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di Marinella Ruggeri
Già dall’inizio della pandemia è stato lanciato l’allarme delle possibili ripercussioni che si sarebbero potute verificare sulla salute mentale del singolo individuo e dell’intera collettività, determinate sia dalla malattia che dai provvedimenti adottati per fronteggiarla come l’isolamento forzato, le restrizioni, le perdite affettive, ed economiche, i lutti traumatici. Il trascorrere del tempo, ha fatto emergere che non solo le le previsioni erano corrette ma addirittura sottostimate, in quanto, il fenomeno è destinato a crescere in maniera esponenziale e a necessitare una rapida presa in carico.
Uno studio pubblicato sul British Medical Journal mostra che COVID-19 è associato a un aumento del rischio di disturbi di salute mentale, tra cui ansia, depressione, abuso di sostanze e disturbi del sonno, fino a un anno dopo l’infezione iniziale.
In questo studio, Xie ( primo autore) e colleghi hanno valutato i dati di 153.848 individui che erano sopravvissuti almeno 30 giorni dopo un risultato positivo al test PCR tra marzo 2020 e gennaio 2021, e li hanno abbinati a due gruppi di controllo senza COVID-19, uno di 5.637.840 controlli contemporanei e l’altro di 5.859.251 controlli storici precedenti alla pandemia. Il gruppo che aveva avuto COVID-19 è stato suddiviso in due sottogruppi in base al fatto che i pazienti fossero o meno stati ricoverati durante la fase acuta dell’infezione, e gli esperti hanno seguito i gruppi per un anno. Rispetto al gruppo di controllo, le persone che avevano avuto COVID-19 hanno mostrato un rischio maggiore del 60% di ricevere qualsiasi diagnosi di problemi di salute mentale a un anno di distanza dall’infezione.
Quando i ricercatori hanno esaminato separatamente i vari disturbi della salute mentale, hanno scoperto che il COVID-19 era associato più frequentemente a disturbi del sonno, disturbi depressivi, declino neurocognitivo e qualsiasi disturbo da abuso di sostanze (non oppioidi). I rischi erano più alti nelle persone che erano state ricoverate in ospedale durante la fase acuta della malattia, ma erano evidenti anche tra coloro che non erano rimasti in ospedale. Le persone che avevano avuto COVID-19 hanno anche mostrato maggiori rischi di disturbi di salute mentale rispetto alle persone con influenza stagionale, e rispetto a quelle ricoverate in ospedale per qualsiasi altro motivo.
Benché in tutti i Paesi le conoscenze sull’impatto della pandemia sulla salute mentale siano ancora limitate e per lo più derivate da esperienze solo parzialmente assimilabili all’attuale epidemia, come quelle che si riferiscono alle epidemie di SARS o Ebola, è verosimile che la domanda di interventi psicosociali aumenterà notevolmente nei prossimi mesi e anni. L’investimento nei servizi e in programmi di salute mentale a livello nazionale, che hanno sofferto per anni di limitati finanziamenti, è quindi ora più importante che mai.
Gli ultimi mesi hanno comportato molte sfide, in particolare per gli operatori sanitari, gli studenti, i familiari dei pazienti affetti da COVID-19, le persone affette da disturbi mentali, e più in generale le persone che versano in condizioni socio-economiche svantaggiate, e i lavoratori i cui mezzi di sussistenza sono stati minacciati. L’impatto economico sostanziale della pandemia può infatti ostacolare oltre che i progressi verso la crescita economica, anche quelli verso l’inclusione sociale e il benessere mentale. Numerosi studi mostrano che la perdita di produttività lavorativa è tra i principali determinanti della cattiva salute mentale.
In Italia il Centro di riferimento per le scienze comportamentali e la salute mentale dell’Iss è stato attivo sin dalle prime fasi della pandemia, sia attraverso la partecipazione e la conduzione di studi ,sia attraverso indagini valutative dello stato dei servizi disponibili per la popolazione. Nel tentativo di comprendere al meglio gli aspetti legati all’impatto della situazione emergenziale sulla salute mentale della popolazione, a giugno il Registro nazionale gemelli (RNG), gestito all’interno del Centro, ha avviato un’indagine sulla popolazione di gemelli.
