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di Filippo Cavallaro
Un sintagma ha caratterizzato qualche scartoffia d’ufficio tempo fa. Una struttura linguistica di due sole parole probabilmente utile ai fini della gestione delle pratiche amministrative. Un’espressione … infelice!
“Carico residuale”, è il sintagma che sembrerebbe riferirsi ad oggetti ma che riguardava persone, una tipologia di soggetti come quelli che Arthur Koestler, in un racconto storico romanzato, aveva definito, nella Londra del 1941: “Schiuma della terra”.
Mutilato, invalido, menomato, minorato, subnormale, handicappato, disabile … sono parole, un elenco, utilizzate per un’altra tipologia di soggetti riconoscibili per la loro caratterizzazione, anch’essi “schiuma della terra”, … marginali.
Difficile usare le parole dovremmo sempre soppesarle prima di usarle. Le parole sono come pietre e chissà quante volte commettiamo errori mentre parliamo, scriviamo o chattiamo.
Persone in fuga, persone con disabilità, … persone.
Si possono usare metafore parlando di uomini e donne, alcune sono famose ed hanno superato il loro tempo, divenendo esempio di oratoria o di scrittura. Tra queste c’è sicuramente l’apologo di Menenio Agrippa, pronunciato durante la rivolta dei plebei romani nel 494 a.C., secondo quanto riportato da Tito Livio nel secondo libro “Ab Urbe condita”. Paragonando alle strutture del corpo umano le persone che per ruolo diverso caratterizzavano la società romana di quel tempo.
Con “mani, bocca e denti” si identifica la plebe, il popolo, con “stomaco” si identifica il senato, i governanti. L’idea, che mani, bocca e denti si prodigano a servire di nutrimento lo stomaco portando verso lui gli alimenti, è evidente, e fa pensare ad un ruolo passivo, ozioso, dello stomaco. L’oratore poi fa riflettere descrivendo che, dopo aver ricevuto il cibo, sarà proprio lo stomaco a trasformare il tutto perché diventi nutrimento da distribuire a tutte le membra del corpo, compresi mani, bocca e denti, invertendo le parti. Un sistema complesso l’organizzazione che si stava dando Roma sin dal periodo della fondazione, che presentato attraverso la metafora del corpo spiega, fa capire e convince facilmente tutti.
Forse, nell’elenco di parole di qualche riga fa, potremmo pensare ad una metafora, che rende visibile l’invisibile, quando si sentono o si leggono parole legate al mondo delle persone che frequentano strutture di riabilitazione:
Mutilato che corrisponde a chi per varie cause ha subito la perdita totale o parziale di una struttura corporea. Sottolinea ciò che manca;
Invalido che è spesso, anche per motivi storici (es. ANMIG Associazione Nazionale fra Mutilati ed Invalidi di Guerra nata nel 1917), legato alla parola mutilato venne utilizzata per i militari che per malattia contratta sul fronte o per ferita riportata in combattimento non erano più abili al servizio militare o a esplicare una attività lavorativa nella vita civile. Si evidenzia la non validità, l’assenza di valore;
Inabile, privo delle qualità richieste dalla legge per adempiere ai propri compiti. Dichiara la mancanza di abilità;
Menomato, sminuito, limitato nell’efficienza fisica, danneggiato fisicamente. Mette in mostra la limitazione;
Minorato che indica chi non raggiunge il normale livello di efficienza, nelle facoltà psichiche, di tipo intellettivo e volitivo. Evidenzia i limiti;
Subnormale, inferiore al normale, che differisce dalla norma. Pone in posizione di inferiorità;
Handicappato, di chi si trova in una situazione di svantaggio, sia rispetto ad altri sia rispetto alle proprie aspirazioni. Sottolinea le difficoltà;
Disabile riferito a soggetti che abbiano qualche problema fisico e/o mentale di grado relativamente non grave. Dichiara gli ostacoli che si frappongono per manifestare le abilità.
L’uso di ognuna di queste parole di fatto non è solamente una questione linguistica. Scegliendo una parola si fa capire cosa si pensa veramente.
Le persone con disabilità hanno dovuto impegnarsi tanto per far riconoscere i propri diritti e la loro identità, che corrisponde al loro nome all’anagrafe, senza altre definizioni o aggettivazioni, purtroppo poi, malgrado leggi e norme abbiano fatto chiarezza, ancora oggi, troviamo che tra loro quelle parole sarebbero usabili come sinonimi.
La stessa Accademia della Crusca ha pubblicato un testo, del linguista Rosario Coluccia, nel quale si sottolinea che spesso, parlando di fatti che toccano la propria sensibilità, risulta difficile trovare la parola giusta senza farsi sopraffare da preconcetti, specialmente su argomenti delicati che riguardano tutti come la vita e la morte, la malattia o la condizione sociale, la nazionalità, il sesso e l’orientamento sessuale.
Parole e valori che attribuiamo, a volte anche senza esserne consapevoli. Metafora o sinonimo?
Grave quanto emerso da uno studio ITTIG-CNR che ha selezionato una lista di termini ritenuti a rischio “discriminazione” presenti in norme e documenti giuridici.
Credo che l’invito finale del professor Coluccia a riflettere sulla lingua per organizzare meglio la nostra società debba essere accolto unanimamente: sempre più spesso infatti vengono usati dei termini che se non sottoposti ad alcuna critica, risultano dei veri e propri preconcetti in grado di veicolare una visione del mondo spesso influenzata da gerarchie sociali.
Una nota interessante è nella Lingua dei Segni LIS, nella quale emerge quello che può definirsi “orgoglio sordo”. Le persone sorde amano, se non addirittura pretendono, essere definiti “sordi”. Senza metafore o sinonimi.
Diamo il giusto valore alla “Schiuma della terra”, così come Edgar Morin ci insegna, affermando che dobbiamo dare valore al pensiero non quantificabile e formalizzabile, quella parte di conoscenza che la scienza sbaglia a ritenere “schiuma del reale”.