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In Italia la spesa sanitaria è al di sotto della media dei paesi Ocse e G7

In Italia la spesa sanitaria è al di sotto della media dei paesi Ocse e G7

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Secondo il XX Rapporto ‘Ospedali & salute’, i tagli strutturali sono andati, negli anni, nella direzione opposta a una riorganizzazione necessaria per garantire i livelli minimi di assistenza
AGI – – I tagli strutturali alla spesa per la sanità sono andati, negli anni, nella direzione opposta a una sua riorganizzazione necessaria per garantire i livelli minimi di assistenza. Una mancata strategia che ha mostrato tutte le sue crepe nel periodo pandemico e “che sta impoverendo la sanità reale, ovvero quella abitata dai pazienti, dalle loro famiglie e dagli operatori a tutti i livelli”. E’ quanto si legge nel XX Rapporto ‘Ospedali & salute’ – promosso dall’Associazione italiana ospedalità privata e realizzato dalla società Ermeneia, Studi & strategie di sistema che viene presentato stamattina in Senato.
La spesa sanitaria pubblica italiana in rapporto al Pil, già al di sotto della media dei Paesi Ocse e G7 prima e durante l’urto pandemico, è tutt’oggi considerevolmente distante da questi riferimenti – si legge nelle pagine della ricerca – tale rapporto, infatti, nel 2019, era del 6,4%, a fronte del 7,6% e del 9,1% rispetto ai gruppi citati; nel 2020, primo anno di pandemia, è aumentato al 7,4%, contro però, l’8,4% e il 10,5% dei Paesi Ocse e G7.
Le previsioni per il quinquennio successivo sono peggiorative rispetto alla già difficile situazione attuale: nel 2023 la spesa in rapporto al Pil previsto si attesterà su un valore di 6,4%, per diminuire al 6,3% del 2024 e, ulteriormente, al 6,1% nel 2025. è con queste risorse finanziarie – sistematicamente riviste al ribasso – che il Servizio sanitario nazionale è chiamato ad affrontare una domanda crescente di prestazioni, dovuta al progressivo invecchiamento della popolazione, al dato storico delle liste d’attesa e al recupero di prestazioni sospese/rimandate a partire dalla pandemia e alle nuove progettualità previste dal Pnrr.
Uno su 20 rinuncia alle cure per difficoltà di accesso
Tempi di attesa incongrui con la gravità e complessità del quesito diagnostico o della diagnosi rappresentano uno degli elementi di maggiore iniquità nell’ambito di un sistema a vocazione universalistica. Dal momento che determinano una divaricazione tra coloro che possono rivolgersi al mercato delle prestazioni sanitarie – al di fuori del Servizio sanitario nazionale – e coloro che, per ragioni economico-sociali, non possono ricorrere alla spesa out-of-pocket. Per questi ultimi l’alternativa è tra un’attesa suscettibile di compromettere, in tutto o in parte, il proprio stato di salute e la rinuncia alle cure.
L’andamento dell’out-of-pocket italiano – che storicamente rappresenta circa un quarto della spesa sanitaria totale – è in progressiva crescita: è aumentato dai 37,3 miliardi di euro del 2017 al 38,4 del 2019 fino al 38,5 del 2021.
Secondo Aiop si registra un’evidente ripresa, nel 2021 rispetto al 2020, del valore dei ticket pagati dagli utenti per prestazioni intramoenia negli ospedali pubblici e – piu’ in generale – dei consumi sanitari out-of-pocket delle famiglie italiane, che tornano ad essere piu’ elevati non solo rispetto al 2020 ma anche al 2019, anno immediatamente precedente la pandemia.
Dall’indagine emerge che nel 2022 (sempre in riferimento a prestazioni/diagnosi serie-gravi) il 28% degli intervistati con almeno un episodio Covid e il 13% di quelli mai contagiati si sono rivolti al privato puro; mentre alle prestazioni a pagamento all’interno delle strutture pubbliche (intramoenia), hanno rispettivamente fatto accesso il 31% e il 9% degli intervistati. Il 50% degli intervistati senza esperienza Covid ha invece deciso di recarsi al Pronto soccorso per recuperare le prestazioni, intasando cosi’ la porta di accesso al Ssn. Uno su 20 invece ha rinunciato alle cure.
Nella percezione degli intervistati, la sempre maggiore difficoltà di accesso alle cure per prestazioni o interventi a medio-alta complessità ha determinato un peggioramento dello stato di salute per circa il 50% degli individui mai contagiati e del 40% di quelli con esperienze di contagio. Stando al parere dei 2/3 del campione, si legge nel rapporto, il recupero delle prestazioni mancate o procrastinate rappresenta l’urgenza maggiore del Ssn e circa il 70% degli intervistati ritiene che la soluzione sia quella di investire in sanità e fare ricorso alle piene potenzialità di tutte le strutture sanitarie disponibili, pubbliche e private accreditate.
Circa 900mila le ospedalizzazioni ‘perse’ sia nel 2020 sia nel 2021
A tre anni dalla pandemia le prestazioni sanitarie non sono tornati ai livelli pre-Covid. Dal punto di vista dell’offerta, non solo nel 2021 non si riscontra il recupero atteso delle prestazioni mancate nel corso della fase pandemica piu’ acuta, ma – nonostante una ripresa rispetto al 2020 – si rileva, anche, che i volumi di attività non sono tornati ai livelli pre-pandemici nè per le prestazioni programmate nè per quelle urgenti. In particolare, il volume di ricoveri urgenti non ha subi’to sostanziali variazioni tra il 2020 e il 2021, confermando cosi’ una differenza percentuale del -13% rispetto al periodo pre-pandemico: circa 900 mila ospedalizzazioni ‘perse’ sia nel 2020 sia nel 2021. Il numero di ospedalizzazioni urgenti, inoltre, resta sovrapponibile nel biennio anche nell’ambito delle stesse aree territoriali (nord, centro e sud); viene quindi confermata una contrazione soprattutto nel Sud e nelle Isole, comparativamente meno investiti dall’urto pandemico e dal conseguente sforzo di recupero.
