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di Roberta Villa
Anche il fumo che proviene dall’ombrellone vicino può far male. Sulla scia di Bibione, pioniera di questa iniziativa dal 2014, aumentano di anno in anno sui litorali italiani le spiagge “smoke-free”, quelle cioè in cui, per ordinanza dei sindaci, è vietato fumare anche all’aperto, sulla riva del mare. La località veneta è stata infatti seguita dalle più famose destinazioni balneari della riviera romagnola, come Rimini, Cervia, Cesenatico e Ravenna, e di quella ligure, con Savona, Sanremo, Lerici e tutto il Golfo dei Poeti in cui è ovunque proibito fumare in spiaggia, salvo talvolta in appositi chioschi posti lontano dalle aree gioco dei bimbi.
Scendendo lungo lo stivale chi voglia godersi l’aria di mare senza dover respirare il fumo del vicino di ombrellone ha quindi ormai solo l’imbarazzo della scelta: per ricordarne alcune si possono citare San Benedetto del Tronto nelle Marche, Porto Cesareo in Puglia, Alba Adriatica in Abruzzo o Ladispoli in Lazio. Non sono sfuggite a questa sorta di rivoluzione nemmeno le isole: prima in Sicilia è stata Capaci, seguita da molte altre mete turistiche, come Lampedusa, Isola delle Femmine, Terrasini, dove è prevista una multa da 25 a 500 euro per chi getta mozziconi di sigaretta sulla battigia. Lo stesso accade in Sardegna, dalla Costa Smeralda a Stintino, dove la norma antifumo si impone non solo a tutela della salute umana, ma anche di quella dell’ambiente, e va infatti di pari passo con il divieto di introdurre materiali di plastica.
Dottore, ma all’aperto, che problema c’è?
Premesso che per la propria salute sarebbe meglio non fumare mai e in nessun luogo, tutte le norme che vietano di fumare nei luoghi pubblici hanno come primo obiettivo la protezione di chi si trova vicino al fumatore e che, pur evitando la sigaretta, si trova comunque a inalarne le sostanze tossiche.
Oggi, infatti, è largamente dimostrato che l’esposizione al fumo di altri (il cosiddetto “fumo passivo”) aumenta anche nei non fumatori il rischio di infarti, ictus, tumori del polmone e altre malattie. Per le donne in gravidanza aumenta il rischio di partorire un bambino di peso inferiore alla norma o di subire la tragedia di una morte in culla nel primo anno di vita del piccolo. Non si tratta comunque solo di conseguenze a lungo termine così come non esiste una dose minima sicura: anche una sola sigaretta può scatenare immediatamente attacchi di asma in adulti e bambini e provocare nei polmoni uno stato di infiammazione che dura per ore [1,2].
Se fino a qualche anno fa si pensava che questi danni si verificassero solo negli ambienti chiusi, oggi sappiamo che anche fumando fuori dalla finestra o all’aperto la concentrazione di sostanze nocive liberate nell’aria da una sigaretta è sufficiente a provocare nelle persone vicine le stesse conseguenze di quel che accade quando ci si trova nella stessa stanza [3].
L’Italia è all’avanguardia nella lotta contro il fumo passivo?
Nel 1975 l’Italia fu il primo Paese al mondo – insieme al Minnesota – a vietare il fumo sui mezzi di trasporto pubblici (a parte le carrozze dedicate ai fumatori) e negli ospedali, ma anche in cinema, teatri, musei, università e biblioteche. Vent’anni fa la legge n.3 del 2003, nota anche con il nome di Legge Sirchia, dall’allora ministro della Salute del secondo governo Berlusconi Girolamo Sirchia, estendeva il divieto di fumo a tutela dei non fumatori a tutti i locali chiusi, compresi i luoghi di lavoro privati o non aperti al pubblico, gli esercizi commerciali e di ristorazione, i luoghi di svago, le palestre e i centri sportivi [4,5].
Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha annunciato a marzo 2023 di essere al lavoro per allargare la normativa anche agli spazi pubblici all’aperto, ma nel momento in cui scriviamo la bozza di legge non è ancora stata presentata e approvata dal Parlamento.
Negli ultimi anni il nostro Paese si mostra all’avanguardia anche nella ricerca sui danni che il fumo passivo, involontariamente inalato dai non fumatori, può fare anche all’aperto. L’équipe dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano, diretta dallo pneumologo Roberto Boffi, ha infatti dimostrato che il fumo di una sola sigaretta emette nell’aria più sostanze nocive dello scarico di un tir: chi se ne starebbe tranquillo a leggere o a prendere il sole seduto respirando lo scarico di un tubo di scappamento? [6,7].
