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La resa dei medici italiani: un terzo sogna la pensione, soprattutto i più giovani. Anelli (FNOMCeO): “Dato scioccante che fa riflettere. Stiamo uccidendo la speranza. Noi amiamo questa professione, chiediamo di poterla esercitare con l’entusiasmo degli inizi”

La resa dei medici italiani: un terzo sogna la pensione, soprattutto i più giovani. Anelli (FNOMCeO): “Dato scioccante che fa riflettere. Stiamo uccidendo la speranza. Noi amiamo questa professione, chiediamo di poterla esercitare con l’entusiasmo degli inizi”

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Tutti i numeri dell’Indagine “La condizione dei medici a due anni dall’inizio della pandemia da Covid-19”, presentata alla Conferenza nazionale sulla Questione medica

Un terzo dei medici italiani, potendo, andrebbe subito in pensione. E, a sognare di poter barattare istantaneamente il camice bianco con una spiaggia esotica o una panchina al parco è proprio la “fetta” più giovane della Professione: il 25% dei medici tra i 25 e 34 anni e il 31% di quelli tra i 35 e i 44 anni.

È questo uno dei dati più eclatanti, e preoccupanti, dell’indagine quantitativa “La condizione dei Medici a due anni dall’inizio della pandemia da Covid-19”, condotta dall’Istituto Piepoli su input della FNOMCeO, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, e presentata oggi a Roma nell’ambito della Conferenza nazionale sulla Questione Medica.

Noi amiamo questa professione, chiediamo solo di poterla esercitare con l’entusiasmo di chi inizia! – è il commento del Presidente della FNOMCeO, Filippo Anelli -. Questa propensione alla pensione anticipata, espressa da tanti giovani, è un dato scioccante che fa riflettere e mostra quanto profonda sia la crisi legata alla perdita di fiducia nel futuro, alla mancanza di speranza di un domani migliore per la nostra professione”.

La ricerca è stata realizzata attraverso la somministrazione di 500 interviste, condotte dal 21 al 28 marzo scorso, su un campione rappresentativo di 500 medici, uomini e donne, stratificati per età e per collocazione geografica, così segmentati: 50 medici di famiglia, 50 medici di continuità assistenziale, 50 pediatri, 200 Odontoiatri, 50 specialisti ambulatoriali, 50 ospedalieri, 20 pensionati, 30 medici di altra tipologia.

Rilevante l’aumento in pandemia dei carichi di lavoro – oltre il 37% sul territorio, più 28% in ospedale – che ha riguardato la stragrande maggioranza dei medici e degli odontoiatri. A quanto emerge dalla ricerca, nel corso della pandemia il carico di lavoro è cresciuto per 3 medici su 4, portando quasi 1 ospedaliero su 5 a cambiare reparto (un cambiamento difficile, nella maggior parte dei casi). Lo dichiarano mediamente il 75% dei medici del territorio, il 64% dei medici ospedalieri, il 24% degli specialisti ambulatoriali e il 12% negli odontoiatri. Un impegno gravoso che ha avuto ripercussioni – lo pensano il 40% sia dei medici sul territorio sia degli ospedalieri – anche sul rapporto di fiducia con i cittadini. E che ha provocato, insieme alle difficoltà organizzative, stress e preoccupazione nella stragrande maggioranza dei professionisti, il 71%. Si dichiarano “stressati” il 90% dei medici del territorio, il 72% dei medici ospedalieri, l’80% degli specialisti ambulatoriali, il 62% degli odontoiatri.

D’altro canto, il 53% dei medici dichiara che molti cittadini hanno rinunciato a cure importanti, spesso interrompendole dopo averle iniziate, per colpa della pandemia.

Sono numerose le segnalazioni – spiega Anelli – in letteratura circa il burnout dei medici. “Medici e tirocinanti si stanno esaurendo a ritmi allarmanti”, si legge in uno dei tanti lavori pubblicati. Infatti, “storicamente, la medicina è stata caratterizzata da condizioni di lavoro difficili oltre a disattenzione al benessere e alla cura di sé da parte del medico”. Secondo l’indagine dell’Istituto Piepoli il 24% dei medici di continuità assistenziale ha presentato problemi di salute, come disturbi del sonno, stress ansia e paura, analogamente al 10% dei mmg, al 4% dei medici ospedalieri e il 3% degli odontoiatri”.

