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di ROBERTA VILLA
Negli ultimi tempi si è molto parlato di “debito immunitario” per spiegare la risalita nel numero di bambini con infezioni, soprattutto respiratorie, che sembravano scomparse nel primo anno di pandemia e che sembrano invece tornare con un’intensità di circolazione talvolta superiore ai livelli medi osservati fino al 2019.
Il concetto di “debito immunitario” tuttavia non è contemplato nei manuali di medicina, né si tratta di un fenomeno nuovo o emerso grazie a scoperte recenti. L’espressione è stata infatti usata per la prima volta nel 2021 nel titolo di un articolo pubblicato su una rivista medica da una decina di ricercatori francesi, che nel loro lavoro non hanno presentato esperimenti, dati o analisi, ma hanno solo espresso un’opinione [1]. L’articolo è infatti un “position paper”, un tipo di documento in cui, sulla base di dati scientifici, un certo numero di autori – in questo caso molto ristretto – prende, appunto, posizione su un tema. Un “position paper” può essere autorevole quando rappresenta il consenso di molti esperti internazionali o di una o più società scientifiche, meno quando si tratta, come in questo caso, di un ristretto gruppo di colleghi.
Dottore, che cosa sarebbe il “debito immunitario”?
Nell’articolo i ricercatori ipotizzano che le misure di contenimento e mitigazione contro Covid-19, dal distanziamento alle mascherine, abbiano comportato una ridotta esposizione dei bambini agli stimoli immunitari che normalmente ricevono nei primi anni di vita. Non avendo mai incontrato prima i germi spariti all’inizio della pandemia, i bambini si sarebbero trovati negli anni successivi ancora suscettibili alle malattie che si erano risparmiati da piccoli. Al numero di quelli che in media ogni anno sviluppano infezioni respiratorie o gastroenteriche si sommerebbero quindi, oggi, anche i più grandicelli che avevano finora schivato gli stessi germi: in tal modo si potrebbe spiegare, almeno in parte, l’aumento nel numero assoluto di casi osservati in questi mesi dai pediatri.
Ciò non significa tuttavia usare la connotazione negativa del termine “debito” introdotto dai ricercatori francesi per parlare di “indebolimento del sistema immunitario”, attribuendo a mascherine e lockdown effetti sfavorevoli sulla salute [2].
Dottore, ma è un “debito immunitario” o un “risparmio”?
Diversamente dagli autori francesi che hanno usato il termine “debito” sarebbe forse più opportuno usare “risparmio”, per sottolineare che proteggere i bambini dalle infezioni nei primi mesi di vita conferisce loro un vantaggio, un “tesoretto” di salute, non il contrario. Ciò vale soprattutto per i tanti casi in cui venire a contatto con un germe a due o tre anni di vita è molto meno pericoloso che da neonato o lattante.
Ne è un esempio il virus respiratorio sinciziale (RSV), ma lo stesso vale per l’agente responsabile della pertosse o per altri batteri, che nei più piccoli provocano più facilmente meningiti e altre gravissime malattie invasive. Molti studi mostrano inoltre che maggiore è il numero di infezioni respiratorie nei primi anni di vita, maggiore è il rischio di deficit della funzione polmonare e di asma in età scolare, come ha recentemente confermato un ampio studio che ha coinvolto oltre 150.000 bambini europei [3].
Il termine “debito immunitario” fa invece pensare che i piccoli a cui sono state evitate febbri, tosse, mal di gola, vomito e diarrea, quando non corse al pronto soccorso o ricoveri ospedalieri, siano in qualche modo in difetto di passaggi cruciali per la crescita, qualcosa, che addirittura, secondo alcuni commentatori, si troverebbero a dover pagare “con gli interessi” [4].
Chissà se la scelta da parte dei ricercatori francesi di una metafora economica (il “debito”) abbia contribuito a coinvolgere nel dibattito scientifico il Wall Street Journal e il Financial Times: l’uno ha rilanciato per primo il concetto contenuto nell’articolo francese passato inizialmente inosservato nella comunità scientifica, l’altro al contrario ne ha smontato l’interpretazione più diffusa e scorretta [5,6].
Il successo di altre metafore inappropriate, soprattutto quella che paragona il sistema immunitario a un muscolo che deve essere tenuto allenato con continue infezioni, ha contribuito ad alimentare confusione, soprattutto tra i genitori. Il paragone può essere appropriato solo per il braccio innato e aspecifico del sistema immunitario, quello che rappresenta la prima barriera contro i germi, virus respiratorio sinciziale compreso, che ha comunque selezionato diversi meccanismi per aggirarla [7,8].
Dottore, non è meglio che i bambini “si facciano gli anticorpi”?