Per quanto riguarda, invece, i ricoveri programmati, si assiste a una ripresa dell’attività elettiva, pur restando un significativo scostamento (-16%) dalla situazione del 2019.In questo caso, è piu’ che evidente come il sistema fatichi a tornare sui livelli pre-pandemici, con quanto ne consegue anche in termini di non riuscito recupero delle prestazioni mancate nel 2020. Per quanto attiene le prestazioni di specialistica ambulatoriale, i volumi di attività restano fortemente al di sotto dei valori pre-Covid, con variazioni 2019-2021 che raggiungono scarti anche del -70% (Basilicata) e del -46% (P.A. di Bolzano).
Differenze negative si registrano anche nel 2022, a conferma di un perdurante long covid del Ssm. Il fenomeno dei tempi di attesa anomali – che già era una criticità rilevata nel nostro Ssn – si incrementa ulteriormente: ai ritardi ‘ordinari’ pre-pandemici, si aggiungono quelli ‘straordinari’ del 2020 e quelli provocati da un urto pandemico che stenta a esaurirsi. Nel Rapporto i blocchi delle prestazioni nel 2020 vengono considerati “fisiologici” nella misura in cui il sistema si è concentrato nella gestione dell’emergenza Covid e parallelamente le prestazioni non-Covid sono state limitate per controllare il rischio di contagio, ma si fatica a spiegare il dato del 2021. Dal punto di vista della domanda, l’indagine condotta da Ermeneia su un campione di 4.020 soggetti (rappresentativo della popolazione adulta italiana) rivela come, ancora nel 2022, il 73% degli intervistati senza esperienza di contagio e il 66% di quelli con una o piu’ esperienze Covid abbiano dovuto sostenere blocchi o rimandi di prestazioni diagnostiche per patologie di gravità medio-alta. Rispetto ai due sottogruppi – mai contagiati e contagiati – ostacoli all’accesso e procrastinazioni per terapie periodiche e controlli obbligatori sono stati sperimentati, rispettivamente, nel 89% e 97% dei casi.
Il Ssn soffre di long Covid
“Il SSN soffre ancora del long covid. I dati parlano chiaro: a due anni dalla pandemia non solo non si riscontra il recupero atteso delle prestazioni mancate nel corso della fase pandemica piu’ acuta, ma i volumi di attività e la qualità delle cure non sono tornati ai livelli pre-Covid nè per le prestazioni programmate nè per quelle urgenti”, dice Barbara Cittadini, presidente nazionale Aiop, l’Associazione italiana ospedalità privata. “Le forze centrifughe dal Ssn – spiega Cittadini – sono sempre piu’ evidenti, con sempre piu’ utenti che, per ovviare alle liste d’attesa, si trovano costretti, se possono, a pagare le prestazioni o, in caso di indisponibilità economica, a rinunciare alle cure”. Dal rapporto presentato oggi emerge che le ospedalizzazioni “perse” nel biennio post-pandemico sono circa 900 mila quelle urgenti e 740 mila e 470 mila quelle programmate, rispettivamente, nel 2020 e nel 2021. Si tratta di una situazione che il rapporto fotografa nei dettagli.
La ricerca, presentata presso il Chiostro del Convento di Santa Maria Sopra Minerva, a Roma, è uno strumento di monitoraggio e valutazione dell’efficacia e dell’efficienza del sistema ospedaliero italiano, nelle sue componenti di diritto pubblico e di diritto privato del Servizio Sanitario Nazionale. L’indagine coniuga i dati oggettivi dei flussi informativi correnti e i dati “soggettivi” ricavati da un’indagine annuale sull’esperienza dei pazienti. La presidente Aiop quindi sottolinea: “Vogliamo riportare l’interesse del malato al centro del dibattito sulla sanità pubblica, troppo spesso orientato da visioni parziali, che prescindono dai principi di realtà”.
“La spesa sanitaria pubblica italiana in rapporto al PIL – spiega quindi Cittadini – continua a restare fortemente al di sotto della media dei Paesi OCSE e G7 e si continua a paralizzare l’erogazione di servizi alla salute, attraverso il meccanismo dei tetti di spesa, imponendo alle Regioni un limite massimo all’acquisto di prestazioni presso il privato accreditato e sacrificando i bisogni assistenziali dei pazienti sull’altare di una illogica predilezione per la proprietà pubblica degli asset”.
La numero uno di Aiop ricorda: “Ancora una volta, i dati parlano chiaro: le dinamiche “conflittuali” tra la componente di diritto pubblico e quella di diritto privato del SSN non interessano ai malati. L’interesse del paziente è quello di ricevere le cure migliori – dal punto di vista dell’efficacia, appropriatezza e sicurezza – e non, certamente, la natura giuridica dell’ospedale che le eroga. I malati desiderano, solamente, essere curati”. “è necessario – conclude Cittadini – comprendere che ogni euro impiegato in sanità è un investimento per il progresso del Paese e che è indispensabile procedere ad un’alleanza di sistema, basata su un approccio collaborativo/competitivo tra la componente di diritto pubblico e la componente di diritto privato del SSN, preservando e aumentando gli ambiti di tutela, superando i condizionamenti ideologici, che, fino ad ora, hanno relegato la componente di diritto privato a un ruolo vicario e agendo attraverso una differente allocazione delle risorse alle strutture che assicurano prestazioni qualitativamente migliori e una gestione piu’ efficiente”.