Tre le survey previste in un anno per valutare l’impatto sulla vita quotidiana e le ripercussioni della pandemia sull’equilibrio psico-emotivo della popolazione, inclusa la domanda di ricorso a specialisti della salute mentale e delle neuroscienze.
Circa 2.700 gemelli adulti (età media 45 anni, 64% donne) e 878 famiglie con gemelli minorenni (età media 9 anni) hanno già partecipato allo studio e i primi risultati mostrano che la quasi totalità del campione adulto si è informata costantemente sull’andamento della pandemia utilizzando diversi canali (TV, Radio e siti istituzionali) e che un quarto dei gemelli ritiene le proprie conoscenze ampie.
L’85% dei rispondenti o dei loro conviventi non ha avuto, durante il lockdown, sintomi ricollegabili a infezioni da SARS-CoV-2, mentre emerge un evidente impatto della pandemia sulla condizione di salute mentale, in termini di stress percepito e presenza di sintomi ansiosi e depressivi. Sono stati infatti osservati sintomi depressivi o da stress rispettivamente nell’11 e nel 14% del campione. I livelli di ansia invece sono risultati oltre il range di normalità nella metà circa dei soggetti esaminati.
Per quanto riguarda i gemelli tra gli 11 e i 17 anni, il 16% ha dormito peggio durante il periodo di lockdown, e almeno il 75% è rimasto in contatto con gli amici tramite messaggi e/o videochiamate. Anche se solo il 4% ha mostrato una forte preoccupazione per la propria salute fisica e mentale, il 13% ha dichiarato di essersi sentito abbastanza spesso triste e l’11% di essersi sentito abbastanza spesso solo. I dati preliminari mostrano dunque come ci sia una forte variabilità nella risposta alla situazione emergenziale e un’analisi più approfondita dei dati consentirà di caratterizzare meglio tutte le informazioni raccolte e comprendere i determinanti di questa risposta.
Parallelamente a queste indagini, il Centro ha partecipato a uno studio coordinato dal Dipartimento di Salute Mentale dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. L’obiettivo era valutare le aree del funzionamento psicosociale, tra cui la presenza di sintomi dello spettro ansioso-depressivo, ossessivo-compulsivo e post-traumatico da stress. I risultati, ottenuti su un campione di 20.720 partecipanti, evidenziano che durante il lockdown sono aumentati i livelli di ansia, depressione e sintomi legati allo stress, soprattutto nei soggetti di sesso femminile. Inoltre, la durata dell’esposizione al lockdown ha rappresentato un fattore predittivo significativo del rischio di presentare peggiori sintomi ansioso-depressivi.
Fattori quali una minore istruzione, un’occupazione di bassa qualità, la povertà e le conseguenti disuguaglianze di reddito possono avere impatto sulla salute mentale perché influenzano l’accesso ai servizi sia a scopo di prevenzione sia per il trattamento degli episodi acuti.
Il Centro è stato anche parte del comitato promotore italiano dello studio “The COVID-19 HEalth caRe wOrkErS (HEROES) study”, un progetto di ricerca internazionale che ha coinvolto i cinque continenti attraverso una rete collaborativa di quasi 40 Paesi, mirato a mettere in risalto le difficoltà e i problemi incontrati dagli operatori sanitari, supportare il loro ruolo, e produrre risultati che possano indirizzare azioni e politiche di sostegno rivolte agli operatori stessi e alla riorganizzazione dei servizi.
Se il COVID ha messo in atto il fenomeno descritto, ancora di più lo si osserva nel LONG-COVID.
Il long covid , come più volte sottolineato, è l’insieme di alcuni effetti del coronavirus che permangono anche dopo la guarigione: stanchezza, insonnia, ansia, ma anche disturbi della memoria e della concentrazione. Il tropismo del covid per il sistema nervoso è noto da tempo, ma quello che è emerso col passare delle settimane è che questo tipo di esiti non colpiscono solo pazienti gravi e ospedalizzati. Tali esiti di lunga durata che riguardano le funzioni cognitive riguardano infatti una percentuali significativa di chi è stato infettato: secondo le ricerche chi è stato positivo presenta fin dopo sette mesi una serie di difficoltà a carico di memoria, attenzione, rallentamento nella velocità di esecuzione dei compiti e difficoltà a fare pianificare più cose contemporaneamente (capacità esecutive).
