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di Emidio Tribulato
L’estendersi dei contatti con il mondo, durante i quali sono registrati successi e insuccessi, soddisfazioni e frustrazioni, conducono il bambino a scoprire il proprio potere sulle persone e sulle cose, ma anche la resistenza che il mondo degli adulti oppone alle sue necessità. Mondo con il quale è costretto a lottare continuamente soprattutto durante il periodo di opposizione.
In questo periodo, verso i due anni e sei mesi, anche a scapito dei suoi bisogni affettivi e protettivi, il bambino, più che dare soddisfazioni all’adulto, sente la necessità di affermare la propria personalità ed il proprio Io, mediante il rifiuto di ubbidire sempre e comunque ai genitori e agli adulti in genere. Egli diventa più ribelle, cocciuto ed intrattabile. Fa il contrario di quanto gli si chiede. Si confronta con le imposizioni dei familiari. Piange e strilla per avere qualcosa che, subito dopo, abbandona con indifferenza. Con gli adulti sembra ricercare più lo scontro che l’incontro, più la polemica che l’intesa. Nella ricerca di una maggiore fiducia in se stesso e nel desiderio di una maggiore indipendenza ed autonomia, il bambino vuole fare tutto e tutto da solo. Avverte continuamente che i suoi bisogni si scontrano con quelli degli altri. Non sopporta di iniziare un’attività e di non riuscire spesso a portarla a termine, in quanto vi sono delle esigenze superiori, quelle dei genitori, dei nonni e degli zii, che lo costringono ad interromperla bruscamente. Pertanto sente spesso i propri familiari come dei guastafeste che si inseriscono indebitamente nei suoi giochi e nelle sue esplorazioni. In questa fase, come dice la (Isaacs, 1995, p. 68): ‹‹Non si potrebbe dire ai bambini una cosa più crudele o più stupida di: ‹‹Non toccare››. Questo equivale a dire: ‹‹Non imparare, non crescere, non essere intelligente››.[1] In quanto gli si impedisce di scoprire, imparare e crescere››. Il bambino impara soprattutto scoprendo le cose e non attraverso le nostre spiegazioni.
A questo proposito ci sembra illuminante l’osservazione di questa autrice la quale afferma: ‹‹Quale piacere perdono, per se stessi e per i loro figli, quei genitori che lasciano passare inosservata questa appassionata urgenza di costruire e di fare, e che, invece di provvedere al materiale e allo spazio necessario, cercano di comprimere questa energia costringendo i bambini a “stare seduti tranquilli” o a tenere “puliti i vestiti”››. Il bambino ha bisogno di spazio per muoversi, agire, effettuare dei giochi creativi, correre, arrampicarsi (Isaacs, 1995, p. 70).[2]
Accanto allo spazio fisico si allarga anche il suo spazio psicologico. Il bambino acquisisce la capacità di comprendere la successione cronologica degli avvenimenti. Inoltre la conquistata produzione del linguaggio gli consente di simbolizzare e rappresentare la realtà.
È sempre a questa età che aumentano le richieste da parte del mondo esterno. Gli adulti chiedono al bambino una maggiore collaborazione. Si aspettano che egli faccia quanto gli viene detto e che abbia anche un maggior controllo dei suoi atti e dei suoi comportamenti. Poiché il suo rapporto principale è con la madre, che è anche la sua figura di riferimento, è lei che comincia ad insegnargli il comportamento che la società si aspetta da lui e quindi le regole sociali. È lei che dice i tanti “no”, aiutata dall’autorità paterna, per alcune sue iniziative pericolose, rischiose o inopportune e pertanto, gli sforzi per ‹‹essere buono›› sono fondamentali per avere l’affetto e la comprensione della mamma.
E se alcune madri, dopo il primo anno, vorrebbero che il figlio restasse piccolo e quindi le ricompense lavorano contro il suo processo di maturazione nel tentativo di mantenerlo piccolino, altre mamme per diminuire il loro carico di lavoro e di impegno vorrebbero che il bambino acquisisse il più presto possibile quelle autonomie, soprattutto nel controllo sfinterico, che ritengono indispensabili. Pertanto utilizzano in modo eccessivo rimproveri e punizioni, se il bambino non si adegua ai loro bisogni, alle loro richieste e ai loro desideri.
Le punizioni possono essere di vario tipo. Alcune consistono nell’infliggere un dolore fisico, altre si propongono di procurare una sofferenza psicologica, ad esempio, limitando il piacere dell’attività motoria: ‹‹Stai con la faccia contro il muro››. Alcune punizioni consistono nel rifiutare o proibire un oggetto amato e desiderato. Altre volte i genitori puniscono ritirando, almeno momentaneamente, la stima, la fiducia, il contatto e le coccole stesse della madre o del padre. Tuttavia non sempre le punizioni sono utili. Quando sono frequenti ed eccessive accentuano l’irritabilità, l’instabilità, l’irrequietezza ma anche l’atteggiamento scontroso ed ostile.
[1] S. ISAACS, La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni – Figli e genitori, Op. cit., p. 68.
[2] Ivi, p. 70.