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di Marinella Ruggeri
I postumi di COVID-19 descritti a livello gastrointestinale sono la perdita di appetito, nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, dispepsia, reflusso gastroesofageo, eruttazione, distensione addominale . Attualmente diversi studi stanno valutando le conseguenze a lungo termine di COVID-19 a livello gastrointestinale compresa la “sindrome del colon irritabile post-infettivo” . Diversi studi sono stati pubblicati dal mese di gennaio al mese di giugno 2021, tra i quali d’interesse scientifico, appare quello pubblicato su Neurogastroenterology and Motility sulla persistenza dei sintomi con ripercussioni somatoformi.
Altro studio valido è stato condotto a Hong Kong su 200 adulti, nella Chinese University, in cui si è significativamente dimostrato che il microbiota intestinale delle persone che sono guarite da COVID-19 è diverso da quello degli individui mai infettati. Lo studio è a favore di una ipotesi di coinvolgimento del microbiota intestinale, ossia la ricchezza del microbiota non si ripristina sei mesi dopo l’infezione, pertanto c’è relazione tra l’infiammazione generata dal virus e la disbiosi persistente. Il team dei ricercatori ha raccolto campioni di feci e sangue, in tre momenti , fase acuta, durante la convalescenza e nella post-convalescenza ( 6 mesi dopo). Si ipotizza che la ridotta ricchezza del microbiota intestinale è implicato nella patogenesi del danno polmonare acuto attraverso diversi potenziali meccanismi, tra cui la traslocazione diretta dei batteri dall’intestino al polmone e gli effetti della modulazione immunitaria dei metaboliti microbici.
Questi dati sono in linea con l’osservazione che i pazienti con una minore ricchezza del microbiota durante la post-convalescenza presentano anche una funzioni polmonare compromessa. In particolare Faecalibacterium prausnitzii, Eubacterium rectale e alcune specie di bifidobatteri, erano ridotti , generando uno squilibrio microbico con perdita di batteri buoni che generalmente risultano importanti per il funzionamento efficace del sistema immunitario. L’analisi dei campioni di sangue, inoltre, faceva osservare che la notevole riduzione di questi batteri, correlava con le altrettanto elevate concentrazioni delle citochine infiammatorie e dei marcatori del sangue come proteina-C reattiva, lattato deidrogenasi, aspartato aminotransferasi e gamma-glutamil transferasi.
Questi dati non erano influenzati dalla somministrazione di terapia antibiotica durante la fase acuta del COVID.
Pertanto la manipolazione terapeutica mirata a promuovere un recupero della funzionalità del microbiota potrebbe diventare una strategia nel trattamento del Long Covid iniziando dall’uso di probiotici a opportuna titolazione.
Si suggerisce di attenzionare le attuali manifestazioni gastrointestinali che si stanno verificando, in successione, nella sindrome simil-influenzale da “variante Omicron”. Spesso, quando il test antigenico rapido si negativizza, il soggetto però, non risulta ancora asintomatico, ma presenta altre manifestazioni diarrea, dolori addominali e sensazione di nausea, che possono essere il segnale della presenza ancora del virus che induce una sintomatologia diversa in due tempi, prima a carico delle vie aeree e poi gastro-intestinali. In questi casi, sarebbe auspicabile, effettuare un test molecolare per verificare che il test rapido non abbia dato un “ falso negativo