Views: 433
di Giuseppe Pellicane*
“Nano” è una parola il cui utilizzo va sempre più diffondendosi ed il cui impatto sul nostro futuro è già presente in svariate discipline, fra cui la scienza dei materiali, la medicina e l’ingegneria. In realta’, “Nano” è un prefisso che indica la miliardesima parte di una unità di misura di una grandezza fisica, nel Sistema Internazionale (SI); ad esempio, un nanosecondo è la miliardesima parte di un secondo, mentre un nanometro è la miliardesima parte di un metro, o la milionesima parte di un millimetro. Quando “Nano” viene associato al nome di una disciplina (nanomedicina, nanobiotecnologia), esso indica lo studio dei fenomeni e la manipolazione dei meccanismi che determinano l’organizzazione spaziale degli atomi o delle molecole della materia, su una scala di lunghezza compresa fra 1 e 100 nanometri (nm), cioè la nanoscala. Le dimensioni tipiche delle proteine e la larghezza della doppia elica del DNA sono poco sopra l’estremo inferiore dell’universo “Nano” (2-10 nm), mentre i batteri più piccoli esistenti in natura sono almeno due volte più grandi del valore del suo estremo superiore (200 nm), anche se le applicazioni vengono talvolta considerate “Nano” persino sino a 1000 nm. In generale, le nanodiscipline sono applicazioni della nanotecnologia, la quale è una branca di ingegneria per
sua natura evidentemente interdisciplinare, alle discipline medesime. Il termine nanotecnologia fu coniato nel 1974 da un professore di ingegneria, Norio Taniguchi, per descrivere il controllo dei semiconduttori a livello di nanoscala; ma l’idea originale di un mondo incredibilmente piccolo, ove dispositivi in miniatura vengono utilizzati per spostare atomi e molecole, è addirittura antecedente e risale ad un famoso seminario del fisico teorico, premio Nobel per la fisica nel 1965, Richard Feymann (“There’s plenty of room at the bottom”, 1959).
La nanomedicina si propone di utilizzare materiali a livello di nanoscala, o nanoparticelle, per facilitare la diagnosi precoce ed il trattamento delle patologie. In generale, le nanoparticelle sono di tipo polimerico, metallico, o consistono in dendrimeri, liposomi e micelle. Il termine nanomedicina, soprattutto nel caso delle persone meno giovani, è evocativo del film “Viaggio allucinante” del 1966, in cui un sottomarino ed il suo equipaggio vengono miniaturizzati ed iniettati nella circolazione sanguigna di uno scienziato, moribondo a causa di un embolo cerebrale. Nel film, l’equipaggio ha solo un’ora di tempo per raggiungere l’embolo e disintegrarlo, prima che il sottomarino torni ad ingrandirsi e venga dunque rilevato e distrutto dal sistema immunitario. Sebbene, ancora oggi, la possibilità di miniaturizzare un oggetto appartenga al dominio della fantascienza, i nanorobots, o nanobots, sono una realtà già oggetto di applicazioni in medicina [1]: essi possono essere usati per trasportare il farmaco direttamente sulla zona affetta da patologia, assicurandone così una maggiore efficacia e riducendo gli effetti collaterali dovuti alla sua diffusione nell’intero organismo; ad esempio, nel caso in cui si vogliano rilasciare agenti anti-cancro su un bersaglio tumorale. I nanobots possono anche consistere semplicemente di nanomateriali, i quali vengono attivati esternamente dalla luce, o da altre sorgenti di energia: una nanomacchina è in grado di operare come una trivella sulla membrana bilipidica delle cellule cancerose, usando la luce ultravioletta per alimentarsi [2]. Prima dell’avvento della nanotecnologia, gli unici mezzi di contrasto con caratteristiche terapeutiche erano conosciuti in ambito di medicina nucleare: ancora oggi, l’isotopo 131 dello iodio viene utilizzato nella terapia radiometabolica del tumore della tiroide. Sebbene al momento solo a livello preclinico, le nanoparticelle possono essere usate come strumenti teranostici, in grado di combinare la visualizzazione in tempo reale del tumore a livello molecolare (tumor imaging), con una efficace attività terapeutica [3].