Il successo del concetto di “debito immunitario” tuttavia è comprensibile, perché sembra confermare la radicata credenza popolare sull’utilità che i bambini “si facciano gli anticorpi” fin da piccoli. Diversamente dalle infezioni di cui si parla oggi, come quelle provocate dal virus dell’influenza o dal virus respiratorio sinciziale, alcune altre malattie come morbillo e varicella sono infatti in genere molto più gravi quando fatte da adulti. Per questo in passato aveva senso, in un’ottica di riduzione del danno, auspicare che i piccoli le prendessero in età scolare. Questa motivazione è tuttavia caduta oggi che vaccini efficaci e sicuri ci permettono di evitarle del tutto.
Su questa linea però alcuni ritengono ancora oggi, senza basi scientifiche, che l’immunità creata “naturalmente”, attraverso il contatto diretto con i microrganismi, sia più sicura e permetta uno sviluppo più sano. Alcune famiglie ancora organizzano, quindi, pericolosi morbillo o varicella “party” per fare ammalare i loro figli, invece che sottoporli a una procedura come la vaccinazione, che ritengono “innaturale”.
Non si distacca troppo da questa mentalità la convinzione che un’igiene meno attenta nei primi anni di vita possa “rinforzare” l’organismo e aiutarlo ad affrontare meglio virus e batteri da grande. L’idea si ricollega alla cosiddetta “ipotesi igienica”, secondo cui una minore esposizione ai germi durante le prime fasi dello sviluppo sarebbe responsabile dell’aumento di allergie, malattie autoimmuni e altre condizioni più frequenti nell’era contemporanea rispetto al passato. Una teoria che ha riscosso qualche successo fino all’inizio di questo secolo, ma che ormai è ritenuta per lo più superata, almeno nella sua formulazione originaria [9].
Oggi il tema è riletto alla luce delle conoscenze sempre più avanzate sul ruolo del microbioma intestinale, tanto più “sano” quanto più ricca è la sua biodiversità in termini di generi, specie e ceppi di batteri benefici per l’organismo. Ciò non indica in nessun modo, tuttavia, l’opportunità di esporre i piccolissimi a germi potenzialmente pericolosi [10].
Dottore, ma i bambini in questi anni sono stati tenuti in una campana di vetro?
Ci sarebbe anche da discutere poi quanto inferiore alla norma sia stata la stimolazione del sistema immunitario dei bambini negli ultimi tre anni. Se anche nel 2020 le misure non farmacologiche (igiene, distanziamento, mascherine) prese per fermare le prime grandi ondate pandemiche hanno contribuito ad azzerare di fatto la circolazione di tutti i virus respiratori diversi da SARS-CoV-2, ciò non significa che i bambini abbiano vissuto in un ambiente sterile. Il sistema immunitario è stimolato e modulato ogni giorno da migliaia e migliaia di microrganismi, molto più numerosi di quei pochi (per fortuna) che provocano malattie, del tutto innocui, ma comunque riconosciuti come estranei dall’organismo.
È lecito chiedersi quindi se la situazione vissuta dai bambini nati nel 2020 e 2021 è, dal punto di vista immunologico, tanto diversa da quella dei loro fratellini più grandi o dei loro genitori. In Italia la maggior parte di loro iniziava a frequentare il nido o la scuola per l’infanzia solo a partire dai 2-3 anni anche prima della pandemia. E in molti altri Paesi colpiti ora dalla recrudescenza delle infezioni respiratorie le strutture educative dedicate ai bambini così piccoli non hanno mai chiuso.
Quasi ovunque, Italia compresa, ai bambini fino a sei anni non è mai stata imposta la mascherina. E, a parte le poche prime settimane della primavera 2020, i piccoli hanno sempre potuto uscire e giocare, seppure con limitazioni negli assembramenti. Hanno continuato ad avere contatti con i membri della loro famiglia, primi fra tutti i genitori, che dopo il primo lockdown hanno ripreso a lavorare e, anche se non andavano in ufficio, comunque si recavano nei supermercati, quando non al bar o al ristorante.
Insomma, saranno stati un po’ più protetti, ma non hanno vissuto in una bolla sterile. E una certa igiene nel maneggiare i neonati è stata richiesta sempre, indipendentemente da Covid-19.
Dottore, ma allora non è vero che le malattie rinforzano il sistema immunitario?
L’idea che le infezioni nella prima infanzia rinforzino il sistema immunitario è un concetto privo di fondamento scientifico. Le malattie non fanno bene e non rendono più forti, anzi, questa credenza è pericolosa – ne abbiamo parlato anche nella scheda “La febbre fa crescere in altezza?”. Cercare di evitarle è sempre meglio, anche perché abbiamo molte prove di come spesso, al contrario, lascino il segno nell’organismo o indeboliscano le nostre difese. Lo sappiamo con certezza per il morbillo, che lascia il piccolo più vulnerabile per mesi, lo sospettiamo per Covid-19, anche se le prove che ciò accada non sono solide e riguardano per ora soltanto gli adulti [11,12,13,14].
(Fonte: dottoremaeveroche.it)