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di Filippo Cavallaro
100 anni avrebbe compiuto nel 2022, se fosse ancora in vita. Poco mi sembra si sia fatto per ricordarlo eppure PPP, Pier Paolo Pasolini, è stato colui che ha molto inciso affinché alcuni temi sociali fossero notati, dibattuti, affrontati.
Molti lo ricordano per i film, non avevo l’età per vederli allora, poi, recentemente, qualcuno l’ho visto, e mi sono sorpreso per la quantità di persone di cultura che accettavano di far parte del cast, per un film che avrebbe fatto discutere.
A scuola ne leggemmo qualche poesia per un possibile tema per l’esame di quinto liceo. L’ho voluto rileggere proprio dal volumetto di Garzanti delle sue Le ceneri di Gramsci.
Egli urla lo snaturamento del corpo, attraverso il linguaggio violento, improprio, patologico che vede sempre più diffondersi. Aveva cercato nei ragazzi di borgata, nelle periferie urbane, o nelle persone della campagna, dei paesi montani la naturale capacità espressiva nei visi, nei gesti, nelle tradizioni.
Nei versi di “Le ceneri di Gramsci” già nel 1954 dice:
…
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, è per me religione
la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza; è la forza originaria
dell’uomo, che nell’atto s’è perduta,
a darle l’ebbrezza della nostalgia,
una luce poetica: ed altro più
io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia…
Affermazione che la forza dell’uomo è perduta, rimane ancora una labile memoria nei vecchi, nelle persone delle zone rurali, delle periferie, che appena avevano avuto il tempo di riscattarsi dalla servitù, tanto che in “Picasso”, già nel 1953, aveva definito:
…
sono scheletri in cui corporeo appare
il loro perduto essere oggetti:
esprimerli è esprimerne il male.
…
Nei romanzi?
“Teorema”, per esempio, del 1968, che derivava da un’opera teatrale e poi divenne un film, con un minimo di dialoghi e tanta musica originale del maestro Ennio Morricone.
Pier Paolo Pasolini, qui, narra della famiglia di un industriale, composta da marito, moglie, due figli, un maschio ed una femmina e la domestica, che abitano in una bella villa fuori città. La loro vita verrà sconvolta da un “ospite”, che si era preannunciato con un telegramma. Quest’ultimo attrarrà singolarmente tutti in famiglia, anche sessualmente, rendendoli coscienti della vanità della vita ed offrendo loro l’opportunità di conoscere la propria vera natura. Alla partenza “dell’ospite” tutto sarà cambiato in maniera radicale per tutti. È la descrizione di corpi non posseduti dalle persone, corpi adagiati su performance monotone ed abitudinarie, corpi ignorati che grazie alla nuova presenza “dell’ospite” sono portati ad interrogarsi su sé ed a cercare di interagirvi.
Infine, nel cinema dove, secondo lui, era più reale mostrare la realtà “senza l’interruzione magico-simbolica del sistema dei segni linguistico”. Qui raccontava la bellezza e la felicità degli emarginati, degli ultimi, dei veri, dei disperati.
Altre sono le periferie, gli ultimi nei racconti che altri ci propongono, ed ecco “La fiaba nucleare dell’uomo bambino”, pubblicato da Utopia, scritto dallo scrittore uzbeco Hamid Ismailov, le cui opere sono tutt’ora bandite nel suo paese. È un racconto della Storia, dei fatti e dei suoi effetti sulla gente comune. Qui il corpo di Eržan mostra le conseguenze delle esplosioni nucleari che sconquassano il terreno, formano un lago radioattivo, ammazzano il bestiame e scatenano tempeste di sabbia nella steppa. Il suo è un corpo imprigionato nel tempo, che non cresce, che non invecchia, fissato nella dimensione bambino .
Se la narrazione di Pasolini è sulla gente che viveva sulla sua pelle il dopoguerra in Italia con lo sconvolgimento sociale che ne era derivato, la narrazione di Ismailov è sulla gente che subisce gli effetti di centinaia di esplosioni nucleari che dal dopoguerra al 1989 sono state fatte brillare nel poligono di Semipalatinsk, raccontato in forma come di “fiaba”, e qui chiamato “la Zona”, recintata e minacciosa.
Pasolini urlava lo snaturamento del corpo, attraverso il linguaggio violento, improprio, patologico che vedeva sempre più diffondersi. Aveva cercato nei ragazzi di borgata, nelle periferie urbane, o nelle persone della campagna, dei paesi montani la naturale capacità espressiva nei visi, nei gesti, nelle tradizioni. Anche Ismailov grida dello snaturamento del corpo di Eržan, uomo bambino che vive nella stazione di transito di Kara-Šagan nella steppa uzbeca, e le persone che lo circondano cercano di aiutarlo come possono, come sanno, grazie a tutto il loro sapere arcaico.
Quale l’aspetto fisioterapico o riabilitativo, carissimi, c’è. È che se PPP ci racconta, perché lo percepisce, un corpo che è snaturato dagli sconvolgimenti sociali del secolo scorso che hanno trasformato le attività dell’uomo ed il modo di relazionarsi con la natura, passando da raccoglitore e trasformatore a consumatore, Eržan, invece, vive sul suo corpo le trasformazioni post atomiche, in una natura totalmente trasformata da esperimenti nucleari, che lo costringe a vivere in un corpo sempre uguale, magicamente e maledettamente sempre uguale, immodificabile.
Quale sarà il corpo del paziente che incontrerò domani?