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di Giuseppe Ruggeri
“Messina tra macerie e incanti” di Giuseppe Ruggeri, con prefazione a cura di Sergio Di Giacomo, è una raccolta di articoli, conferenze e introduzioni che l’Autore ha collazionato e stampato in proprio, per offrire ai lettori uno spaccato di vita cittadina ripercorso attraverso personaggi, libri ed eventi della sua storia. Ma anche attraverso i numerosi musei, presenti in città e dintorni, testimoni della memoria cittadina. Una memoria segnata da grandi catastrofi ma pure dalla tenace volontà di risorgere dalle proprie ceneri dopo ogni disastro.
Parecchie ancora, a Messina, le “macerie” di tante distruzioni, dietro le quali, però, occhieggiano altrettanti “incanti” che un occhio innamorato, come quello dell’Autore, non può non cogliere e far assurgere a simbolo dell’auspicato rinascimento di un’Urbe che fu un tempo – così come la definirono i nostri padri Latini – “civitas locupletissima”.
Italo Calvino scrive che “arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.” Mi ritornava in mente questa frase, tratta da “Le Città Invisibili”, ripensando a tutte le volte che, con Franz Riccobono (da me considerato uno dei più suggestivi “incanti” messinesi) si diceva di passato. Un passato il quale, nelle sue parole come nei suoi scritti (oltre cinquanta le monografie dedicate a Messina e al suo territorio), costituiva il fulcro di qualsiasi comunità che si possa definire civile. Come civile – e profondamente – era l’impegno da lui dedicato alla sua città, che amava d’una passione sviscerata e rabbiosa nel ravvedere il lento degrado cui era avviata. Storico non per scuole ma per passione (era laureato in economia e commercio), dopo il pensionamento da funzionario universitario si era dato anima e corpo all’antiquariato. Non nel senso commerciale, s’intende, poiché ben lungi dall’uomo, a dispetto del suo titolo accademico, erano le attività economiche.
Sicché aveva fatto del suo piccolo negozio (due stanze e un retrobottega) nel cuore della centralissima via Ghibellina un autentico scrigno di oggetti (libri, stampe, scartoffie) estratti dalle nebbie del tempo con colta e minuziosa competenza. Un luogo diventato ben presto un cenacolo di amici che vi convenivano per affettuosa amicizia non disgiunta da stima sincera e avidità di sapere. Ivi, Franz dispensava le sue preziose gocce di cultura spaziando dalle più remote origini di Messina ai recenti avvenimenti cui aveva assistito la Falce. Una Falce la cui un tempo gloriosa Cittadella costituiva per lui un vero e proprio cruccio civile, essendovisi battuto per anni strappando il consenso unanime della comunità pensante ma ahimè soltanto false promesse dalle istituzioni. Le quali, in un beffardo gioco di rimandi, continuano a tutt’oggi a ignorare il richiamo della storia di cui vibra un’area archeologica unica al mondo per il suo vertiginoso affacciarsi sul resto del Continente. Perpetuando in tal modo la tragica volontà di autodistruzione alla quale inevitabilmente soggiace chi dimentica la memoria e così insistendo a “rovinare le rovine” create dai tanti terremoti dell’anima che hanno avuto per palcoscenico la nostra Messina.
Proprio nel grande spiazzo dell’antica Cittadella ci
ritrovammo un bigio mattino del gennaio 2016, quali componenti, insieme a Mario Sarica Sergio Todesco Luigi Montalbano e Antonio Galeano, del comitato d’esperti dell’allora assessore regionale alla cultura siciliana Franco Vermiglio. Franz, megafono in pugno, guidò un nutrito drappello di politici e funzionari alla scoperta dei misteri di quel posto. E ricordo ancora l’espressione estasiata dell’allora presidente della Regione Crocetta al cospetto del superbo spettacolo dello Stretto sfigurato dalla tetra sagoma dell’inceneritore che dava mostra di sé dinanzi a quelle sventurate rovine. “Oggi nasce il Patto della Falce” proclamò stentoreo Crocetta con il 7tono di chi non ammette più indugi. Ma Franz non mutò espressione dinanzi a tanta determinazione. Sapeva che, come le onde del mare d’Ulisse che ci guardava solenne, gli uomini cambiano e le loro promesse sfioriscono come neve al sole. Lui però non è mai cambiato, come i pochi che fanno la storia. E che, dopo il loro passaggio terreno, continueranno a farla. Da una posizione privilegiata.