Una delle applicazioni interessanti di nanotecnologia è costituita dai nanosensori, i quali sono sensori chimici o biologici in grado di estrarre informazioni a livello molecolare. Recentemente, è stato creato un nanosensore placcato in oro in grado di attraversare la barriera emato-encefalica ed arrivare fino al cervello [4]. Una volta insediatosi lì, esso sarebbe in grado di agire come una sorta di antenna, convertendo l’attività neurale (il campo bioelettrico) in segnali ottici nel vicino infrarosso; la lettura ed interpretazione di tali segnali aprono così la possibilità di aiutare le persone affette da grave disabilità motoria a comunicare e di comprendere meglio (“leggere”) il pensiero umano. In modo simile, i nanoantibiotici costituiti da nanoparticelle peptidiche riescono a raggiungere le aree del cervello in cui è presente una infezione batterica
e rappresentano un modo efficace e selettivo (rispetto alla membrana cellulare batterica) di contrastare i batteri che sviluppano resistenza agli antibiotici convenzionali [5].
I biosensori sono dispositivi che si compongono di un elemento biologico che produce una risposta biochimica a contatto con la sostanza che deve essere rilevata, ed un elemento elettronico che converte tale risposta in un segnale elettrico. Il sequenziamento genetico si basa sulle proprietà tipiche dei biosensori, combinandole con la tecnologia a nanopori, in grado di rilevare la modifica del potenziale elettrico quando biomolecole cariche, come gli acidi nucleici, attraversano i nanopori presenti nella struttura di una membrana sottile. Una delle tecniche di sequenziamento di quarta generazione a nanopori più potenti è la Oxford Nanopore sequency Technology [6], la quale consente di effettuare il sequenziamento dell’intero genoma e la diagnosi delle patologie.
Le nanotecnologie sono anche utilizzate per migliorare le prestazioni dell’ingegneria dei tessuti ossei e neurali [7], consentendo la fabbricazione di strutture biocompatibili a livello di nanoscala e controllando il rilascio di sostanze biologiche, oltre che rappresentare una componente dei processi di impiantazione di diversi tessuti ed organi del corpo, fra cui reni, cuore ed occhi bionici.
[1] J. Ramsden, The nano/bio interface in Nanotechnology An Introduction 2nd Edition – 2016, Elsevier. ISBN: 9780323393119.
[2] V. García-López, F. Chen, L.G.Nilewsk, G. Duret, A. Aliyan, A.B. Kolomeisky, Molecular machines open cell membranes. Nature 548:567–72,
(2017). doi:10.1038/nature23657.
[3] S. Chapman, M. Dobrovolskaia, K. Farahani, et al., Nanoparticles for cancer imaging: The good, the bad, and the promise. Nano Today Oct; 8(5):
454–460, (2013). doi: 10.1016/j.nantod.2013.06.001.
[4] N. Hardy, A. Habib, T. Ivanov and A. A. Yanik, Neuro-SWARM³: System-on-a-Nanoparticle for Wireless Recording of Brain Activity, IEEE
Photonics Technology Letters, vol. 33, no. 16, pp. 900-903, 15 Aug.15, (2021). doi: 10.1109/LPT.2021.3092780.
[5] Y. Jiang, W. Zheng, K. Tran, et al. Hydrophilic nanoparticles that kill bacteria while sparing mammalian cells reveal the antibiotic role of
nanostructures. Nat Commun 13, 197 (2022). https://doi.org/10.1038/s41467-021-27193-9.
[6] A.S. Mikheyev, M.M.Y Tin, A first look at the Oxford Nanopore MinION sequencer. Mol. Ecol. Resour., 14, 1097–1102 (2014). doi:
10.1111/1755-0998.12324.
[7] J. Shi, A.R. Votruba, O.C. Farokhzad, R. Langer, Nanotechnology in drug delivery and tissue engineering: from discovery to applications. Nano
Lett. Sep 8;10(9):3223-30, (2010). doi: 10.1021/nl102184c.
*Giuseppe Pellicane, Assistant Professor – BIOMORF – Università degli Studi di Messina, Messina (Italy),
(Honorary) Associate Professor – School of Chemistry and Physics – University of KwaZulu-Natal,
Pietermaritzburg (South Africa)
e-mail(s): gpellicane@unime.it, pellicane@ukzn.ac.za
http://orcid.org/0000-0002-3805-830X