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Programmare la sanità? Se si vuole si può

Programmare la sanità? Se si vuole si può

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di Giuseppe Ruggeri

Ogni anno in Italia si spendono dai 100 ai 110 miliardi in sanità pubblica, ma, malgrado questo, nel 2020 rispetto al 2019 si è registrata una riduzione di circa 1,3 milioni di ricoveri e di ben 144,5 milioni di prestazioni specialistiche ambulatoriali.

Colpa della pandemia, certo. Ma anche della cattiva gestione dei servizi che assistono da anni – l’arco temporale preso in esame va dal 2009 al 2018 – a una drastica decurtazione del personale medico e infermieristico (8.000 e 13.000 unità in meno rispettivamente). E infine, nota ancor più dolente, dei protratti tempi d’attesa e del pagamento delle prestazioni.

Risultato? Oltre dieci milioni d’italiani, attualmente, rinunciano alle cure le quali peraltro, in certi casi e per determinate patologie (vedasi appunto l’emergenza pandemica), non riescono a rientrare nei livelli essenziali di assistenza (LEA).

A ciò si aggiunga il progressivo invecchiamento della popolazione che ha raggiunto, a Messina e provincia, il tasso del 23,6% nel 2020, contro il 19,2% del 2001. Invecchiamento significa maggior incidenza delle patologie cronico-degenerative e di tutti quei quadri polipatologici che, a causa della loro cronicità, necessitano di assistenza domiciliare e lungodegenza e, in Sicilia, non è stato ancora attivato il Piano delle Cronicità del 2016.

L’invito a costituire un tavolo tecnico permanente in grado di affrontare le criticità che emergono da tutto questo proviene dal Presidente del Comitato Consultivo dell’A.S.P. Messina Antonio Giardina. In un documento indirizzato alle istituzioni locali e sanitarie, Giardina rilancia la necessità del ”progetto di cura e di presa in carico integrata, sulla base di una valutazione multidimensionale e multiprofessionale, sanitaria e sociale, in coerenza ai principi fondamentali di universalità, uguaglianza ed equità” previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Tutto ciò nell’ottica della realizzazione delle Case della Comunità, vale a dire strutture che, secondo l’estensore del PNRR, consentono di “potenziare e riorganizzare i servizi offerti sul territorio migliorandone la qualità” grazie a uno “strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi offerti, in particolare ai malati cronici”. Tra i servizi offerti, in particolare, “il Punto Unico d’Accesso (PUA) per le valutazioni multidimensionali (servizi socio-sanitari) e i servizi che, secondo un approccio di medicina di genere, dedicati alla tutela della donna, del bambino e dei nuclei familiari (…) delle persone anziane e fragili, variamente organizzati a seconda delle caratteristiche della comunità specifica”.

Una sfida che deve necessariamente passare per il potenziamento del territorio e, dunque, della domiciliarizzazione delle cure e dell’assistenza socio-sanitaria in genere. Ma anche, non dimentichiamolo, migliorando la qualità delle prestazioni specialistiche ospedaliere in considerazione anche del fatto che – come fa rilevare Giardina – la Sicilia spende annualmente quasi 300 milioni in mobilità passiva a vantaggio di altre Regioni. Fondi che potrebbero essere proficuamente impiegati per rendere eccellenti alcuni servizi dotando gli stessi delle adeguate risorse umane e strutturali. E scommettendo sulla ricerca evitando ogni inutile spreco per obiettivi diversi rispetto alla riqualificazione globale dell’offerta sanitaria.