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Il dolore dell’adolescente

Il dolore dell’adolescente

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di Marinella Ruggeri

…C’era una volta l’adolescente che ora non c’è più…

I ragazzi di oggi possono assomigliare a quelli di ieri ma dietro c’è tutta un’altra storia.  Sono incapaci di sopportare il fallimento rispetto alle (troppo alte) aspettative interiorizzate fin da bambini; usano il loro corpo come megafono di un dolore inespresso perché hanno davanti una fragilità adulta senza precedenti che non li sa ascoltare.

Siamo difronte ad una generazione che oggi grida aiuto con attacchi di panico, anoressia, ritiro scolastico (in drammatico aumento) e sociale, gesti autolesivi fino ad arrivare al suicidio, sempre più frequente,  attuale seconda causa di morte tra i giovani  dopo gli incidenti stradali, talvolta, anch’essi,  mascherati da suicidi. L’attacco oggi è su se stessi.

Fino a una quindicina di anni fà si cresceva affrontando problematiche che passavano da un metodo secondo il quale veniva prima il dovere e poi il piacere. Il loro crescere passava dalla trasgressione, «il loro problema era non aver potuto esprimere se stessi. E l’adulto era visto come un soggetto a cui opporsi colpevole di averli pressati , responsabilizzati, all’insegna del fatto di sapere cosa era meglio per loro». Ora il giovane  si è impregnato di narcisismo.

Iperstimolato, iperidealizzato fin dalla culla, si affaccia alla seconda nascita «bisognoso del successo sociale>> altrimenti si sente  “sfigato”, autonomo a tal punto che è poco propenso a sottomettersi alle norme adulte se non sostenute da argomentazioni per lui ragione- voli. Se prende 4 non lo dice a mamma e papà non perché tema la reazione, ma perché ha paura di deluderli. Proprio quando «richiederebbe sostegno nella realizzazione di sé da parte di adulti autorevoli prevalgono atteggiamenti educativi infantilizzanti».

Da diversi anni sostengo che la più importante emergenza formativa dipenda dal processo di adultizzazione del bambino a cui fa seguito un’infantilizzazione dell’adolescente. Ai bambini si chiede di crescere «secondo dettami adulti che favoriscono l’autonomia, la socializzazione, l’espressione di sé e delle proprie inclinazioni per poi guardare con sospetto agli adolescenti che hanno puntualmente aderito alle richieste. Alimentati da ideali molto elevati, in una società individualista e competitiva con una forte anticipazione delle esperienze. Si parla molto, si pensa di ascoltare parecchio ma non si guarda davvero!!!

La scuola dice di contrastare la competizione ma dal primo giorno distribuisce bollini, rossi o blu e smile con le faccine allegre o tristi. A parole dicono che non devono essere competitivi ma alimentano la competizione ogni giorno. Internet «è la monumentalizzazione di questo concetto». «Da piccoli non hanno più spazi di gioco e socializzazione, quindi le nuove generazioni si sono chiuse in internet. Giocano sul video e socializzano sui social per sperimentare la loro identità nascente. Peccato che poi in- vece li accusano di essere dipendenti da internet, che i social fanno male, e i videogiochi li rendono violenti». Internet era il male assoluto. Durante la pandemia è diventato necessario, con la DAD. Finita l’emergenza, di nuovo bandito…

 La dissociazione adulta accende e spegne bisogni come se i ragazzi fossero interruttori. E’ aumentata la fragilità adulta, la famiglia certamente ascolta, più di ieri, ma i figli vedono uno sguardo in cui non possono esprimere chi sono davvero, i dolori, gli inciampi, i fallimenti perché il genitore non lo sopporta.  Manca l’ascolto delle ragioni profonde.  Non trovando un adulto di cui hanno bisogno, si crea una sorta di ribaltamento dei ruoli: ragazzi si adattano alle esigenze degli adulti pur di farli sentire adulti. Viceversa, l’adulto proietta sull’adolescente le sue fragilità, come se si fossero invece costituite nella loro mente e in base a che cosa? Ovviamente internet e la pandemia. I due schermi su cui viene proiettato tutto.

