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di Giuseppe Ruggeri
“Messina tra macerie e incanti” di Giuseppe Ruggeri, con prefazione a cura di Sergio Di Giacomo, è una raccolta di articoli, conferenze e introduzioni che l’Autore ha collazionato e stampato in proprio, per offrire ai lettori uno spaccato di vita cittadina ripercorso attraverso personaggi, libri ed eventi della sua storia. Ma anche attraverso i numerosi musei, presenti in città e dintorni, testimoni della memoria cittadina. Una memoria segnata da grandi catastrofi ma pure dalla tenace volontà di risorgere dalle proprie ceneri dopo ogni disastro.
Parecchie ancora, a Messina, le “macerie” di tante distruzioni, dietro le quali, però, occhieggiano altrettanti “incanti” che un occhio innamorato, come quello dell’Autore, non può non cogliere e far assurgere a simbolo dell’auspicato rinascimento di un’Urbe che fu un tempo – così come la definirono i nostri padri Latini – “civitas locupletissima”.
“Fatti precorrendo e idee / Messina / iniziava qui il Risorgimento italiano / il I settembre MDCCCXLVII”. Con questa lapide, posta sulla via I settembre all’intersezione con Piazza Duomo, si ricorda il primato di Messina come città capitale del Risorgimento italiano. Un anno prima delle più note Quattro Giornate di Milano, precisamente l’1 settembre 1847, la città dello Stretto fu difatti percorsa, con moto ascendente, dalla ventata rivoluzionaria che di lì a poco avrebbe investito l’intera penisola. La sommossa fu preparata nella sede dell’antico Gabinetto di Lettura che sorgeva a Piazza Duomo, ma, a causa del poco numero dei rivoltosi e della scarsità d’organizzazione, non riuscì a sopraffare l’esercito borbonico. I Borboni, avvertiti per tempo da un delatore, ebbero così tutto il tempo di organizzare la loro sanguinosa soppressione che nell’arco di un solo pomeriggio spense ogni speranza degli insorti. Alcuni di costoro, fuggiti nelle campagne, riuscirono a lasciare la città, ma chi fu catturato durante i moti non ebbe scampo. Il calzolaio ventisettenne Giuseppe Sciva fu l’unico rivoltoso ad essere fucilato mentre un altro
condannato – l’abate Crimi – dovette al suo abito religioso e a un antico concordato con il Vaticano la commutazione della pena. Il sacrificio degli eroici messinesi non fu tuttavia inutile. Solo qualche mese dopo, nel gennaio 1848, Palermo insorse riuscendo in breve tempo a tenere le fila di comitati insurrezionali sparsi per tutta l’isola e poi confluiti nel Comitato Generale Provvisorio che emanò una nuova Costituzione. Un vento di libertà durato poco, ma che fa di Messina la città che in Italia inaugurò i moti risorgimentali.
Da sempre titolare di un ruolo di centralità nel Mediterraneo, dopo aver subìto una battuta d’arresto durante la dominazione bizantina e araba, il porto di Messina tornò a essere fiorente con i Normanni. Vi facevano scalo e ne partivano le navi del Crociati dirette in Terra Santa e, con l’editto del conte Ruggero Secondo, la città divenne “Caput Regni”, sede del Consolato del Mare, un tribunale composto da consoli che emanavano ordinanze volte a regolamentare i rapporti con i commercianti ed esentava i messinesi da gabelle, dogane e altri pagamenti per mare e per terra, oltre a diversi vantaggi commerciali. L’istituzione del Consolato del Mare implicava anche la costituzione di un nuovo
arsenale e della Darsena e di un Ammiraglio con giurisdizione sul porto. Il porto di Messina – o porto dello Stretto – divenne così uno dei più importanti del Mediterraneo sia dal punto di vista militare che commerciale. La sua Zecca battè per tutto il regno moneta con inciso il motto M.N.S.C. (Messana Nobilis Siciliae Caput) e a questo si aggiunse poi la concessione da parte di Enrico VI del Porto Franco nel 1197. La disposizione fu una vera e propria garanzia per i traffici commerciali del porto perché conteneva molteplici immunità di natura economica e giuridica. In modo particolare si disponeva la libertà d’importazione ed esportazione di qualsiasi tipo di genere di merce, senza obbligo di tasse e gabelle, a ciò si aggiungeva la sostanziale inappellabilità delle decisioni dello Stratigoto, inoppugnabili in qualunque sede di giudizio. Lo Stratigoto era una figura centrale nel panorama giuridico dell’epoca, detenendo la duplice funzione di magistrato cittadino e capitano d’armi ed era eletto direttamente dal sovrano. Quando improvvisamente venne a mancare, Enrico VI, l’Imperatrice Costanza D’Altavilla, quale reggente, decise di riconfermare tale importante emanazione. La concessione permise la fioritura dei commerci e l’inizio di un periodo tra i più prosperi della storia della città.
