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Questioni di lingua: trentaseiesimo appuntamento

Questioni di lingua: trentaseiesimo appuntamento

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di Carmelo Micalizzi

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I BAGNICELLI DI CONTRADA RITIRO

LE TERME ROMANE E IL “PUTRIDARIUM” FRANCESCANO

Una sorgente termale di acque sulfuree, calde in alcune stagioni dell’anno, scaturiva dalle pendici collinari di contrada Ritiro sulla sponda sinistra del torrente San Michele lì dove confluisce nel torrente Scala-Badiazza formando il torrente Giostra.

Le tracce della vena, oggi inaridita o forse nascosta in un percorso carsico argilloso, sono sparse in cenni bibliografici che qui si compendiano non fosse altro che per il recupero della memoria, ne pereat, dell’antico idronimo messinese e, soprattutto, delle vicende che lo riguardano. L’area della sorgiva identifica infatti un sito archeologico “a cielo aperto” fondato nel tratto iniziale della pista collinare che conduce alla portella di San Rizzo, un percorso obbligato fino al terzo decennio del XIX secolo quando venne tracciata la strada carrozzabile “provinciale” per il litorale tirrenico. Lo stesso sito è di particolare interesse per le tracce di antiche fondazioni monastiche: il primo convento, nel 1238, dell’Ordine del Carmelo d’occidente e, nel 1425, il primo convento francescano di Sicilia. La memoria della sorgente è anche legata al ritrovamento di un bassorilievo di marmo preziosa traccia di un ninfeo d’epoca classica.

La notizia più remota sulla fonte giunge da Placido Reina autore Delle notizie istoriche della Città di Messina (1658). Vi si descrive la presenza, presso la chiesa di Santa Maria del Gesù, di una contrada chiamata “i Bagnicelli” in cui, ancora ai tempi dello storico, era possibile vedere le vestigia di un antico edificio con molti sedili uguali l’uno accanto all’altro murati in cerchio ciascuno di essi come in una nicchia presso il quale scorrevano delle acque:    

Verso la contrada di S. Maria di Gesù, vi erano anticamente i bagni, chiamati i bagnicelli, della virtù de’ quali perdutasi nel processo del tempo la memoria, ne sono solamente rimasti i fondamenti dell’antico edificio, che era per quanto si può comprendere ripartito in molti sedili uguali l’uno a canto all’altro murati in cerchio ciascuno di essi come in una nicchia. Veggonsi ancora lì per terra scorrer le acque, le quali in alcuni mesi dell’anno si sentono più calde, che tutte le altre del nostro territorio, mandando pur fuori un certo odore come di zolfo, o di altra cosa minerale. Di esse non valendosi i cittadini, come facevano gli antichi, per negligenza forse di chi dovrebbe rinvenirne l’uso, si servono a questi dì i maestri per acconciarvi delle cuoja.

Lo storico olandese J. G. Graevius nella monumentale opera Thesaurus antiquitatum ed historiarum Siciliae, collettanea della cultura dell’epoca compendiata per gli studiosi di ogni parte d’Europa e stampata a Leida nel 1723, si sofferma su tali balnea, vulgo balneola e ritrascrive nella versione in latino l’identico testo del Reina:

Alia olim erant balnea, vulgo balneola dicta, in superiori parte regionis, S. Mariae de Jesu vocatae. Horum vero successu temporis memoria paene interiit,  solaque supersunt fundamenta domus olim ibi exstructae. Quae quidem, quantum intelligi potest, in multas fedes contiguas, quamquam separatas, distributa erat, ac circulum referebat. Aquae adhuc ex terra ibi prorumpunt: quae quibusdam anni mensibus omnibus reliquis tractus nostri aquis calidiores sunt, ac odorem quemdam sulphureum aut huic cognatum spirant […].   

