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di Filippo Cavallaro
Ricordavo “L’omino di niente” della raccolta “Favole al telefono” di Gianni Rodari, perché la utilizzai per definire dei percorsi formativi, non ricordavo più gli altri raccontini che danno corpo al volume, presentando con un “c’era una volta” il ragionier Bianchi che ogni sera raccontava per telefono una favola alla sua bambina.
Nei giorni scorsi due notizie mi hanno incuriosito sui social, la prima quella del ritorno di una delle favole, in una pubblicazione dedicata, “La passeggiata di un distratto” come un racconto riccamente illustrato da Beatrice Alemagna, la seconda quella di Bebe Vio che ha appena pubblicato per Rizzoli un’autobiografia e che sui social, aggiornandoci continuamente, l’altro giorno ha scritto: ‘sto ponte tibetano mi ha fatto a pezzi 😱🧗♀️🌳/ Datemi la gamba che mi devo rimontare… voglio finire il percorso perché è troppo divertente 😂/ https://it-it.facebook.com/BeatriceVioOfficialPage/posts/682807543211827/
Nel raccontino c’è Giovannino che ha la testa fra le nuvole, e perde letteralmente pezzi per strada, come se fosse un pupo siciliano dopo un combattimento. Nella favola il ragazzo chiede alla mamma di poter andare a fare una passeggiata, lei gli raccomanda di non essere distratto. L’attenzione di Giovannino dura pochissimo, saltella per strada ed è incantato da ogni cosa vede. Anche un cane zoppo da inseguire lo porta a perdere pezzi mentre gli corre dietro.
Tutti lo conoscono e sanno bene dove sta di casa, sanno anche della sua sbadataggine per cui si presentano alla sua mamma portando i pezzi di corpo di bambino trovati per strada. Quando torna a casa Giovannino ha solo una gamba sulla quale continua a saltellare, è allegro e mentre la mamma lo rimonta dice: Sono stato bravo, mamma? Non manca niente.
Di Bebe Vio si sa quanto sia coraggiosa, è una forza della natura, ed il suo motto che la contraddistingue è “Se sembra impossibile, allora si può fare!”, è caparbia, i danni subiti nel corpo per la meningite B, la rendono bionica, con delle protesi che sostituiscono i quattro arti. È caparbia perché all’olimpiade di Tokio non avrebbe dovuto partecipare in quanto un’infezione al moncone del braccio sinistro la stava portando alla morte. Ha così lanciato un altro slogan: “Cominciate a cercarvi un sogno perché i sogni sono tutto nella vita. Non è mai troppo tardi per cominciare a sognare”.
“Goditi quello che hai perché la vita è una figata” è invece lo slogan che le ha trasmesso suo papà Ruggero. La storia di Bebe è unica, irripetibile, anche se lei dice di “non sentirsi un marziano”, è esemplare per tanti giovani disabili. Purtroppo, capita che la disabilità contenga un vissuto di sofferenza, di angoscia, di paura. Nel libro infatti, anche lei rivive i tanti momenti difficili e delicati che ha vissuto.
I disegni di Beatrice Alemagna fanno da cartellone della favola di Giovannino, ne caratterizzano il viso ed il corpo dei personaggi, le strade e le case, al contrario di quanto fece Bruno Munari nella prima edizione di Einaudi. Il designer con pochi semplici tratti cromatici accentuò il lato fantastico e non quello descrittivo delle azioni e delle dinamiche narrative, realizzando occasioni di spaesamento e situazioni fantastiche, giocando con il bambino, invitandolo a costruire l’immagine attraverso la libertà del suo pensiero.
Il dolore nelle viscere ed il pensiero del suicidio lo ha avuto anche Bebe per le ferite e le demolizioni delle amputazioni. Qui, nella favola, Giovannino non lo percepisce, ma ambedue hanno subito una famiglia pronta ad aiutarli a mettere insieme i pezzi per dare opportunità al vivere. “Goditi quello che hai perché la vita è una figata” e ti può dare anche la possibilità di essere vincente e famoso.
Vio ha fondato Art4Sport, l’associazione che ha la “missione di supportare le famiglie dei ragazzi con disabilità per permettere loro di divertirsi quotidianamente attraverso l’attività sportiva. Un invito preciso: “Non rinunciate al vostro obiettivo per la paura ma fate della paura la vostra forza – scrive – Tutti abbiamo paura delle cose che non conosciamo, e la disabilità non solo è una cosa sconosciuta ma è anche una cosa di cui si ha paura di parlare. Ma io ho deciso di scrivere questo libro per parlarne”.
Munari nella copertina della raccolta di 70 favole traccia un disegno che ripropone il disco dell’apparecchio telefonico S62, quanto di più tecnologico, in quegli anni, cominciava ad essere presente nella quotidianità dei bambini, lo strumento che permetteva al ragionier Bianchi di comporre il numero telefonico e parlare con sua figlia per raccontarle la favoletta serale.
Mi piace pensare a Bebe Vio come uno scarabocchio perché in lei l’immaginazione supera la realtà e la fantasia grazie all’uso intelligente delle tecnologie è già potere.