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Arriva una svolta per i pazienti oncologici affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B refrattari alla chemio-immunoterapia o ricaduti nella malattia dopo il primo trattamento. L’Agenzia italiana del farmaco dà infatti il via libera al rimborso del tafasitamab, anticorpo monoclonale somministrato per via endovenosa in combinazione con il principio attivo lenalidomide. L’annuncio è arrivato stamattina da Palazzo Giureconsulti, a Milano, e apre le porte a un trattamento medico innovativo.
Distribuito da Incyte Italia attraverso il farmaco Minjuvi, questa soluzione a lunga durata evita un secondo ciclo chemioterapico e induce una risposta positiva in una parte dei pazienti che non hanno trovato una risposta nella chemioterapia, che pure è efficace in circa il 65% dei casi. Il restante 35-40% ha quindi bisogno affrontare una seconda fase di cure, che adesso passerà anche attraverso il tafasitamab. “Consideriamo guarito un paziente che a cinque anni dalla fine della terapia ha ottenuto una risposta e non è mai ricaduto”, afferma il professor Pier Luigi Zinzani, ordinario di Ematologia all’Università di Bologna. “Nel gruppo di 81 pazienti trattati con la combinazione tafasitamab-lenalidomide, il 40% di loro ha avuto una remissione completa. Se aggiungiamo anche chi ha avuto una risposta superiore al 50%, arriviamo a circa il 60% dei pazienti, con una mediana della durata della risposta molto prolungata, fino a 44 mesi”.
Un altro dato da sottolineare è la limitata tossicità del trattamento, esclusivamente ematologica e ben gestita. Il linfoma diffuso a grandi cellule B è la forma più comune e aggressiva tra le tipologie di linfomi non Hodgkin. “È un tumore ematologico che colpisce più gli uomini che le donne. L’età mediana di insorgenza è intorno ai 60-65 anni”, spiega Andrés José Maria Ferreri, direttore dell’Unità Linfomi del San Raffaele di Milano. Nel nostro Paese “si stima ci siano 28mila pazienti che ne sono affetti e ogni anno si fanno poco meno di 4.500 nuove diagnosi”. Nonostante la gravità, resta una patologia potenzialmente guaribile anche se diagnosticata in una fase disseminata della malattia innanzitutto grazie alla chemio-immunoterapia.
Oltre al supporto strettamente medico, c’è quello che coinvolge i caregiver che si occupano dei malati. Un punto, questo, su cui si focalizza la dottoressa Rosalba Barbieri, vicepresidente dell’AIL-Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma. “Se non si può arrivare alla guarigione completa, il nostro obiettivo è almeno quello di agevolare il paziente e chi si prende cura di lui con il supporto psicologico. Da oltre cinquant’anni l’AIL agisce in maniera capillare tramite consulenze gratuite di esperti grazie a un numero verde”, afferma, ricordando anche la giornata nazionale dedicata al contrasto di tutte queste patologie, il 21 giugno. “La ricerca è la prima cosa. Lo scopo di AIL è pensare a chi ancora non ce la fa”, interviene il general manager di Incyte Italia, Onofrio Mastandrea: “Questo è un momento importante, perché quando si mette in campo un nuovo farmaco si punta a dare una risposta a chi credeva di non averla. Lo scopo della nostra azienda è proprio questo: mettersi a disposizione dei pazienti e cercare di trovare risposte concrete ai bisogni ancora da soddisfare. Ricordiamoci che la ricerca genera valore nel sistema Paese, un valore che è anche economico”.
Il trattamento tafasitamab-lenalidomide è così una nuova speranza per chi affronta la malattia. “Se pensiamo a cosa potevamo offrire solo qualche anno fa e facciamo il confronto con oggi, appare chiaro che le prospettive sono radicalmente cambiate”, conclude il professor Zinzani. Un altro, grande passo della ricerca verso la completa curabilità della patologia.