Antonino Mongitoreautore Della Sicilia Ricercata nelle cose più memorabili (1743), nel capitolo XIV in cui svolge il tema De’ Bagni ed Acque minerali,dedica ben trenta pagine ai bagni isolani, ma riguardo al territorio peloritano il letterato palermitano cita solo tre sorgenti termali: quella di Alì sulla costa ionica, quella di Castroreale sulla costa tirrenica e i Bagnicelli di contrada Ritiroin cui le acque sono descritte con un odore di zolfo e altra materia minerale:     

Vi furono nella città di Messina certi bagni anticamente verso la contrada superiore di S. Maria di Gesù, chiamati li Bagnicelli. Di essi fa menzione il Reina […] scrivendo che rimane memoria di essi ne’ fondamenti dell’antico edifizio, ripartito in molti sedili uguali, disposti in giro. Si vede tuttavia l’acqua che in alcuni mesi dell’anno si conosce calda con odore di zolfo e altra materia minerale.          

Giuseppe Grosso Cacopardo nella Guida per la Città di Messina (1841) scrive che in un fondo attiguo al convento di Santa Maria del Gesù si vedono tuttora i ruderi d’un antico edificio che serviva di bagno pubblico a causa delle acque termali. Riguardo il bassorilievo marmoreo lo storico precisa che aveva una lunghezza 4 palmi e poco meno di altezza, che raffigurava tre fanciulle una delle quali con un vaso versa l’acqua sulla testa di un’altra, mentre una terza le raccoglie in un sottoposto bacile e che, per la sua importanza, avrebbe meritato un posto nel pubblico museo:

Per me, può aggiungersi, che tentandosi quivi pochi anni sono uno scavo, si rinvenne, innanzi un ingresso, sotterrato un basso-rilievo di marmo bianco di lunghezza 4 palmi e poco meno di altezza, nel quale vi sono rappresentate alcune figure, una delle quali con un vaso versa l’acqua sulla testa di un’altra, mentre una terza le raccoglie in un sottoposto bacile, forse per indicare che quelle acque giovavano a’ mali di testa. Oggi questo basso-rilievo si possiede dal Sig. Barone Cianciolo; esso meriterebbe un posto nel pubblico museo.     

Per quanto concerne l’architettura delle terme, nei sedili uguali l’uno a canto all’altro murati in cerchio ciascuno di essi come in una nicchia si riconosce la struttura di un Ninfeo e nelle tre fanciulle del bassorilievo la raffigurazione delle ninfe della sorgiva. Il marmo, forse un ex voto – di cui purtroppo si è persa oggi ogni traccia –, si può confrontare con un rilievo in pietra arenaria di simili proporzioni proveniente dalle colline d.i Camaro, pubblicato da Paolo Orsi nel 1902 e oggi custodito presso il Museo archeologico di Siracusa. Si notano alcune analogie tra i due reperti: la rappresentazione delle tre giovani donne e le caratteristiche dei luoghi di rinvenimento che rimandano a due simili luoghi di culto: l’uno sulle prime alture del torrente Camaro a meridione della città storica e l’altro a settentrione sulle prime pendici collinari del torrente Giostra.  

Nel 1897 Gaetano La Corte Cailler scriveva come, ai suoi tempi, fossero ancora visibili avanzi delle antiche terme, delle mura che per un vasto spazio del terreno costituivano l’edifizi e di un serbatoio in cui si immettevano tre acquedotti. Lo storico spiega come il reperto marmoreo fu rinvenuto innanzi un ingresso, sotterrato, nella circostanza in cui si tentò pochi anni sono uno scavo e che i ruderi furono completamente sepolti dall’alluvione del 1831:

Attualmente quel luogo presenta ancora qualche avanzo delle fabbriche e delle mura che, per un vasto spazio del terreno, costituivano l’edifizio, ma i sedili ricordati dal Reina e gli altri ruderi che poscia si vennero a scoprire furono completamente sepolti dall’alluvione del 1831 […]. Non resta da osservarsi che un serbatoio largo m. 2,50, del quale l’arco, ancora visibile, misura m. 4,50, restando il rimanente sepolto.