 I NUOVI ADOLESCENTI sono più fragili ma anche più esperti di relazioni, non crescono più per conflitto, trasgressione e op- posizione, ma per delusione rispetto a modelli interiorizzati fin da bambini, «dovendo fare i conti con una voce terribile che ti dice che se non sei popolare, non hai valore, se non hai successo sei un fallito, anche grazie alle angosce adulte, che genera pochissima capacità di tollerare il fallimento o semplicemente l’errore, su cui peraltro bisognerebbe invece costruire la vera crescita. L’errore è un dramma per un genitore, il brutto voto è il fallimento. Il soggetto narcisista se prende 4 si mortifica e abbandona la scuola. L’interlocutore ora è dentro di sé, con il senso di fallimento e la percezione di non farcela in una società dove non vedi futuro. Si anestetizzano, con gli shottini e le canne che  oggi, hanno perso qualsiasi valenza trasgressiva o disinibitoria; servono a lenire uno stato mentale di sofferenza. Persino il sesso ha perso rilevanza.

«Prima una società sessuofobica portava ad avere nel sesso il motore dell’adolescenza, il corpo erotico, il desiderio, la nudità, tutto quello su cui è nata la psicanalisi, il modello pulsionale, Freud». Negli ultimi anni il sesso interessa meno. «C’è chi dà la colpa a internet e alla pornografia, o ancora, al fatto che le nuove generazioni crescono con l’idea che si possa avere un figlio senza l’atto sessuale». Quindi «interessa molto più compenetrare la mente che il corpo dell’altro. Conta sentirsi sempre o guardati o pensati. Ecco perché ha più successo il selfie o il sexting o il “ mi piace” sui social.

Esiste una marea di ragazzi che a scuola non vuole più andare, che ha disturbi alimentari, che si taglia. «Il corpo è il megafono di un dolore che non trova espressione».

 Il self cutting, il disturbo alimentare dove il corpo non va mai bene e lo devi manipolare, i tentativi di suicidio, il ritiro sociale sono sistemi «di lenire un dolore mentale che non trova altra espressione. Come un disperato tentativo di non diventare matti».

La sofferenza dei ragazzi è evidente, a casa come a scuola. «Quando hai un conflitto emotivo, una situazione che non ti fa vedere un futuro, succede soprattutto in adolescenza che il conflitto non lo esprimi a parole ma lo agisci, anche in modo violento>>

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Le nuove generazioni vivono le aspettative di successo dei genitori e faticano a esprimere emozioni negative. Crescono in una dimensione dove il dolore è vissuto come un affronto: “Ma come, con tutto quello che facciamo per te!”, si sentono ripetere. Gli adulti sono troppo fragili per accettare gli inciampi dei figli, e non permettono loro di esprimere paure, tristezze, rabbia. Non riescono a insegnare che i fallimenti fanno parte del processo di crescita. Bisognerebbe abituare i bambini fin da piccoli ad arrivare ultimi a una gara.

I disagi se presi in carico, all’inizio, possono essere gestiti benissimo. Gli adolescenti hanno giornate nere, è vero. Ma se le giornate durano mesi, bisogna intervenire.

Il consiglio è di fare attenzione ai cambiamenti d’umore e degli stili di vita: se un figlio dorme male o ha molti risvegli notturni, se si addormenta più tardi del solito, se prima faceva uno sport che amava e, all’improvviso lo lascia senza un perché. Se si mostra irritabile, se davanti a un no o a una regola da seguire risponde in modo aggressivo. Se smette di mangiare.

L’età incide nei termini di gravità, perché è difficile che un bambino compia atti di autolesionismo, ma a 11 anni può già succedere. Ci sono piuttosto differenze di sesso abbastanza chiare: le ragazze sono più ansiose, soffrono di disturbi d’umore come la depressione. I ragazzi sono più “esternalizzati”, si mostrano aggressivi, rompono le cose. L’importante è che non si cominci a occuparsi della salute mentale di un ragazzo o di una ragazza a 15 anni. L’attenzione va posta con cura molto prima.

 Cari adulti di oggi, con determinazione, riappropriamoci di quelle regole necessarie che ci consentono una pedagogia più efficace e rivolgiamo un sguardo attento ai nostri adolescenti, per non finire su un divano, entrambi con un telefonino in mano!!!…