L’aumento dei carichi di lavoro ha sottratto tempo alla famiglia, al riposo, alla vita privata. Nel corso degli ultimi due anni, la maggioranza dei medici del territorio (55%) e degli ospedalieri (44%) ha dovuto rinunciare o ridurre i giorni di ferie. Conciliare la gestione familiare con quella lavorativa è diventata un’impresa per i medici del SSN. Quasi tre medici del territorio su quattro non sono riusciti a mettere d’accordo lavoro e famiglia durante l’emergenza sanitaria. Lo stesso è accaduto al 62% dei medici ospedalieri. Sempre i tre quarti dei medici territoriali e il 66% degli ospedalieri non hanno tempo per la vita privata.

Il Covid, imponendo il distanziamento sociale, ha dato impulso ai consulti da remoto: li hanno offerti la metà dei medici, con punte del 65% tra i medici di medicina generale. Sette medici su dieci non gradiscono i trattamenti da remoto, i consulti on line e telefonici, che hanno invaso la vita privata della maggioranza, il 58%, dei medici italiani. Lo denuncia l’82% dei medici del territorio, il 64% degli ospedalieri, il 45% degli Odontoiatri, il 41% degli specialisti ambulatoriali.

Ciononostante, quattro medici su dieci continueranno a offrirli ai pazienti, perché li ritengono un servizio a loro gradito.

“Sono tanti i colleghi che non si riconoscono più in una Professione mortificata da carichi di lavoro abnormi, ad esempio nei pronto soccorso e nel 118, e da un’invadenza burocratica che soffoca l’autonomia professionale – afferma Anelli -. La prescrizione farmaceutica e le prestazioni diagnostiche sono oramai appesantite da orpelli, modelli, piani terapeutici e quant’altro, utili solo a sottrarre al medico quel tempo che invece avrebbe dovuto garantire al cittadino perché, come richiama la legge 219 del 2017, “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”. Sono tante le ore in più svolte, spesso in violazione delle norme, senza essere totalmente o parzialmente retribuite. Il 64% dei medici ospedalieri e il 73% dei medici del territorio non ha neanche potuto usufruire in maniera totale o parziale delle ferie.  Il 74% dei medici del territorio e il 66% dei medici ospedalieri non ha a disposizione un adeguato tempo libero per vivere la sua vita privata e familiare. Il tema del rispetto dei diritti dei lavoratori diventa così cruciale per garantire serenità ed efficienza lavorativa. Diritti non ancora completamente esigibili da parte delle donne!”.

  Il 38% delle donne medico comprese tra 25 e 34 anni si sentono infatti discriminate, in quanto donne, sul lavoro. La metà delle colleghe più giovani ritiene di non essere tutelata sul lavoro nello stato di maternità.

“Appare, a questo punto, opportuno istituire un Osservatorio nazionale sulla tutela dei diritti e delle condizioni lavorative dei medici, a valenza consultiva, presso il Ministero della Salute, al fine di monitorare proprio il rispetto dei diritti dei lavoratori – conclude Anelli -. Serve uno sforzo comune per recuperare quella reciproca fiducia che nel Servizio Sanitario Nazionale costituisce il presupposto per assicurare la migliore assistenza ai cittadini. Fiducia che si fonda sul diritto del cittadino alla libera scelta che dovrebbe essere garantito in tutti gli ambiti del sistema salute”.

I medici, invece, si sono sentiti abbandonati dalle Istituzioni: hanno giudicato i provvedimenti adottati non adeguati ad agevolare l’attività professionale quotidiana. Un giudizio unanime, espresso dal 72% dei medici intervistati.

Analogo parere è stato espresso dal 52% dei medici e odontoiatri sui percorsi di sicurezza messi in atto negli ultimi due anni. Processi che hanno creato uno scollamento tra i professionisti e le istituzioni, in particolare le Regioni. Buona parte del mondo medico e odontoiatra, il 59%, non si è sentito tutelato dalle Istituzioni. Lo dichiarano il 75% dei medici del territorio, ma anche il 62% dei medici ospedalieri, il 52% degli odontoiatri.

Il medico è, per gli italiani, un archetipo, un punto di riferimento, un componente della famiglia a tutti gli effetti – afferma Livio Gigliuto, Vicepresidente Istituto Piepoli S.p.A. -. Ma la classe medica, a due anni dall’inizio della pandemia, sembra vivere una fase di sofferenza fisica e psicologica. È indicativo come quasi un medico su tre, anche tra i più giovani, andrebbe subito in pensione, provato da un lungo periodo di impegno generoso, andato ben oltre gli orari di lavoro e gestito sottraendo spesso tempo alla vita privata”.

Ufficio Stampa e Informazione FNOMCeO