Di recente è stata resa nota da Filippo Imbesi la presenza, sul prospetto della cappella di proprietà della famiglia Picardi De Gregorio a Barcellona Pozzo di Gotto, di un marmo recante l’iscrizione “AQUAE S. MARIAE DE IESU’. EX ACT(IS) NOT(ARII) ANTONY MANGIANTI AN(NUS) 1476”. L’architetto si sofferma sulla descrizione della lapide con al centro lo stemma francescano e, ai lati, la Madonna con il Bambino e San Francesco raffigurato con la barba, il saio e, nelle mani, le stimmate. Il reperto proveniente – come dimostra il riferimento alle acque di Santa Maria di Gesù desunto da un atto del 1476 del notaio Antonio Mangianti – dall’area cimiteriale del convento del Ritiro venne rimosso dai proprietari forse dopo le disastrose alluvioni del 1855 o del 1863, o nella circostanza delle cosiddette “leggi eversive” con le quali si alienarono, dal 1866, gran parte delle proprietà dei religiosi.     

Il tema dell’acqua, nell’accezione del suo utilizzo per l’igiene e la cura, segna da secoli la contrada Ritiro. Volendo limitarsi a tempi recenti si rimanda all’uso che se ne fece durante la pestilenza del 1743 quando si adibì a Lazzaretto una parte del convento e ad un “Ospedale per le Malattie Infettive” fondatovi intorno al 1850. Un trentennio dopo il medico Lorenzo Mandalari vi avviò un “Ospedale dei matti” con strutture sanitarie multifunzionali che operò fino agli anni ‘70 del secolo scorso.       

Ė verosimile che i francescani di Santa Maria del Gesù, i quali praticavano i riti funerari nel perimetro cimiteriale sub ecclesia, secondo la coeva legislazione e nelle consuetudini dell’Ordine, adagiando i confrati deceduti nel putridarium, il sotterraneo colatoio de morti, abbiano utilizzato, restaurandoli, i ruderi del ninfeo greco-romano. Questo infatti si prestava, per la parte muraria, per le nicchie a parete e per i sedili, alla depositio dei monaci nella cosiddetta “prima morte”, pro sicatione,in attesa di riporre, ultimatasi la decomposizione, le ossa e il cranio scarnificati e puliti negli ossari conventuali.

Le analogie strutturali tra il ninfeo e il convento francescano di contrada Ritiro non è un evento isolato. Vi è documentazione di fondazioni francescane realizzate sull’area di sedime di antiche ville romane secondo il principio della utilità. Le ragioni che motivavano la costruzione di una villa in un luogo ameno destinato all’otium erano infatti accostabili alle ragioni che giustificavano la costruzione di un convento in un luogo destinato alla contemplazione e alla preghiera. Così, per le fondazioni è comprensibile che si preferissero luoghi prossimi a vene d’acqua e a percorsi d’accesso lontani – ma non troppo – dalle mura urbane. Riguardo l’Ordine francescano è noto come, fin dalle origini, i conventi, all’atto della edificazione, si siano talora sovrapposti ad antiche ville romane e a strutture termali. Ne sono esempi i conventi di Assisi, Connara, Bevagna e Spello.

Giusto per il recupero della memoria, riparlando del sedime di Santa Maria di Gesù del Ritiro, un’area libera da vincoli prediali e da particolari ostacoli burocratici, è auspicabile che si proceda con oculati saggi di scavo perché si porti alla luce, con le parole usate da La Corte Cailler, quel rimanente sepolto che potrebbe rinvenirsi a poco più di un metro sotto le coltivazioni del fondo. Finalità è tanto la comprensione del palinsesto architettonico delle chiese dell’Ordine degli Osservanti di Messina più volte demolite dalle secolari inondazioni ma sempre ricostruite nello stesso sito fino al sisma del 1908, quanto l’individuazione sia delle falde freatiche delle acque con odore di zolfo e altra materia minerale, sia delle terme romane da cui quelle acque tracimavano. Individuare pertanto tali tracce: siano pure lacerti di fondamenta, cocci di condutture, tratti di camminamenti, di pozzi, di cavità naturali, anche frammenti dei marmi che decoravano in origine l’edificio per secoli sede di un culto delle Ninfe e, dal XII secolo, del culto cristiano: giusto per il recupero della memoria. 

Carmelo Micalizzi

N.B.: Il disegno con il bassorilievo marmoreo recuperato nell’area della chiesa di Santa Maria di Gesù di contrada Ritiro, descritto nel 1841 da Giuseppe Grosso Cacopardo e poi definitivamente scomparso, è stato eseguito dall’architetto Francesco Galletta.

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