Davvero una sigaretta inquina più di un tir?
Per misurarle è stato preso come riferimento il cosiddetto “black carbon”, la cui percentuale tra le particelle disperse nell’aria è un indicatore particolarmente significativo circa la loro pericolosità. Il black carbon è infatti dannoso per la salute sia per le sue piccolissime dimensioni (si parla di “nanoparticelle”) che gli permettono di raggiungere le ramificazioni più profonde del polmone, sia per il fatto che trasporta sulla sua superficie nell’organismo sostanze cancerogene e dannose per il DNA, come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e i metalli.
Siccome viene emesso sia durante la combustione incompleta dei combustibili fossili sia delle sigarette, si può usare come parametro di confronto con le emissioni di scarico dei motori, specialmente quelli diesel [8].
“I primi esperimenti sono stati condotti a Livorno nel 2012”, racconta Roberto Boffi, “quando abbiamo installato un rilevatore sulla battigia di Vada e un altro in piazza Grande a Livorno, dove c’è un’alta concentrazione di traffico. Ebbene, i valori di black carbon misurati in spiaggia, sottovento, hanno raggiunto, a cinque metri di distanza dalla sorgente di due sigarette, una media di 6.000 nanogrammi per metro cubo. La stessa misurazione in piazza Grande, tanto per capire, è stata di 2.700 nanogrammi.
Ciò significa che il fumo di due sigarette a cinque metri di distanza può arrivare a produrre in spiaggia picchi di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) più che doppi rispetto a quelli misurati in uno slargo urbano trafficato all’ora di punta. E anche a dieci metri di distanza è stata comunque rilevata una concentrazione di polveri superiore a quella misurata in piazza Grande”.
I ricercatori milanesi hanno poi verificato l’efficacia del provvedimento preso dall’ex sindaco di San Michele al Tagliamento, di cui la località marina di Bibione è frazione. Le analisi condotte sulla spiaggia di Bibione a mano a mano che la normativa diventava sempre più severa, descritte in un articolo pubblicato in questi giorni sulla rivista Pulmonology, hanno mostrato che il divieto ha ridotto e ormai eliminato il fumo passivo in spiaggia, tranne ovviamente in prossimità delle zone riservate ai fumatori [9].
Dottore, ci sono altri vantaggi?
I danni alla salute del fumo passivo anche all’aperto sono stati confermati da molti gruppi di ricerca in tutto il mondo, ma sono poco utili se non sono accompagnati da sanzioni ed efficaci campagne di comunicazione. Nella prima spiaggia in cui è stato applicato il divieto, per esempio, lo slogan è “Bibione respira il mare”.
A Milano, invece, dove dal 19 gennaio 2021 se ci sono altre persone nel raggio di dieci metri è vietato fumare anche all’aria aperta, alle fermate dei tram, nei parchi, nelle stazioni, nei cimiteri, negli stadi, ci sono solo cartelli. Ma basta essere stati una volta a San Siro o passeggiare nel verde di un giardino per rendersi conto che la novità introdotta dal “Regolamento per la qualità dell’aria” approvato il 19 novembre 2020 a Palazzo Marino non è rispettata nemmeno in presenza di minori o donne in gravidanza [10].
Il regolamento del Comune di Milano, esteso dal 2025 a tutte le aree pubbliche all’aperto, nasce nel contesto di una normativa finalizzata al controllo dell’inquinamento atmosferico, di cui il fumo di sigaretta è solo una componente. Ma l’impatto ambientale di questa cattiva abitudine non si può trascurare: si stima che il 40 per cento dei rifiuti nel Mediterraneo sia composto da mozziconi, mentre le bottigliette di plastica rappresentano il 9,5 per cento e i sacchetti l’8,5% del totale.
Solo in Italia è stato calcolato che si gettino in mare 14 miliardi di mozziconi che, per decomporsi, impiegano dieci-quindici anni, e nel frattempo rilasciano microplastiche, sostanze chimiche, materiale tossico e metalli pesanti. Tutto questo viene ingerito dai pesci ed entra così di fatto nella catena alimentare, arrivando alle nostre tavole dove può ulteriormente recare danni alla salute nostra e dei nostri figli [11].
(Fonte: dottoremaeveroche.it)