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di REBECCA DE FIORE (PENSIERO SCIENTIFICO EDITORE)
Per rispondere a questa domanda vediamo i dati. Le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nel 2022 sono state 60.774, in aumento di 5.486 casi (+9,9) rispetto al 2021. Sono aumentate quasi del 20 per cento le denunce nelle isole (+18,4%) e più o meno del 10 per cento nelle regioni centrali del Paese (+10,3%), nel nord-ovest (+10,0%) e nel sud (+9,5%). Meno nel nord-est (+5,6%). Nel complesso, l’aumento ha interessato sia le denunce dei lavoratori italiani, passate da 51.142 a 56.128 (+9,7%), sia quelle degli extracomunitari, da 2.861 a 3.145 (+9,9%), e dei comunitari, da 1.285 a 1.501 (+16,8%) [1].
Di cosa ci ammaliamo, soprattutto, lavorando?
Lavorare fa male specialmente alle ossa e ai muscoli: al sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, spiega l’Inail ricorrendo a termini tecnici [1]. Ma tra i disturbi e le malattie legate all’occupazione hanno un posto di rilievo quelle del sistema nervoso e dell’orecchio. Nella triste classifica dell’Istituto nazionale, seguono i tumori e le malattie del sistema respiratorio [1].
Disturbi alle ossa e ai muscoli: cosa comprendono, Dottore?
Un problema frequente è l’intorpidimento causato da un nervo compresso nella zona del polso: ormai tutti conoscono la sindrome del tunnel carpale. È la causa principale delle lesioni alla mano e al polso causate dal computer [2]. È un problema che capita più di frequente a chi lavora con strumenti che vibrano o se si compiono movimenti ripetitivi e che prevedono la torsione del polso per svolgere il proprio lavoro. Bisogna fare spesso delle pause. Il medico di medicina generale potrebbe suggerire di indossare un tutore o di cambiare la postura del braccio, se compatibile con il lavoro svolto [2]. Lo stesso medico potrà dare altri consigli utili per proteggere anche altre parti del corpo spesso sollecitate durante il lavoro, per esempio la schiena.
Intende dire che la schiena è spesso sollecitata durante il lavoro?
Non è necessario lavorare come trasportatori ai mercati generali per mettere a dura prova la propria schiena. Sollevare pesi nel modo corretto – piegandosi sulle ginocchia e cercando di incurvare il meno possibile la schiena – è una buona abitudine spesso trascurata, come anche cercare di fare qualche pausa per camminare ogni mezz’ora. Chi al lavoro passa molto tempo seduto, oltre al mal di schiena può soffrire anche di un ristagno di liquidi nelle gambe, nelle caviglie e nei piedi. Si può verificare così un “edema periferico”. Consultate il vostro medico, che potrebbe prescrivervi qualcosa di semplice come delle calze a compressione.
Certo, molto spesso il lavoro da svolgere sembrerebbe non consentire pause o particolari cautele: alle imprese bisognerebbe far presente, però, gli impressionanti costi del mal di schiena sulle stesse aziende. Nelle società occidentali, il “peso economico” delle assenze per mal di schiena è valutabile tra l’1 e il 2 per cento del prodotto interno lordo [4]. A livello individuale, possiamo avvertire che qualche chilo di troppo peggiora la situazione [5].
Dottore, prima parlava dei problemi collegati all’udito: può dirmi di più?
Le ricerche sulle malattie professionali condotte negli ultimi anni hanno evidenziato due tipi di problemi. Da una parte, molti milioni di lavoratori devono affrontare livelli di rumore dannosi. Dall’altra, una quantità ancora maggiore di persone è esposta a materiali come solventi o metalli che potrebbero causare la perdita dell’udito. E non dobbiamo pensare soltanto a luoghi di lavoro “estremi”, perché spesso anche chi lavora in uffici relativamente tranquilli può ascoltare musica a livelli non sicuri attraverso cuffie o auricolari [6]. C’è da tenere presente che il rumore elevato può anche causare stress e insoddisfazione sul lavoro [7].
Quindi, non è solo la disoccupazione a poter essere stressante?
È così: anche il lavoro può esporre a situazioni di stress e a un carico emotivo talvolta insostenibile. La professione di medico è un esempio chiaro, a questo riguardo. Secondo un’analisi pubblicata da pochissimi giorni in Gran Bretagna e che ha motivato una delle più importanti riviste scientifiche del mondo a dare un risalto eccezionale alla questione [8], i medici di medicina generale del Regno Unito sono gravati da carichi di lavoro molto più elevati rispetto a prima della pandemia di Covid-19, e molti riferiscono stress e segni di disagio emotivo [9]. Circa il 71% dei medici di medicina generale britannici ha dichiarato di trovare il proprio lavoro “estremamente” o “molto stressante”: una situazione peggiorata – da quanto leggiamo dei risultati quantitativi dell’indagine svolta – di 11 punti percentuali dal 2019. Ma a subire il peso di una professione sempre più esigente non sono solo i medici britannici.
Intende dire che anche per voi medici italiani il carico di lavoro è sempre maggiore?
È un’evidenza davanti agli occhi di tutti i cittadini. I ritmi e gli orari di lavoro dei medici possono avere effetti non soltanto sulla vita privata e familiare dei professionisti, ma anche sulla loro salute. “Non si tratta più di una mera rivendicazione contrattuale, ma di una questione di salute e di sicurezza sul lavoro” ha spiegato il presidente della Federazione degli Ordini dei Medici, Chirurghi e Odontoiatri Filippo Anelli [10]. Molti medici sono stremati da turni infiniti, spesso dovuti alla carenza di personale. Questo determina anche l’impossibilità di godere le ferie o anche solo il giusto riposo. Un quadro oggettivamente complesso è ulteriormente aggravato dal rischio di aggressioni e violenze fisiche e verbali.
Probabilmente, tutti i medici sognavano una professione diversa rispetto a quella che si trovano a svolgere nelle condizioni in cui oggi si trovano, vuoi per la crisi dovuta alle emergenze sanitarie, vuoi per le oggettive carenze organizzative dei sistemi sanitari occidentali.
Quali aspetti del proprio lavoro possono contribuire a far sentire un medico “realizzato”?
Posso risponderle con i dati emersi dal rapporto britannico prima citato [9]. Quanto dura l’incontro col paziente – in altre parole, la durata di un appuntamento – è probabilmente un fattore importante. I dati britannici sono eloquenti: il tempo trascorso con i pazienti determina la soddisfazione non solo della persona assistita ma anche del medico curante. Pensiamo che nel sondaggio segnalato dal BMJ il tempo medio che i medici di medicina generale del Regno Unito stimano di trascorrere con un paziente durante un consulto di routine è di dieci minuti [9]. Dall’inizio della pandemia, un numero sostanziale di medici di base in tutti i Paesi ha sperimentato un enorme disagio emotivo, fatto di ansia, profonda tristezza, rabbia o addirittura disperazione.
Una “sanità in affanno” – ha detto il Presidente Filippo Anelli – non può non mettere in crisi il Servizio sanitario pubblico e universalistico italiano, uno dei beni più invidiati al nostro Paese. Né è possibile immaginare una nuova sanità più vicina, prossima ai cittadini se non valorizzando i professionisti che devono essere protagonisti della relazione di cura.
(Fonte: dottoremaeveroche.it)