I pazienti che sto osservando mi raccontano che tornando al lavoro e a tutte le altre attività si sentono sempre molto stanchi, non dormono bene, fanno fatica a concentrarsi, provano una specie di ansia e non sanno spiegarsi il motivo, ci mettono una “buona manciata di secondi”in più per trovare le parole per esprimere il loro pensiero come se mente e lingua siano scollegati, e questo crea disagio, malessere, paura di non essere più efficienti come prima e di non poter più garantire gli standard che il lavoro richiede loro.
A questi aspetti si aggiungono anche altri sintomi a carico degli altri organi.
Il benessere mentale non è sotto attacco solo dal long covid: dipende da come abbiamo vissuto emotivamente gli ultimi due anni. L’aumentato numero nell’uso di psicofarmaci ci dice di un disagio diffuso sul fronte emotivo. Disturbi d’ansia, ipocondria, depressione, lutti complicati, sono solo le manifestazioni più evidenti e descritte dai dati. Ma il mondo di tante persone è stato messo in crisi: c’è sofferenza in tutti coloro che non riescono più a sostenere un clima pregno di mancanza di speranza e paura del futuro o che non sentono di riuscire a compiere passi in linea con la propria età; mancanza di progettazione, paura delle malattie e della morte sono molto più coinvolgenti che in passato. Per quanto riguarda il mondo degli adulti sono molte le persone che hanno perso il lavoro e vivono come annientamento e chiusura di ogni possibilità questo dramma
Purtroppo a farne le spese maggiormente sono i più piccoli e gli adolescenti. Percentuali crescenti di adolescenti dichiarano di far sempre più fatica a studiare, di sentirsi insicuri, preoccupati, arrabbiati, ansiosi, disorientati, apatici, scoraggiati, insomma un pesante fardello da tenersi dentro, perché se i ragazzi sono in crisi lo sono spesso anche i loro adulti di riferimento. E sia nei bambini che negli adolescenti gli esiti del covid impattano su aree diverse: dall’ansia ai dolori addominali il long covid “del corpo” ha confini non chiari. I ragazzi e i bambini subiscono poi gravi ripercussioni a livello della socialità, degli apprendimenti, a livello psicologico ed emotivo, e l’autolesionismo crescente è solo la punta dell’iceberg di uno stato di sofferenza che ci portano.
Come già rilevava mesi fa L’Osservatorio Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza nel Gruppo Emergenza COVID-19 “Le regole sociali che è stato chiesto loro di seguire sono del tutto in contrasto con le spinte naturali di questa fase del ciclo di vita in cui la persona è fortemente coinvolta nell’esplorazione nei confronti dell’esterno, nella ricerca di autonomia e di nuove esperienze, nella costruzione di relazioni significative al di fuori della propria famiglia di origine, nell’attribuzione di importanza a valori quali l’apertura al cambiamento, nell’esplorazione di progetti per il futuro e non da ultimo nella costruzione di una rinnovata consapevolezza della propria identità corporea (Scabini e Iafrate, 2019).”
Cosa è possibile fare concretamente per aiutarli?
1)Cogliere il disagio, non spaventarsi, ma attivarsi. I ragazzi portano una grande varietà di sintomi e segni all’attenzione delle famiglie, della scuola e dei curanti. Non bisogna spaventarsi quando stanno male, ci fanno discorsi che non capiamo. Aiutare i propri ragazzi o farli aiutare non è l’ammissione di un difetto ma il modo per garantire loro serenità ed equilibrio prima che trovino un modo ancor più doloroso per comunicare il loro disagio. La soluzione deve partire dal loro attento ascolto
- Occuparsi dei ragazzi significa anche prendersi cura dei genitori e delle loro fatiche.
3)Riabilitazione neuropsicologica
4)Riaccendere la vitalità e la speranza nei bambini e negli adolescenti, ricordando che mentre il loro mondo è stravolto, le pressioni e le aspettative a cui sono sottoposti da chi si dovrebbe prendere cura di loro sono le stesse: la priorità invece deve essere l’osservazione attenta, l’attenzione ai bisogni e la sintonizzazione emotiva, non la prestazione.
In conclusione, mentre, se ne continua a discutere, si perde tempo prezioso, che potrebbe essere impiegato nella formazione e nella messa in atto di programmi di intervento efficaci.