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di Emidio Tribulato
È noto come il gioco abbia varie finalità e sia un elemento centrale nella vita del bambino. Questi, mediante il gioco, riesce a sviluppare tutte le sue capacità: intellettive, emotive, motorie, sensoriali. Mediante il gioco esplora, conosce, comunica, socializza, controlla e modula le proprie emozioni ed i propri impulsi, si rende gradualmente autonomo dai genitori e dagli adulti, rafforza la sua volontà, scopre la necessità delle regole e le utilizza, entra in contatto con il mondo della natura. La varietà, la ricchezza e la qualità dei giochi di un bambino ci possono far capire la struttura del suo mondo interiore e la presenza o l’assenza, nonché la gravità di eventuali problematiche psicoaffettive.
Più il suo gioco è ricco, vario, costruttivo, più sana ed equilibrata sarà la sua realtà interiore. Ad esempio, un bambino sereno di almeno quattro anni riesce a giocare bene in un clima di intesa e collaborazione reciproca da solo, con i coetanei e con gli altri minori anche se non sono della stessa età. Riesce, inoltre, a giocare con gli adulti che conosce e con i quali ha stabilito un rapporto di fiducia.
Al contrario. è segnale di una realtà interiore disturbata:
• quando durante il primo anno di vita non partecipa ai giochi semplici proposti dalla madre e non utilizza o utilizza in maniera impropria e distruttiva i giocattoli adatti alla sua età;
• quando dopo i tre-quattro anni prevalgono nettamente nella sua vita di ogni giorno i giochi solitari rispetto a quelli fatti in due o in gruppo. È un segnale negativo anche la situazione opposta: cioè quando il bambino riesce ad effettuare solo giochi di gruppo, ma non riesce e non accetta di giocare anche per breve tempo da solo;
• quando il bambino non riesce a giocare o gioca molto poco con i suoi genitori o con altri adulti con i quali si è stabilito un legame affettivo e di fiducia;
• quando nel gioco solitario, a due o di gruppo prevalgono nettamente e costantemente fantasie aggressive, distruttive o regressive;
• quando il gioco o i giochi sono troppo instabili, mutevoli e caotici, in quanto un gioco calmo, tranquillo e riflessivo esige che il bambino riesca a tenere a freno le sue pulsioni;[1]
• quando utilizza solo pochi giochi, rifiutando tutti gli altri;
• quando non riesce ad accettare anche i giochi e le regole proposte dagli altri.
Naturalmente il bambino deve avere l’età adeguata e deve essere data a lui la possibilità di giocare liberamente. Se la giornata di un bambino è fatta solo di scuola e di compiti, per cui non ha sufficiente spazio fisico e psicologico da utilizzare, se non ha la possibilità di giocare con i coetanei o con gli adulti, né può scegliere i vari tipi di gioco, il problema non è suo ma della famiglia e/o della società.
Neri bambini con disturbo dello spettro autistico notiamo una notevole alterazione sia nella quantità sia nella qualità del gioco.
1. Intanto il gioco sociale, sia con gli adulti sia con gli altri bambini appare assente o anomalo.
2. Nella loro attività spesso sono presenti giochi interminabili. Nel senso che tendono ad effettuare sempre lo stesso gioco.
3. Inoltre vi è assenza o indifferenza di partecipazione al gioco proposto sia dagli altri bambini sia dagli adulti.
4. Infine i giochi di simulazione e di imitazione sociale, ad esempio imitare le azioni di mamma e papà o quelle della maestra, non sono adeguati alla loro età cronologica o mancano totalmente.
Per Ajuriaguerra J. e Marcelli, D., ‹‹Il bambino autistico non ama i contatti epidermici, egli partecipa tuttavia a giochi corpo a corpo con l’adulto, ma in modo aggressivo, di cui non arriva a misurare le conseguenze distruttive››.[2]
I motivi che portano ad un’alterazione notevole del gioco infantile nel bambino con Disturbo Autistico sono, a nostro parere, dovuti alla presenza di una realtà interiore notevolmente disturbata dall’ansia, dalle paure, dal senso di insicurezza e dalla tristezza e dalla notevole sfiducia che egli ha nei confronti del mondo esterno a lui e soprattutto degli esseri umani. Per tali motivi il bambino, preda di queste emozioni negative, difficilmente ha voglia di giocare, e soprattutto di giocare con gli esseri umani, in quanto la sofferenza che esse producono gli impedisce di godere dell’aspetto ludico del gioco. Se a ciò si aggiunge la presenza, in questi bambini, di una notevole fragilità di fronte alle frustrazioni, si capisce bene la loro preferenza nei confronti dei giochi estremamente semplici, banali e ripetitivi che, però, hanno il dono di diminuire, almeno in parte, la sofferenza da essi provata.
Per quanto riguarda i giochi sociali da effettuare a due o in gruppo, le difficoltà dei bambini con disturbo dello spettro autistico sono almeno di tre tipi. Da una parte vi è la scarsa resistenza alle frustrazioni che rende difficile a questi bambini accettare di sbagliare o di perdere nel gioco. A ciò si aggiunge spesso lo stato di iperattivazione mentale con la quale sono continuamente costretti a confrontarsi. Questo stato non permette loro di mettersi in ascolto dell’altro, così da regolare le loro azioni in concomitanza con i pensieri e con i bisogni altrui. Altra difficoltà nasce dalla notevole sfiducia e diffidenza verso il prossimo e il mondo fuori di loro, che li spinge alla difesa, piuttosto che all’accoglienza delle idee e degli interventi che provengono dall’esterno.
Queste modalità di gioco si modificano gradualmente ma anche in modo radicale, nel momento in cui gli adulti, e soprattutto i genitori, si rapportano con il bambino utilizzando la tecnica del “Gioco Libero Autogestito”.[3] In questo tipo di gioco è il bambino a scegliere se giocare, quale tipo di gioco effettuare, per quanto tempo condurre il gioco e con quale altro gioco sostituirlo. L’adulto ha la importante funzione di aiutare, collaborare e sostenere il bambino nella su attività, dimostrandogli con i fatti, e non con le parole, disponibilità, amore, gioia e accoglienza.
Questi comportamenti contribuiscono grandemente ad instaurare tra il bambino e i genitori una relazione molto profonda e intima, che aiuta il piccolo a liberarsi dalla chiusura e dalla diffidenza e sfiducia che egli avvertiva verso il mondo esterno a lui. Ciò gli permetterà di crescere e sviluppare tutte le sue potenzialità che, nella condizione di chiusura autistica nella quale si trovava, non riusciva ad esprimere e manifestare pianamente.
[1] De Ajuriaguerra J. Marcelli, D., Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 174.
[2] Ajuriaguerra J. (De), Marcelli, D., Psicopatologia del bambino, Milano, Masson Italia Editori, 1986, p. 765.
[3] Tribulato E. (2013), Autismo e gioco libero autogestito, Milano, Franco Angeli.