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di REBECCA DE FIORE (PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE)
La risposta onesta e veloce a questa domanda è “non lo sappiamo”. Non sappiamo se proteggere il viso con una mascherina protegga dal contagio e, se sì, in quale misura. Vediamo quali sono i risultati a cui è arrivato chi sta studiando da tempo il problema.
Un gruppo di ricercatori del Pacific Northwest Evidence-based Practice Center di Portland in Oregon, negli Stati Uniti, lavora dal 2020 a una revisione sistematica continuativa sull’utilità delle mascherine nella protezione da virus respiratori. In lingua inglese, questo tipo di ricerca si chiama “living systematic review”: questa espressione indica una rassegna condotta con una metodologia predeterminata (sistematica) aggiornata continuamente (living) man mano che nuovi risultati di studi vengono prodotti [1]. L’aggiornamento più recente prodotto dal gruppo di Portland è del 26 luglio 2022, ed è l’ottavo dall’inizio dello studio [2].
Dottore, cos’è una revisione sistematica?
Non si tratta di un tipo di studio sperimentale: in altre parole, non è uno studio condotto su un gruppo di pazienti confrontato con un altro gruppo dalle caratteristiche simili. Una revisione sistematica analizza tutti gli studi svolti i cui risultati potrebbero essere utili a rispondere all’interrogativo di ricerca. Se condotta in modo rigoroso, una revisione sistematica garantisce il grado più elevato di affidabilità tra tutti i tipi di documentazione della ricerca.
Quali studi ha considerato la revisione?
I ricercatori americani hanno analizzato la letteratura pubblicata dal 3 dicembre 2021 al 2 giugno 2022 su riviste sottoposte a revisione tra pari (peer review). Sono stati considerati solo studi controllati randomizzati e studi osservazionali in cui era previsto un controllo dei fattori che potevano confondere l’associazione tra l’utilizzo delle mascherine e il risultato. Esempi di fattori di confondimento sono l’età, il livello di istruzione, il reddito, la professione svolta. Alla fine del lavoro di selezione sono stati trovati quasi 1.600 nuovi articoli, ma tra questi solo uno si riferiva a un nuovo studio randomizzato controllato e cinque a nuovi studi osservazionali sull’associazione tra l’uso della maschera e l’infezione da SARS-CoV-2. Davvero molto pochi.
Quali sono i risultati della revisione?
Nessuno studio era di buona qualità: in altre parole, tutti gli studi avevano difetti che non rendevano credibili i risultati ottenuti. Leggere il dettaglio delle mancanze metodologiche presenti nelle ricerche svolte negli ultimi mesi è sconfortante: però, si comprende quanto sia difficile condurre uno studio rigoroso che possa dare informazioni certe sull’utilità di usare le mascherine per proteggersi dal virus.
Adesso si spera che uno studio controllato randomizzato attualmente in corso di svolgimento e patrocinato dalla autorevole università canadese della McMaster possa dare delle risposte migliori [3].
In attesa dei risultati di studi più credibili, cosa consiglia di fare?
Il buon senso insegna da tempo che coprire la bocca e il naso è un modo per ridurre la trasmissione delle goccioline respiratorie e, in effetti, se si ha la tosse è una questione di buona educazione farlo, a prescindere dalle prove che possono essere scaturite da studi clinici [5]. Le evidenze disponibili sulle misure di salute pubblica non farmacologiche, compreso l’uso di maschere per mitigare il rischio, e l’impatto dell’influenza sono state oggetto di esame in un seminario convocato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità l’anno prima che scoppiasse la pandemia: si era concluso che, sebbene non vi fossero prove della capacità di ridurre la trasmissione, la plausibilità meccanica della potenziale efficacia di questa misura facevano ritenere che in una grave emergenza influenzale sarebbe stato opportuno prendere in considerazione l’uso delle mascherine in pubblico [6]. In definitiva, ritenere inefficace un intervento a basso costo come indossare una mascherina perché non ci sono prove di efficacia dagli studi clinici non sembra un’idea brillante.
Perché allora non c’è una visione comune e una raccomandazione da parte delle istituzioni in favore dell’uso delle mascherine?
Con l’ordinanza del 15 giugno 2022, il Ministero della Salute ha previsto l’obbligo di utilizzo della mascherina del tipo FFP2 su navi e traghetti, sui treni interregionali, Intercity e ad alta velocità, sui mezzi di trasporto pubblico e scolastico, alle persone che visitano strutture sanitarie e socioassistenziali [7].
Se si continua a discutere sull’utilità delle mascherine è anche perché – mancando risposte scientifiche solide – è diventata una questione ideologica, al punto che alcuni ricercatori sostengono che sia possibile prevedere le preferenze politiche di una persona in base alla sua disponibilità a indossare una mascherina protettiva: la letteratura scientifica e giornalistica su questo argomento è ormai molto ricca [8, 9].
In una situazione del genere, le parti politiche dovrebbero essere estremamente attente ai messaggi riguardanti i comportamenti sanitari [9] perché potrebbero influenzare le opinioni dei cittadini inducendoli a essere meno scrupolosi nel proteggersi dal contagio. Anche per questo è importante che le istituzioni e gli enti che lavorano nella sanità pubblica forniscano messaggi chiari e orientati a un principio di precauzione. Come ha osservato il medico e ricercatore John Ioannidis, il rischio di essere disorientati è molto alto: “Vado a un congresso medico e nelle sessioni scientifiche sono obbligatorie le mascherine anche quando le persone si siedono tranquillamente a cinque metri di distanza l’una dall’altra, ma le mascherine non sono più obbligatorie al banco delle iscrizioni dove ognuno ha 50 persone nel raggio di 5 metri” [10].
La protezione del viso dovrebbe continuare a essere uno dei modi con i quali ridurre le probabilità di contagio. Ovviamente, insieme a un prudente distanziamento fisico con altre persone, con il frequente lavaggio accurato delle mani e nella ventilazione degli ambienti chiusi [11].
(Fonte: dottoremaeveroche.it)