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di Giuseppe Ruggeri
“Messina tra macerie e incanti” di Giuseppe Ruggeri, con prefazione a cura di Sergio Di Giacomo, è una raccolta di articoli, conferenze e introduzioni che l’Autore ha collazionato e stampato in proprio, per offrire ai lettori uno spaccato di vita cittadina ripercorso attraverso personaggi, libri ed eventi della sua storia. Ma anche attraverso i numerosi musei, presenti in città e dintorni, testimoni della memoria cittadina. Una memoria segnata da grandi catastrofi ma pure dalla tenace volontà di risorgere dalle proprie ceneri dopo ogni disastro.
Parecchie ancora, a Messina, le “macerie” di tante distruzioni, dietro le quali, però, occhieggiano altrettanti “incanti” che un occhio innamorato, come quello dell’Autore, non può non cogliere e far assurgere a simbolo dell’auspicato rinascimento di un’Urbe che fu un tempo – così come la definirono i nostri padri Latini – “civitas locupletissima”.
Tra gli “incanti” di Messina non può mancare la mirabile processione della Vara, attiva in città fin dal 1535 (sembra, ma alcuni studiosi la retrodatano di circa un secolo). Si tratta di una delle manifestazioni di religiosità collettiva più note in Sicilia e, probabilmente, in Italia. Commissionata dal Senato cittadino all’architetto Radese, sembra che lo stesso Francesco Maurolico abbia suggerito accorgimenti da applicare ai suoi meccanismi interni. Più comunemente conosciuta come “machina”, essa è una grande struttura di forma piramidale che simboleggia l’Assunzione in cielo della Madonna. La Bara vera e propria, circondata dagli Apostoli nella parte inferiore, subito in alto gli angeli con dei ramoscelli d’ulivo in mano che girano insieme al sole e la luna, sopra altri angioletti e un globo stellato, più sopra ancora un altro cerchio d’angeli e in cima la figura di Gesù cristo che tiene sul palmo della mano destra l’Alma Mater.
Una tradizione, dunque, che attraversa i secoli e alla cui storia è doveroso riferirsi se non si vuol assimilarla a una delle tante manifestazioni di folla che assembrano le città durante i cortei patronali. Va
detto anzitutto che le sue origini sono molto antiche, in considerazione del fatto che eventi in cui si festeggia la Vergine a Messina sembrano risalire a poco dopo la consegna della Lettera di Maria alla delegazione messinese, anche se di tanto non si hanno a tutt’oggi testimonianze originali. Documentato, è però il corteo che Ruggero d’Altavilla, al ritorno dalla vittoria sugli Arabi (12 agosto 1086) presiedette davanti al Duomo per ringraziare la Vergine. Al corteo presero parte autorità civili e militari preceduti da un’imponente statua di donna a cavallo in cartapesta, prototipo dell’Assunta. Anche presente, ovviamente, il ceto nobiliare che seguiva il clero.
Insomma, una matrice non popolare ma che poi, di necessità, si allarga a tutta la collettività caratterizza l’istituzione della Vara, le cui preesistenze storiche attestano una compartecipazione degli strati sociali alti della città. D’altronde, l’adesione popolare non diminuisce anzi, con molta probabilità, accresce la valenza simbolico-religiosa dell’evento sebbene, in ogni caso, non possa e non debba considerarsene l’unica espressione. La accresce perché la inserisce in una dimensione collettiva, ove ogni stratificazione di ceti e livelli sociali si annulla in nome di una devozione che appartiene a
storia che ci accomuna. Un esempio come pochi per stringersi intorno a un simulacro che rappresenta la città, infondendoci il senso d’appartenenza di cui abbiamo bisogno per riscoprire la nostra identità sofferta e lacerata. Non dimenticando che l’origine della processione della Vara ci fa risalire a un lontano passato nel quale il culto aveva un’origine aristocratica ed era trasmesso agli strati meno istruiti della popolazione appunto per elevarne la spiritualità. E senza parimenti dimenticare che la cultura popolare racchiude pur sempre valori di saggezza, anche religiosa, che con la cultura più elevata non possono che instaurare un’osmosi costante e proficua tesa alla complessiva elevazione morale della nostra Città.