Sotto la dominazione spagnola, nel secolo diciassettesimo, le ampie libertà municipali di cui Messina godeva non furono però gradite dagli spagnoli che consideravano la città minacciosa per la stessa corona, e tentarono di sopprimerle. Da questo nacque una sommossa popolare, per cui il Senato Messinese decise di ribellarsi al viceré Bajona alleandosi con i francesi. Luigi XIV inviò una flotta sotto il comando dell’ammiraglio Duquesne, ma la resistenza durò solo quattro giorni anche perché il re francese abbandonò Messina al suo destino. La vendetta spagnola fu terribile. Violenza inaudita e repressione. Soppressione a tappeto di tutti i privilegi di cui la città godeva: abolito il Porto Franco, chiusa l’Università, la Zecca e abbattuto il palazzo Senatoriale. Spogliata della sua autorità, Messina si vide per molti anni privata della sua antica importanza. Con i Borboni si tentò il recupero dei traffici commerciali che avevano reso florida in passato la città.
Il Porto franco fu istituito nuovamente nel 1784 ed esteso a tutte le città, e quindi abolito definitivamente nel 1879.
Non so quanto possa dirsi nota, almeno dalle nostre parti, la curiosa storia di Giovanni Rappazzo. Nato e
vissuto a Messina dove morì nel 1995 alla bella età di 102 anni, Rappazzo si formò nella sua città natale diplomandosi presso l’Istituto Verona Trento come perito elettrotecnico. Il fratello era proprietario dell’Eden Cinema Concerto, un locale all’aperto costruito nel Quartiere Lombardo (viale San Martino) nel 1912, sulle macerie del terremoto. Fin da giovane, il Nostro si dilettava a operare nelle cabine di proiezione, come succedeva a Totò, il piccolo protagonista del “Nuovo Cinema Paradiso” di Giuseppe Tornatore. E fu proprio durante queste sue incursioni che balzò in mente al giovane Rappazzo l’intuizione che avrebbe cambiato la storia del cinema, ossia quella di “sincronizzare” l’immagine con il sonoro attraverso un complesso sistema meccanico da lui stesso ideato. Nel 1921, Rappazzo depositò il brevetto di quella che lui stesso aveva definito “pellicola a impressione contemporanea d’immagine e suoni”. Purtroppo, per mancanza di sostegno da parte del governo italiano, non gli fu possibile vendere la sua invenzione né trovare finanziamenti per promuoverla. Scaduto il brevetto nel 1924 e non potendo più rinnovarlo per mancanza di soldi, Rappazzo ne perse l’esclusiva di sfruttamento commerciale. Siccome in precedenza egli aveva fornito ingenuamente alla Fox i suoi
progetti e anche una pellicola sonora da lui realizzata, non fu difficile per la facoltosa casa cinematografica statunitense brevettare un sistema di sonoro identico a quello già concepito dal Nostro. Il quale solo il 22 marzo 1994 – sostanzialmente in “articulo mortis” – fu insignito dell’unico riconoscimento di un’intera vita di lavoro e scoperte: il titolo di Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. Proprio vero, “nemo propheta in patria”.