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Medici scrittori a congresso a Scilla

Medici scrittori a congresso a Scilla

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Si è da poco concluso il 71° Congresso dell’Associazione Medici Scrittori Italiani (AMSI) nella splendida location del Castello di Scilla (RC). L’Associazione, che vanta oltre un settantennio di storia, conta tra i suoi Soci anche alcuni messinesi – Luisa Barbaro, Alfredo Buttafarro e Giuseppe Ruggeri che dal 2015 ne è il vicepresidente nazionale. “Stretto tra mito, storia e tradizioni” il tema del convegno che è stato organizzato e coordinato dal Dott. Santo Gioffrè, e presentato dal presidente Dott. ssa Patrizia Valpiani (Torino) che da quasi un decennio è alla guida dell’AMSI.

All’inaugurazione ha porto i saluti anche la messinese Rosanna Trovato Morabito, presidente dell’Archeoclub Area Integrata dello Stretto, cui è seguita la relazione storica della Dott.ssa Adriana Verardi autrice, insieme al nostro compianto Franz Riccobono, della monumentale monografia “Scilla: il mito che vive” (Casa Editrice Edas di Mimma Vicidomini, Messina).

Ogni anno, e sempre in un luogo diverso, l’Associazione, che ha annoverato nelle sue fila personalità molto note della letteratura italiana – Mario Tobino, Carlo Levi, Giuseppe Bonaviri tra gli altri – chiama a raccolta i suoi Soci – circa 150 in tutta Italia – per fare il punto sul complesso rapporto tra scrittura e medicina. Un’abitudine consolidata che ha prodotto indubbi frutti in campo di conoscenza e riflessione su un dualismo che Anton Cechov, medico di professione, riteneva simile alla relazione tra una moglie (la medicina) e un’amante (la letteratura).

Quest’anno, la scelta d’un contesto come Scilla assume una valenza particolare, non foss’altro che per lo sguardo rivolto. in tal modo, a quell’estremo lembo di penisola che ha dato i natali a scrittori più che illustri – come Corrado Alvaro – e ha costituito, con i suoi magnifici scorci naturalistici uno tra tutti la Chianalea (inserito tra i borghi più belli d’Italia), fonte d’ispirazione per i quadri di Renato Guttuso che negli anni Cinquanta vi si recava d’estate per contemplare le meraviglie dello Stretto.

Si riporta, di seguito, la relazione del vicepresidente dell’AMSI Dott. Giuseppe Ruggeri che ha aperto il convegno, dal titolo “Lo Stretto visto da Messina”.

LO “STRETTO” VISTO DA MESSINA

di Giuseppe Ruggeri

Cos’è il mare per i messinesi? Sicuramente un elemento di contraddizione se è vero che, come scrive Jorge Luis Borges, ogni mare “unisce e divide”. Ossimorica, pertanto, la condizione degli abitanti di questa città i quali, se da una parte guardano al Continente che infonde loro lo spirito del viaggio, e dunque dell’alienazione dall’isola, dall’altra, come tutti i siciliani peraltro, godono appieno della propria sublime “isolitudine” – come la definì Gesualdo Bufalino in “Isola nuda” (1988). Attrazione e repulsione verso la fuga dalla propria condizione insulare convivono pertanto in ciascun siciliano che si rispetti, improntandone gesti, pensieri, modi stessi di vivere ed essere.

Ma in cosa, lo Stretto si discosta dagli altri mari di Sicilia? Quali le caratteristiche peculiari che ne fanno “voce” delle terre che bagna, alfiere dell’identità urbana, essenza stessa di Messina? Una di queste caratteristiche è certamente il mito – l’etimo è greco, significa racconto – dal quale le acque dello Stretto sono intrise fin da epoca immemorabile. Un racconto cui hanno dato corpo le fiorite leggende della classicità – poemi omerici in testa, ma anche Esiodo con la sua “Teogonia” che narra le peripezie da cui originò la Falce, luogo dov’era ricaduta dopo che con essa Crono evirò il padre Urano, dio del cielo, responsabile del sistematico eccidio dei figli avuti dalla dea della terra Gea.

