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Articolo a cura di Antonio Squillante (PhD, RSCC, CSCS, docente e ricercatore Univeristy of Southern California)
Si sente spesso parlare di variabilità cardiaca. Ma di cosa si tratta? Con il termine heart rate variability (HRV), o variabilità cardiaca, si indica la distanza media tra due battiti cardiaci in successione misurata in millisecondi. Se la distanza tra due battiti è relativamente stabile e regolare, la variabilità cardiaca è bassa. Al contrario, se il ritmo cardiaco segue un andamento meno regolare la variabilità cardiaca è alta. In sé per sé si tratta di un concetto relativamente semplice, sebbene esistano formule matematiche assai complesse per calcolare con esattezza il valore.
IL CUORE
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Intuitivamente saremo portati a pensare che un battito cardiaco regolare a riposo è indicativo di uno stato di salute ottimale, ma non è proprio così. Un battito cardiaco a riposo inferiore alla media – inferiore ai 65-70 battiti al minuto – è ideale ed è indicativo di un sistema cardiovascolare in buone condizioni di salute. Atleti professionisti hanno una frequenza cardiaca a riposo di 40-45 battiti al minuto, al limite della bradicardia. Il cuore è un muscolo e se allenato si rinforza. Un cuore forte è un cuore capace di pompare in circolo la stessa quantità di sangue – circa 5 litri al minuto – con maggior facilità, risparmiando energia e sottoponendo l’intero sistema cardiocircolatorio a livelli di stress inferiori. Un cuore che lavora meno a riposo è un cuore che vive più a lungo.
FREQUENZA
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Se il cuore si comportasse come un metronomo, con una frequenza cardiaca a riposo di 60 battiti al minuti potremmo facilmente contare un battito al secondo. Ma non è così. La distanza tra due battiti consecutivi può cambiare. Maggiore è la variabilità cardiaca e più facile sarà per il cuore adattarsi a un ritmo di lavoro superiore. Nel momento in cui andiamo ad allenarci, l’aumento frequenza cardiaca viene ben tollerato e lo sforzo richiesto viene gestito senza andare a sovraccaricare il sistema cardiocircolatorio. Al contrario, un cuore che batte a una frequenza regolare è un cuore poco reattivo. Nel momento in cui andiamo ad allenarci, l’aumento frequenza cardiaca viene tollerato a fatica e il sistema cardiocircolatorio viene sottoposto a un carico di lavoro superiore al previsto.
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READINESS
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Dati alla mano, la variabilità cardiaca tende a diminuire con l’età. Diminuisce anche in condizioni di fatica, quando i livelli di stress aumentano sia a livello fisico che mentale. Al contrario, quando ci sentiamo in forma e ben riposati la variabilità cardiaca tende ad aumentare. Proprio per questa correlazione tra fatica e variabilità cardiaca l’HRV viene da anni utilizzato per monitorare quella che in gergo si definisce readiness ossia il livello di fatica cronico a cui un atleta viene inevitabilmente sottoposto durante mesi di lavoro intenso. Per semplicità, invece che complicarsi la vita con scale logaritmiche e parametri di variabilità cardiaca spesso difficili da interpretare, la readiness viene misurata su una scala da 1 a 10 o da 1 a 100. Un valore di readiness basso sta quindi ad indicare un livello di fatica superiore alla media mentre un valore di readiness alto sta a indicare uno stato di forma ottimale.
ANALISI
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Esistono diversi dispositivi in commercio che permettono di fare una analisi dettagliata della HRV fornendo un punteggio facile da interpretare e abbastanza intuitivo. Un po’ come un semaforo: verde indica uno stato di readiness ottimale e un HRV alta, mentre rosso indica uno stato di fatica eccessiva e una HRV bassa. Con il giallo, procedere con cautela. A prescindere dal dispositivo e dal valore di HRV indicato, la regola rimane la stessa:
- Verde: via libera, libera uscita. È il momento giusto per allenarsi e per provare a dare di più. Si può aumentare il volume di allenamento o l’intensità, senza ovviamente strafare.
- Giallo: alleniamoci, ma con cautela. Teniamo presente che potremmo sentirci un po’ giù. Due giorni consecutivi nel giallo ed è bene tirare i remi in barca.
- Rosso: stop. È bene fermarsi e cercare di recuperare. Magari andare a letto un po’ prima la sera e consumare un paio di pasti più abbondanti per recuperare le energie.
Monitorare i livelli di fatica in questo modo permette di ridurre il rischio di ovetraining – la cosiddetta sindrome da sovrallenamento – e addirittura di ridurre il rischio di infortunio. Perché ci si fa male più spesso quando ci si allena stanchi, c’è poco da fare.
DISPOSITIVI
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A quali dispositivi affidarsi? Ce ne sono molti in commercio. Whoop fa un dispositivo da polso molto comodo mentre Oura ha messo in commercio un anello in grado di misurare, oltre alla variabilità cardiaca, la temperatura corporea. Un’opzione valida è anche HRV4Training, che permette di utilizzare la fotocamera di un normale smartphone, sia Apple che Android. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Vale la pena provare.
(Fonte: www.gazzetta.it)