somministrazione non siano state smaltite correttamente. “Dopo aver ripetutamente informato Ventavia di questi problemi” scrive il giornalista Paul Thacker sul BMJ “la funzionaria Brook Jackson ha inviato un reclamo tramite e-mail alla Food and Drug Administration (FDA)”, l’agenzia che amministra la registrazione di farmaci, vaccini, dispositivi negli Stati Uniti. Ventavia l’ha licenziata il giorno stesso e Jackson ha fornito al BMJ dozzine di documenti aziendali interni, foto, registrazioni file audio ed e-mail.

Non capisco: gli studi non sono condotti dall’azienda produttrice?

Le aziende produttrici di medicinali raramente conducono direttamente gli studi clinici utili all’approvazione dei propri prodotti. Affidano le ricerche a società specializzate in queste attività, come quella nella quale era arrivata da poco Brook Jackson: Ventavia, una “contract research organization”. Si tratta di società che si occupano dello sviluppo dei prodotti farmaceutici, della gestione della ricerca clinica (dalla fase preclinica alla fase IV), del cosiddetto data management e delle analisi statistiche, ma possono anche arrivare alla cura delle attività di farmacovigilanza e degli articoli da sottoporre alle riviste accademiche e alla preparazione dei documenti utili alle attività regolatorie. Può trattarsi di grandi organizzazioni internazionali ma anche di piccole aziende molto specializzate.

L’integrità dei funzionari di queste CRO è un elemento fondamentale, come anche il rigore metodologico che deve informare l’attività di ricerca clinica superando le difficoltà che stiamo vivendo in tempi difficili come quelli attuali [2,3]. Ma ancora di più è essenziale che le società private a cui è affidato un ruolo così delicato non si comportino in modo da incrinare la fiducia dei cittadini nei metodi e nei risultati della ricerca.

Come riferisce Paul Thacker sul BMJ [1], “durante le due settimane in cui è stata impiegata presso Ventavia nel settembre 2020, Jackson ha ripetutamente informato i propri superiori della cattiva gestione, dei problemi di sicurezza dei cittadini coinvolti nello studio e dei problemi di integrità dei dati.” È importante sottolineare come si tratti di una persona molto competente: nonostante fosse stata assunta da pochi giorni, prima di arrivare nell’azienda di cui si parla in questi giorni, Jackson aveva maturato 15 anni di esperienza in altre realtà simili nella conduzione di studi clinici.

Ma in che senso lo studio non avrebbe mascherato l’identità dei cittadini vaccinati?

Lo studio era disegnato in maniera che il personale responsabile della preparazione e della somministrazione di Comirnaty e del controllo non fosse a conoscenza se la sostanza nelle fiale corrispondesse al vaccino oppure al placebo. Questo avrebbe dovuto prevenire qualsiasi condizionamento o distorsione nel metodo di ricerca. Tuttavia, sembra che la conferma dell’assegnazione all’uno o all’altro gruppo (vaccino o placebo) venisse stampata e lasciata nelle cartelle cliniche dei partecipanti, accessibili al personale.

Le rivelazioni della funzionaria di Ventavia che hanno dato luogo allo Pfizergate riguardano anche delle importanti negligenze in merito al monitoraggio delle reazioni indesiderate (persone fatte accomodare nei corridoi degli ambulatori vaccinali senza sorveglianza sanitaria) e alla verifica della rilevanza degli effetti avversi riferiti dalle persone vaccinate: la CRO avrebbe dovuto contattare le persone entro 24 ore e invece in più di cento occasioni sembra che  la telefonata ai cittadini segnalatori sia avvenuta a distanza di tre giorni.

Dottore, ma in casi del genere quali controlli vengono fatti?

Dello studio clinico sul vaccino Comirnaty non c’è da fidarsi

Durante studi di questo tipo sono previste delle ispezioni da parte delle autorità regolatorie. Nell’agosto di quest’anno (2021), l’agenzia del farmaco statunitense ha confezionato un rapporto delle ispezioni svolte. “Nove dei 153 siti dello studio sono stati ispezionati” spiega Thacker, ma tra i centri visitati non c’erano i tre gestiti dalla società Ventavia. “Viene da chiedersi come siano scelti dalla agenzia regolatoria i centri da sottoporre a ispezione” commenta Rodolfo Saracci, ricercatore e in passato presidente dell’Associazione internazionale di epidemiologia. “La percentuale dei centri controllati dovrebbe essere più alta e il campionamento dovrebbe essere casuale. Pensiamo cosa sarebbe potuto accadere se una notizia del genere fosse circolata nell’imminenza dell’avvio della campagna vaccinale: quale impatto avrebbe potuto avere sulle scelte dei cittadini?”.

Più ottimista Paul Offitt, medico e consulente della stessa FDA americana: “Tutto questo somiglia a un’alzata di mano” ha commentato al sito di approfondimento medico MedPage Today. Il pediatra del Children’s Hospital di Philadelphia, tra i più noti esperti di vaccinazioni nei bambini, ha proseguito: “Il fatto che il BMJ abbia pubblicato la notizia non la rende più vera. Se una persona ritiene di dover fare una denuncia del genere deve farlo, lasciando poi all’azienda il compito di chiarire.” A questo proposito, Ventavia ha comunicato di aver avviato un’azione legale e, in un comunicato, Pfizer si è detta rammaricata per non essere stata contattata preventivamente dal BMJ per un chiarimento e per la decisione della rivista di rilanciare informazioni parziali che rischiano di screditare il lavoro di ricerca.

Quali conclusioni possiamo trarre sullo Pfizergate?

“Mi torna in mente la storia degli aerei della Boeing 737 Max” dice Rodolfo Saracci. “La Federal Aviation Administration non fece i necessari accurati controlli, fidandosi di quelli del produttore, con l’esito drammatico che ricordiamo. Con tutte le differenze del caso, servirebbe un’autorità regolatoria più scrupolosa e attenta.” Altrimenti, come ha scritto Till Bruckner, uno stimato ricercatore dell’Institute of Health di Berlino, un avvenimento come lo Pfizergate “mina la fiducia nelle istituzioni democratiche e negli organismi di sanità pubblica”. Inoltre, potrebbe dare ai cittadini l’impressione che i media mainstream stiano deliberatamente ignorando una storia importante per evitare di alimentare l’esitanza vaccinale” [5].

Quindi “a ben guardare”, dice a Dottore ma è vero che? Antonio Addis, ricercatore con grande esperienza regolatoria nell’Agenzia Italiana del Farmaco e presso la European Medicines Agency, “la notizia riferita dal BMJ non sembrerebbe mettere in discussione i risultati degli studi registrativi, ma chiarisce i rischi che si corrono affidando a società non irreprensibili attività di ricerca molto delicate.”

(Fonte: dottoremaeveroche.it)