E cos’è in fondo il mito se non un tentativo di fornire risposte agli eterni interrogativi dell’uomo? Mito è dunque lo Stretto e, con esso, il mare Mediterraneo, l’antico “Marenostrum” da cui traggono origine ed essenza le innumerevoli civiltà che vi sono rimaste stratificate impregnando di sé una terra vocata al passaggio del mondo conosciuto per le sue azzurre sponde.

 

“Un sogno fatto in Sicilia” – ci suggerisce Leonardo Sciascia – sembra insomma essere la panoplia di leggende che infiorano le azzurre acque dello Stretto, il mare d’Ulisse che, facendo rotta verso Itaca, vi compì un ardito attraversamento infestato dalle maliarde Sirene e dai gorghi impetuosi di Scilla e Cariddi.

“Omero è stato qui” titola la scrittrice messinese Nadia Terranova una sua recente pubblicazione che narra un rosario di miti risalente ai tempi più remoti, quelli, per intenderci, che Esiodo ha descritto nella sua “Teogonia”. E non a torto. Il più grande Aedo della classicità non poteva non aver spiegato le vele sulle onde del “Bosforo d’Italia”, come lo chiameranno, molti secoli dopo, Edoardo Giacomo Boner e Salvatore Quasimodo cogliendone l’analogia con il canale che attraversa Istanbul, l’antica Costantinopoli. Omero è stato qui, non c’è dubbio; con lo sguardo profondo del non vedente e con il cuore pulsante del poeta, egli ha inventato un mondo che non poteva riconoscere attraverso gli occhi, ma che gli è entrato direttamente nell’anima dando corpo alla sua ispirazione.

E come non associare, a quella del mito, la figura dell’eroe? Eroe come proiezione delle più elevate virtù dell’uomo, espressione del coraggio di vivere sacrificandosi, se è il caso, per il bene e la salvezza degli altri.

Come ci insegna, peraltro, il mito di Colapesce, mirabile fusione tra immaginario popolare e scienza. Cos’è, difatti, la leggenda dell’uomo-pesce se non il tentativo di spiegare quei particolari fenomeni naturali che prendono il nome di sommovimenti tellurici, così comuni dalle nostre parti? La colonna che sorregge capo Peloro è instabile da sempre, ed è soltanto grazie all’impegno eroico di un povero pescatore che questo lembo di Trinacria non è ancora sprofondato negli abissi. Succede però, a volte, che l’eccessivo carico faccia vacillare Cola ed ecco che la terra sovrastante comincia a vibrare pericolosamente, ecco arrivare i terremoti. L’ultimo, il più disastroso, sorprende centomila messinesi nel sonno, cambiando in pochi secondi la loro esistenza.

Sono passati più di cent’anni, e la storia di Messina continua. Come continua quella della Sicilia, il “divino triangolo” – come lo definì Pitagora – che racchiude ancora tanti affascinanti misteri. Uno di questi, forse il più intrigante, consiste nella straordinaria forza dei siciliani di ricostruirsi. Eppure, essi navigano da millenni su una precaria “arca di sasso” (citando Gesualdo Bufalino) soggetta alle tempeste e pronta a colare a picco da un momento all’altro.

I siciliani non temono quest’evenienza perché sanno che possono sempre contare sui propri eroi. Su quegli uomini di tutti i giorni i quali, in silenzio, lontani dai riflettori, ricuciono pazientemente la tela smagliata dei loro sogni. A dar loro forza è l’amore per la propria terra la quale, malgrado ogni distruzione, è riuscita finora non solo a mantenersi a galla ma a continuare a brillare come un faro di bellezza nel mondo.

E non è forse questo il più bel mito che abbia mai abitato la terra di Sicilia fin dalla notte dei tempi?